Purgatorio – Canto XXXII / Trentaduesimo Canto / Canto 32°
Temi e canti: 1-60 La processione all’albero di Adamo • 61-84 Sonno di Dante • 85-108 La missione di Dante • 109-147 L’allegoria del carro • 148-160 La meretrice e il gigante
Purgatorio
CANTO XXXII
Tant’eran li occhi miei fissi e attenti
a disbramarsi la decenne sete,
che li altri sensi m’eran tutti spenti. [3]
Ed essi quinci e quindi avien parete
di non caler – così lo santo riso
a sé traéli con l’antica rete! [6]
quando per forza mi fu vòlto il viso
ver’ la sinistra mia da quelle dee,
perch’io udi’ da loro un «Troppo fiso!» [9]
e la disposizion ch’a veder èe
ne li occhi pur testé dal sol percossi,
sanza la vista alquanto esser mi fée. [12]
Ma poi ch’al poco il viso riformossi
(e dico ‘al poco’ per rispetto al molto
sensibile onde a forza mi rimossi), [15]
vidi ‘n sul braccio destro esser rivolto
lo glorioso essercito, e tornarsi
col sole e con le sette fiamme al volto. [18]
Come sotto li scudi per salvarsi
volgesi schiera, e sé gira col segno,
prima che possa tutta in sé mutarsi; [21]
quella milizia del celeste regno
che procedeva, tutta trapassonne
pria che piegasse il carro il primo legno. [24]
Indi a le rote si tornar le donne,
e ‘l grifon mosse il benedetto carco
sì, che però nulla penna crollonne. [27]
La bella donna che mi trasse al varco
e Stazio e io seguitavam la rota
che fé l’orbita sua con minore arco. [30]
Sì passeggiando l’alta selva vòta,
colpa di quella ch’al serpente crese,
temprava i passi un’angelica nota. [33]
Forse in tre voli tanto spazio prese
disfrenata saetta, quanto eramo
rimossi, quando Beatrice scese. [36]
Io senti’ mormorare a tutti «Adamo»;
poi cerchiaro una pianta dispogliata
di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo. [39]
La coma sua, che tanto si dilata
più quanto più è sù, fora da l’Indi
ne’ boschi lor per altezza ammirata. [42]
«Beato se’, grifon, che non discindi
col becco d’esto legno dolce al gusto,
poscia che mal si torce il ventre quindi». [45]
Così dintorno a l’albero robusto
gridaron li altri; e l’animal binato:
«Sì si conserva il seme d’ogne giusto». [48]
E vòlto al temo ch’elli avea tirato,
trasselo al piè de la vedova frasca,
e quel di lei a lei lasciò legato. [51]
Come le nostre piante, quando casca
giù la gran luce mischiata con quella
che raggia dietro a la celeste lasca, [54]
turgide fansi, e poi si rinovella
di suo color ciascuna, pria che ‘l sole
giunga li suoi corsier sotto altra stella; [57]
men che di rose e più che di viole
colore aprendo, s’innovò la pianta,
che prima avea le ramora sì sole. [60]
Io non lo ‘ntesi, né qui non si canta
l’inno che quella gente allor cantaro,
né la nota soffersi tutta quanta. [63]
S’io potessi ritrar come assonnaro
li occhi spietati udendo di Siringa,
li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro; [66]
come pintor che con essempro pinga,
disegnerei com’io m’addormentai;
ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga. [69]
Però trascorro a quando mi svegliai,
e dico ch’un splendor mi squarciò ‘l velo
del sonno e un chiamar: «Surgi: che fai?». [72]
Quali a veder de’ fioretti del melo
che del suo pome li angeli fa ghiotti
e perpetue nozze fa nel cielo, [75]
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
e vinti, ritornaro a la parola
da la qual furon maggior sonni rotti, [78]
e videro scemata loro scuola
così di Moisè come d’Elia,
e al maestro suo cangiata stola; [81]
tal torna’ io, e vidi quella pia
sovra me starsi che conducitrice
fu de’ miei passi lungo ‘l fiume pria. [84]
E tutto in dubbio dissi: «Ov’è Beatrice?».
Ond’ella: «Vedi lei sotto la fronda
nova sedere in su la sua radice. [87]
Vedi la compagnia che la circonda:
li altri dopo ‘l grifon sen vanno suso
con più dolce canzone e più profonda». [90]
E se più fu lo suo parlar diffuso,
non so, però che già ne li occhi m’era
quella ch’ad altro intender m’avea chiuso. [93]
Sola sedeasi in su la terra vera,
come guardia lasciata lì del plaustro
che legar vidi a la biforme fera. [96]
In cerchio le facean di sé claustro
le sette ninfe, con quei lumi in mano
che son sicuri d’Aquilone e d’Austro. [99]
«Qui sarai tu poco tempo silvano;
e sarai meco sanza fine cive
di quella Roma onde Cristo è romano. [102]
Però, in pro del mondo che mal vive,
al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
ritornato di là, fa che tu scrive». [105]
Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi
d’i suoi comandamenti era divoto,
la mente e li occhi ov’ella volle diedi. [108]
Non scese mai con sì veloce moto
foco di spessa nube, quando piove
da quel confine che più va remoto, [111]
com’io vidi calar l’uccel di Giove
per l’alber giù, rompendo de la scorza,
non che d’i fiori e de le foglie nove; [114]
e ferì ‘l carro di tutta sua forza;
ond’el piegò come nave in fortuna,
vinta da l’onda, or da poggia, or da orza. [117]
Poscia vidi avventarsi ne la cuna
del triunfal veiculo una volpe
che d’ogne pasto buon parea digiuna; [120]
ma, riprendendo lei di laide colpe,
la donna mia la volse in tanta futa
quanto sofferser l’ossa sanza polpe. [123]
Poscia per indi ond’era pria venuta,
l’aguglia vidi scender giù ne l’arca
del carro e lasciar lei di sé pennuta; [126]
e qual esce di cuor che si rammarca,
tal voce uscì del cielo e cotal disse:
«O navicella mia, com’mal se’ carca!». [129]
Poi parve a me che la terra s’aprisse
tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago
che per lo carro sù la coda fisse; [132]
e come vespa che ritragge l’ago,
a sé traendo la coda maligna,
trasse del fondo, e gissen vago vago. [135]
Quel che rimase, come da gramigna
vivace terra, da la piuma, offerta
forse con intenzion sana e benigna, [138]
si ricoperse, e funne ricoperta
e l’una e l’altra rota e ‘l temo, in tanto
che più tiene un sospir la bocca aperta. [141]
Trasformato così ‘l dificio santo
mise fuor teste per le parti sue,
tre sovra ‘l temo e una in ciascun canto. [144]
Le prime eran cornute come bue,
ma le quattro un sol corno avean per fronte:
simile mostro visto ancor non fue. [147]
Sicura, quasi rocca in alto monte,
seder sovresso una puttana sciolta
m’apparve con le ciglia intorno pronte; [150]
e come perché non li fosse tolta,
vidi di costa a lei dritto un gigante;
e baciavansi insieme alcuna volta. [153]
Ma perché l’occhio cupido e vagante
a me rivolse, quel feroce drudo
la flagellò dal capo infin le piante; [156]
poi, di sospetto pieno e d’ira crudo,
disciolse il mostro, e trassel per la selva,
tanto che sol di lei mi fece scudo [159]
a la puttana e a la nova belva.