Purgatorio – Canto VI

Purgatorio – Canto VI / Sesto Canto / Canto 6°

Temi e versi 1-57 Ressa delle anime e efficacia delle preghiere • 58-75 Abbraccio tra Sordello e Virgilio • 76-151 Apostrofe di Dante all’Italia

Purgatorio

CANTO VI

Quando si parte il gioco de la zara,

colui che perde si riman dolente,

repetendo le volte, e tristo impara;   [3]

con l’altro se ne va tutta la gente;

qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,

e qual dallato li si reca a mente;   [6]

el non s’arresta, e questo e quello intende;

a cui porge la man, più non fa pressa;

e così da la calca si difende.   [9]

Tal era io in quella turba spessa,

volgendo a loro, e qua e là, la faccia,

e promettendo mi sciogliea da essa.   [12]

Quiv’era l’Aretin che da le braccia

fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,

e l’altro ch’annegò correndo in caccia.   [15]

Quivi pregava con le mani sporte

Federigo Novello, e quel da Pisa

che fé parer lo buon Marzucco forte.   [18]

Vidi conte Orso e l’anima divisa

dal corpo suo per astio e per inveggia,

com’e’ dicea, non per colpa commisa;   [21]

Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,

mentr’è di qua, la donna di Brabante,

sì che però non sia di peggior greggia.   [24]

Come libero fui da tutte quante

quell’ombre che pregar pur ch’altri prieghi,

sì che s’avacci lor divenir sante,   [27]

io cominciai: «El par che tu mi nieghi,

o luce mia, espresso in alcun testo

che decreto del cielo orazion pieghi;   [30]

e questa gente prega pur di questo:

sarebbe dunque loro speme vana,

o non m’è ‘l detto tuo ben manifesto?».   [33]

Ed elli a me: «La mia scrittura è piana;

e la speranza di costor non falla,

se ben si guarda con la mente sana;   [36]

ché cima di giudicio non s’avvalla

perché foco d’amor compia in un punto

ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla;   [39]

e là dov’io fermai cotesto punto,

non s’ammendava, per pregar, difetto,

perché ‘l priego da Dio era disgiunto.   [42]

Veramente a così alto sospetto

non ti fermar, se quella nol ti dice

che lume fia tra ‘l vero e lo ‘ntelletto.   [45]

Non so se ‘ntendi: io dico di Beatrice;

tu la vedrai di sopra, in su la vetta

di questo monte, ridere e felice».   [48]

E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,

ché già non m’affatico come dianzi,

e vedi omai che ‘l poggio l’ombra getta».   [51]

«Noi anderem con questo giorno innanzi»,

rispuose, «quanto più potremo omai;

ma ‘l fatto è d’altra forma che non stanzi.   [54]

Prima che sie là sù, tornar vedrai

colui che già si cuopre de la costa,

sì che ‘ suoi raggi tu romper non fai.   [57]

Ma vedi là un’anima che, posta

sola soletta, inverso noi riguarda:

quella ne ‘nsegnerà la via più tosta».   [60]

Venimmo a lei: o anima lombarda,

come ti stavi altera e disdegnosa

e nel mover de li occhi onesta e tarda!   [63]

Ella non ci dicea alcuna cosa,

ma lasciavane gir, solo sguardando

a guisa di leon quando si posa.   [66]

Pur Virgilio si trasse a lei, pregando

che ne mostrasse la miglior salita;

e quella non rispuose al suo dimando,   [69]

ma di nostro paese e de la vita

ci ‘nchiese; e ‘l dolce duca incominciava

«Mantua…», e l’ombra, tutta in sé romita,   [72]

surse ver’ lui del loco ove pria stava,

dicendo: «O Mantoano, io son Sordello

de la tua terra!»; e l’un l’altro abbracciava.   [75]

Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave sanza nocchiere in gran tempesta,

non donna di province, ma bordello!   [78]

Quell’anima gentil fu così presta,

sol per lo dolce suon de la sua terra,

di fare al cittadin suo quivi festa;   [81]

e ora in te non stanno sanza guerra

li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode

di quei ch’un muro e una fossa serra.   [84]

Cerca, misera, intorno da le prode

le tue marine, e poi ti guarda in seno,

s’alcuna parte in te di pace gode.   [87]

Che val perché ti racconciasse il freno

Iustiniano, se la sella è vota?

Sanz’esso fora la vergogna meno.   [90]

Ahi gente che dovresti esser devota,

e lasciar seder Cesare in la sella,

se bene intendi ciò che Dio ti nota,   [93]

guarda come esta fiera è fatta fella

per non esser corretta da li sproni,

poi che ponesti mano a la predella.   [96]

O Alberto tedesco ch’abbandoni

costei ch’è fatta indomita e selvaggia,

e dovresti inforcar li suoi arcioni,   [99]

giusto giudicio da le stelle caggia

sovra ‘l tuo sangue, e sia novo e aperto,

tal che ‘l tuo successor temenza n’aggia!   [102]

Ch’avete tu e ‘l tuo padre sofferto,

per cupidigia di costà distretti,

che ‘l giardin de lo ‘mperio sia diserto.   [105]

Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,

Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:

color già tristi, e questi con sospetti!   [108]

Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura

d’i tuoi gentili, e cura lor magagne;

e vedrai Santafior com’è oscura!   [111]

Vieni a veder la tua Roma che piagne

vedova e sola, e dì e notte chiama:

«Cesare mio, perché non m’accompagne?».   [114]

Vieni a veder la gente quanto s’ama!

e se nulla di noi pietà ti move,

a vergognar ti vien de la tua fama.   [117]

E se licito m’è, o sommo Giove

che fosti in terra per noi crucifisso,

son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?   [120]

O è preparazion che ne l’abisso

del tuo consiglio fai per alcun bene

in tutto de l’accorger nostro scisso?   [123]

Ché le città d’Italia tutte piene

son di tiranni, e un Marcel diventa

ogne villan che parteggiando viene.   [126]

Fiorenza mia, ben puoi esser contenta

di questa digression che non ti tocca,

mercé del popol tuo che si argomenta.   [129]

Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca

per non venir sanza consiglio a l’arco;

ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca.   [132]

Molti rifiutan lo comune incarco;

ma il popol tuo solicito risponde

sanza chiamare, e grida: «I’ mi sobbarco!».   [135]

Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:

tu ricca, tu con pace, e tu con senno!

S’io dico ‘l ver, l’effetto nol nasconde.   [138]

Atene e Lacedemona, che fenno

l’antiche leggi e furon sì civili,

fecero al viver bene un picciol cenno   [141]

verso di te, che fai tanto sottili

provedimenti, ch’a mezzo novembre

non giugne quel che tu d’ottobre fili.   [144]

Quante volte, del tempo che rimembre,

legge, moneta, officio e costume

hai tu mutato e rinovate membre!   [147]

E se ben ti ricordi e vedi lume,

vedrai te somigliante a quella inferma

che non può trovar posa in su le piume,   [150]

ma con dar volta suo dolore scherma.