Paradiso – Canto X

Paradiso – Canto X / Decimo Canto / Canto 10°

Temi e canti: 1-27 L’ordine del mondo • 28-63 Il cielo del Sole • 28-63 La corona degli spiriti sapienti • 82-148 Tommaso d’Aquino e i sapienti della prima corona

Paradiso

CANTO X

Guardando nel suo Figlio con l’Amore

che l’uno e l’altro etternalmente spira,

lo primo e ineffabile Valore   [3]

quanto per mente e per loco si gira

con tant’ordine fé, ch’esser non puote

sanza gustar di lui chi ciò rimira.   [6]

Leva dunque, lettore, a l’alte rote

meco la vista, dritto a quella parte

dove l’un moto e l’altro si percuote;   [9]

e lì comincia a vagheggiar ne l’arte

di quel maestro che dentro a sé l’ama,

tanto che mai da lei l’occhio non parte.   [12]

Vedi come da indi si dirama

l’oblico cerchio che i pianeti porta,

per sodisfare al mondo che li chiama.   [15]

Che se la strada lor non fosse torta,

molta virtù nel ciel sarebbe in vano,

e quasi ogne potenza qua giù morta;   [18]

e se dal dritto più o men lontano

fosse ‘l partire, assai sarebbe manco

e giù e sù de l’ordine mondano.   [21]

Or ti riman, lettor, sovra ‘l tuo banco,

dietro pensando a ciò che si preliba,

s’esser vuoi lieto assai prima che stanco.   [24]

Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba;

ché a sé torce tutta la mia cura

quella materia ond’io son fatto scriba.   [27]

Lo ministro maggior de la natura,

che del valor del ciel lo mondo imprenta

e col suo lume il tempo ne misura,   [30]

con quella parte che sù si rammenta

congiunto, si girava per le spire

in che più tosto ognora s’appresenta;   [33]

e io era con lui; ma del salire

non m’accors’io, se non com’uom s’accorge,

anzi ‘l primo pensier, del suo venire.   [36]

E’ Beatrice quella che sì scorge

di bene in meglio, sì subitamente

che l’atto suo per tempo non si sporge.   [39]

Quant’esser convenia da sé lucente

quel ch’era dentro al sol dov’io entra’mi,

non per color, ma per lume parvente!   [42]

Perch’io lo ‘ngegno e l’arte e l’uso chiami,

sì nol direi che mai s’imaginasse;

ma creder puossi e di veder si brami.   [45]

E se le fantasie nostre son basse

a tanta altezza, non è maraviglia;

ché sopra ‘l sol non fu occhio ch’andasse.   [48]

Tal era quivi la quarta famiglia

de l’alto Padre, che sempre la sazia,

mostrando come spira e come figlia.   [51]

E Beatrice cominciò: «Ringrazia,

ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo

sensibil t’ha levato per sua grazia».   [54]

Cor di mortal non fu mai sì digesto

a divozione e a rendersi a Dio

con tutto ‘l suo gradir cotanto presto,   [57]

come a quelle parole mi fec’io;

e sì tutto ‘l mio amore in lui si mise,

che Beatrice eclissò ne l’oblio.   [60]

Non le dispiacque; ma sì se ne rise,

che lo splendor de li occhi suoi ridenti

mia mente unita in più cose divise.   [63]

Io vidi più folgór vivi e vincenti

far di noi centro e di sé far corona,

più dolci in voce che in vista lucenti:   [66]

così cinger la figlia di Latona

vedem talvolta, quando l’aere è pregno,

sì che ritenga il fil che fa la zona.   [69]

Ne la corte del cielo, ond’io rivegno,

si trovan molte gioie care e belle

tanto che non si posson trar del regno;   [72]

e ‘l canto di quei lumi era di quelle;

chi non s’impenna sì che là sù voli,

dal muto aspetti quindi le novelle.   [75]

Poi, sì cantando, quelli ardenti soli

si fuor girati intorno a noi tre volte,

come stelle vicine a’ fermi poli,   [78]

donne mi parver, non da ballo sciolte,

ma che s’arrestin tacite, ascoltando

fin che le nove note hanno ricolte.   [81]

E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando

lo raggio de la grazia, onde s’accende

verace amore e che poi cresce amando,   [84]

multiplicato in te tanto resplende,

che ti conduce su per quella scala

u’ sanza risalir nessun discende;   [87]

qual ti negasse il vin de la sua fiala

per la tua sete, in libertà non fora

se non com’acqua ch’al mar non si cala.   [90]

Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora

questa ghirlanda che ‘ntorno vagheggia

la bella donna ch’al ciel t’avvalora.   [93]

Io fui de li agni de la santa greggia

che Domenico mena per cammino

u’ ben s’impingua se non si vaneggia.   [96]

Questi che m’è a destra più vicino,

frate e maestro fummi, ed esso Alberto

è di Cologna, e io Thomas d’Aquino.   [99]

Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo,

di retro al mio parlar ten vien col viso

girando su per lo beato serto.   [102]

Quell’altro fiammeggiare esce del riso

di Grazian, che l’uno e l’altro foro

aiutò sì che piace in paradiso.   [105]

L’altro ch’appresso addorna il nostro coro,

quel Pietro fu che con la poverella

offerse a Santa Chiesa suo tesoro.   [108]

La quinta luce, ch’è tra noi più bella,

spira di tal amor, che tutto ‘l mondo

là giù ne gola di saper novella:   [111]

entro v’è l’alta mente u’ sì profondo

saver fu messo, che, se ‘l vero è vero

a veder tanto non surse il secondo.   [114]

Appresso vedi il lume di quel cero

che giù in carne più a dentro vide

l’angelica natura e ‘l ministero.   [117]

Ne l’altra piccioletta luce ride

quello avvocato de’ tempi cristiani

del cui latino Augustin si provide.   [120]

Or se tu l’occhio de la mente trani

di luce in luce dietro a le mie lode,

già de l’ottava con sete rimani.   [123]

Per vedere ogni ben dentro vi gode

l’anima santa che ‘l mondo fallace

fa manifesto a chi di lei ben ode.   [126]

Lo corpo ond’ella fu cacciata giace

giuso in Cieldauro; ed essa da martiro

e da essilio venne a questa pace.   [129]

Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro

d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,

che a considerar fu più che viro.   [132]

Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,

è ‘l lume d’uno spirto che ‘n pensieri

gravi a morir li parve venir tardo:   [135]

essa è la luce etterna di Sigieri,

che, leggendo nel Vico de li Strami,

silogizzò invidiosi veri».   [138]

Indi, come orologio che ne chiami

ne l’ora che la sposa di Dio surge

a mattinar lo sposo perché l’ami,   [141]

che l’una parte e l’altra tira e urge,

tin tin sonando con sì dolce nota,

che ‘l ben disposto spirto d’amor turge;   [144]

così vid’io la gloriosa rota

muoversi e render voce a voce in tempra

e in dolcezza ch’esser non pò nota   [147]

se non colà dove gioir s’insempra.