Inferno – Canto XV

Inferno – Canto XV / Quindicesimo Canto / Canto 15°

Temi e versi: 1-21 I sodomiti • 22-60 Brunetto Latini • 61-99 Brunetto parla di Firenze e profetizza l’esilio a Dante • 100-124 Chierici e letterati

Inferno

CANTO XV

Ora cen porta l’un de’ duri margini;

e ‘l fummo del ruscel di sopra aduggia,

sì che dal foco salva l’acqua e li argini.   [3]

Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,

temendo ‘l fiotto che ‘nver lor s’avventa,

fanno lo schermo perché ‘l mar si fuggia;   [6]

e quali Padoan lungo la Brenta,

per difender lor ville e lor castelli,

anzi che Carentana il caldo senta:   [9]

a tale imagine eran fatti quelli,

tutto che né sì alti né sì grossi,

qual che si fosse, lo maestro felli.   [12]

Già eravam da la selva rimossi

tanto, ch’i’ non avrei visto dov’era,

perch’io in dietro rivolto mi fossi,   [15]

quando incontrammo d’anime una schiera

che venìan lungo l’argine, e ciascuna

ci riguardava come suol da sera   [18]

guardare uno altro sotto nuova luna;

e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia

come ‘l vecchio sartor fa ne la cruna.   [21]

Così adocchiato da cotal famiglia,

fui conosciuto da un, che mi prese

per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!».   [24]

E io, quando ‘l suo braccio a me distese,

ficcai li occhi per lo cotto aspetto,

sì che ‘l viso abbrusciato non difese   [27]

la conoscenza sua al mio ‘ntelletto;

e chinando la mano a la sua faccia,

rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?».   [30]

E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia

se Brunetto Latino un poco teco

ritorna ‘n dietro e lascia andar la traccia».   [33]

I’ dissi lui: «Quanto posso, ven preco;

e se volete che con voi m’asseggia,

faròl, se piace a costui che vo seco».   [36]

«O figliuol», disse, «qual di questa greggia

s’arresta punto, giace poi cent’anni

sanz’arrostarsi quando ‘l foco il feggia.   [39]

Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni;

e poi rigiugnerò la mia masnada,

che va piangendo i suoi etterni danni».   [42]

I’ non osava scender de la strada

per andar par di lui; ma ‘l capo chino

tenea com’uom che reverente vada.   [45]

El cominciò: «Qual fortuna o destino

anzi l’ultimo dì qua giù ti mena?

e chi è questi che mostra ‘l cammino?».   [48]

«Là sù di sopra, in la vita serena»,

rispuos’io lui, «mi smarri’ in una valle,

avanti che l’età mia fosse piena.   [51]

Pur ier mattina le volsi le spalle:

questi m’apparve, tornand’io in quella,

e reducemi a ca per questo calle».   [54]

Ed elli a me: «Se tu segui tua stella,

non puoi fallire a glorioso porto,

se ben m’accorsi ne la vita bella;   [57]

e s’io non fossi sì per tempo morto,

veggendo il cielo a te così benigno,

dato t’avrei a l’opera conforto.   [60]

Ma quello ingrato popolo maligno

che discese di Fiesole ab antico,

e tiene ancor del monte e del macigno,   [63]

ti si farà, per tuo ben far, nimico:

ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi

si disconvien fruttare al dolce fico.   [66]

Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;

gent’è avara, invidiosa e superba:

dai lor costumi fa che tu ti forbi.   [69]

La tua fortuna tanto onor ti serba,

che l’una parte e l’altra avranno fame

di te; ma lungi fia dal becco l’erba.   [72]

Faccian le bestie fiesolane strame

di lor medesme, e non tocchin la pianta,

s’alcuna surge ancora in lor letame,   [75]

in cui riviva la sementa santa

di que’ Roman che vi rimaser quando

fu fatto il nido di malizia tanta».   [78]

«Se fosse tutto pieno il mio dimando»,

rispuos’io lui, «voi non sareste ancora

de l’umana natura posto in bando;   [81]

ché ‘n la mente m’è fitta, e or m’accora,

la cara e buona imagine paterna

di voi quando nel mondo ad ora ad ora   [84]

m’insegnavate come l’uom s’etterna:

e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo

convien che ne la mia lingua si scerna.   [87]

Ciò che narrate di mio corso scrivo,

e serbolo a chiosar con altro testo

a donna che saprà, s’a lei arrivo.   [90]

Tanto vogl’io che vi sia manifesto,

pur che mia coscienza non mi garra,

che a la Fortuna, come vuol, son presto.   [93]

Non è nuova a li orecchi miei tal arra:

però giri Fortuna la sua rota

come le piace, e ‘l villan la sua marra».   [96]

Lo mio maestro allora in su la gota

destra si volse in dietro, e riguardommi;

poi disse: «Bene ascolta chi la nota».   [99]

Né per tanto di men parlando vommi

con ser Brunetto, e dimando chi sono

li suoi compagni più noti e più sommi.   [102]

Ed elli a me: «Saper d’alcuno è buono;

de li altri fia laudabile tacerci,

ché ‘l tempo sarìa corto a tanto suono.   [105]

In somma sappi che tutti fur cherci

e litterati grandi e di gran fama,

d’un peccato medesmo al mondo lerci.   [108]

Priscian sen va con quella turba grama,

e Francesco d’Accorso anche; e vedervi,

s’avessi avuto di tal tigna brama,   [111]

colui potei che dal servo de’ servi

fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione,

dove lasciò li mal protesi nervi.   [114]

Di più direi; ma ‘l venire e ‘l sermone

più lungo esser non può, però ch’i’ veggio

là surger nuovo fummo del sabbione.   [117]

Gente vien con la quale esser non deggio.

Sieti raccomandato il mio Tesoro

nel qual io vivo ancora, e più non cheggio».   [120]

Poi si rivolse, e parve di coloro

che corrono a Verona il drappo verde

per la campagna; e parve di costoro   [123]

quelli che vince, non colui che perde.