Inferno – Canto XXVIII

Inferno – Canto XXVIII / Ventottesimo Canto / Canto 28°

Temi e versi: 1-21 I seminatori di discordia • 22-63 Maometto e Alì • 64-90 Pier da Medicina • 91-102 Curione • 103-111 Mosca dei Lamberti • 112-142 Bertran de Born

Inferno

CANTO XXVIII

Chi poria mai pur con parole sciolte

dicer del sangue e de le piaghe a pieno

ch’i’ ora vidi, per narrar più volte?   [3]

Ogne lingua per certo verria meno

per lo nostro sermone e per la mente

c’hanno a tanto comprender poco seno.   [6]

S’el s’aunasse ancor tutta la gente

che già in su la fortunata terra

di Puglia, fu del suo sangue dolente   [9]

per li Troiani e per la lunga guerra

che de l’anella fé sì alte spoglie,

come Livio scrive, che non erra,   [12]

con quella che sentio di colpi doglie

per contastare a Ruberto Guiscardo;

e l’altra il cui ossame ancor s’accoglie   [15]

a Ceperan, là dove fu bugiardo

ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo,

dove sanz’arme vinse il vecchio Alardo;   [18]

e qual forato suo membro e qual mozzo

mostrasse, d’aequar sarebbe nulla

il modo de la nona bolgia sozzo.   [21]

Già veggia, per mezzul perdere o lulla,

com’io vidi un, così non si pertugia,

rotto dal mento infin dove si trulla.   [24]

Tra le gambe pendevan le minugia;

la corata pareva e ‘l tristo sacco

che merda fa di quel che si trangugia.   [27]

Mentre che tutto in lui veder m’attacco,

guardommi, e con le man s’aperse il petto,

dicendo: «Or vedi com’io mi dilacco!   [30]

vedi come storpiato è Maometto!

Dinanzi a me sen va piangendo Alì,

fesso nel volto dal mento al ciuffetto.   [33]

E tutti li altri che tu vedi qui,

seminator di scandalo e di scisma

fuor vivi, e però son fessi così.   [36]

Un diavolo è qua dietro che n’accisma

sì crudelmente, al taglio de la spada

rimettendo ciascun di questa risma,   [39]

quand’avem volta la dolente strada;

però che le ferite son richiuse

prima ch’altri dinanzi li rivada.   [42]

Ma tu chi se’ che ‘n su lo scoglio muse,

forse per indugiar d’ire a la pena

ch’è giudicata in su le tue accuse?».   [45]

«Né morte ‘l giunse ancor, né colpa ‘l mena»,

rispuose ‘l mio maestro «a tormentarlo;

ma per dar lui esperienza piena,   [48]

a me, che morto son, convien menarlo

per lo ‘nferno qua giù di giro in giro;

e quest’è ver così com’io ti parlo».   [51]

Più fuor di cento che, quando l’udiro,

s’arrestaron nel fosso a riguardarmi

per maraviglia obliando il martiro.   [54]

«Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi,

tu che forse vedra’ il sole in breve,

s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,   [57]

sì di vivanda, che stretta di neve

non rechi la vittoria al Noarese,

ch’altrimenti acquistar non sarìa leve».   [60]

Poi che l’un piè per girsene sospese,

Maometto mi disse esta parola;

indi a partirsi in terra lo distese.   [63]

Un altro, che forata avea la gola

e tronco ‘l naso infin sotto le ciglia,

e non avea mai ch’una orecchia sola,   [66]

ristato a riguardar per maraviglia

con li altri, innanzi a li altri aprì la canna,

ch’era di fuor d’ogni parte vermiglia,   [69]

e disse: «O tu cui colpa non condanna

e cu’ io vidi su in terra latina,

se troppa simiglianza non m’inganna,   [72]

rimembriti di Pier da Medicina,

se mai torni a veder lo dolce piano

che da Vercelli a Marcabò dichina.   [75]

E fa saper a’ due miglior da Fano,

a messer Guido e anco ad Angiolello,

che, se l’antiveder qui non è vano,   [78]

gittati saran fuor di lor vasello

e mazzerati presso a la Cattolica

per tradimento d’un tiranno fello.   [81]

Tra l’isola di Cipri e di Maiolica

non vide mai sì gran fallo Nettuno,

non da pirate, non da gente argolica.   [84]

Quel traditor che vede pur con l’uno,

e tien la terra che tale qui meco

vorrebbe di vedere esser digiuno,   [87]

farà venirli a parlamento seco;

poi farà sì, ch’al vento di Focara

non sarà lor mestier voto né preco».   [90]

E io a lui: «Dimostrami e dichiara,

se vuo’ ch’i’ porti sù di te novella,

chi è colui da la veduta amara».   [93]

Allor puose la mano a la mascella

d’un suo compagno e la bocca li aperse,

gridando: «Questi è desso, e non favella.   [96]

Questi, scacciato, il dubitar sommerse

in Cesare, affermando che ‘l fornito

sempre con danno l’attender sofferse».   [99]

Oh quanto mi pareva sbigottito

con la lingua tagliata ne la strozza

Curio, ch’a dir fu così ardito!   [102]

E un ch’avea l’una e l’altra man mozza,

levando i moncherin per l’aura fosca,

sì che ‘l sangue facea la faccia sozza,   [105]

gridò: «Ricordera’ti anche del Mosca,

che disse, lasso!, “Capo ha cosa fatta”,

che fu mal seme per la gente tosca».   [108]

E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»;

per ch’elli, accumulando duol con duolo,

sen gio come persona trista e matta.   [111]

Ma io rimasi a riguardar lo stuolo,

e vidi cosa, ch’io avrei paura,

sanza più prova, di contarla solo;   [114]

se non che coscienza m’assicura,

la buona compagnia che l’uom francheggia

sotto l’asbergo del sentirsi pura.   [117]

Io vidi certo, e ancor par ch’io ‘l veggia,

un busto sanza capo andar sì come

andavan li altri de la trista greggia;   [120]

e ‘l capo tronco tenea per le chiome,

pesol con mano a guisa di lanterna;

e quel mirava noi e dicea: «Oh me!».   [123]

Di sé facea a sé stesso lucerna,

ed eran due in uno e uno in due:

com’esser può, quei sa che sì governa.   [126]

Quando diritto al piè del ponte fue,

levò ‘l braccio alto con tutta la testa,

per appressarne le parole sue,   [129]

che fuoro: «Or vedi la pena molesta

tu che, spirando, vai veggendo i morti:

vedi s’alcuna è grande come questa.   [132]

E perché tu di me novella porti,

sappi ch’i’ son Bertram dal Bornio, quelli

che diedi al re giovane i ma’ conforti.   [135]

Io feci il padre e ‘l figlio in sé ribelli:

Achitofèl non fé più d’Absalone

e di Davìd coi malvagi punzelli.   [138]

Perch’io parti’ così giunte persone,

partito porto il mio cerebro, lasso!,

dal suo principio ch’è in questo troncone.   [141]

Così s’osserva in me lo contrapasso».