Inferno – Canto XXXI

Inferno – Canto XXXI / Trentunesimo Canto / Canto 31°

Temi e versi: 1-45 I giganti • 46-81 Nembrot • 82-111 Fialte, Briareo • 112-145 Anteo

Inferno

CANTO XXXI

Una medesma lingua pria mi morse,

sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,

e poi la medicina mi riporse;   [3]

così od’io che solea far la lancia

d’Achille e del suo padre esser cagione

prima di trista e poi di buona mancia.   [6]

Noi demmo il dosso al misero vallone

su per la ripa che ‘l cinge dintorno,

attraversando sanza alcun sermone.   [9]

Quiv’era men che notte e men che giorno,

sì che ‘l viso m’andava innanzi poco;

ma io senti’ sonare un alto corno,   [12]

tanto ch’avrebbe ogne tuon fatto fioco,

che, contra sé la sua via seguitando,

dirizzò li occhi miei tutti ad un loco.   [15]

Dopo la dolorosa rotta, quando

Carlo Magno perdé la santa gesta,

non sonò sì terribilmente Orlando.   [18]

Poco portai in là volta la testa,

che me parve veder molte alte torri;

ond’io: «Maestro, di’, che terra è questa?».   [21]

Ed elli a me: «Però che tu trascorri

per le tenebre troppo da la lungi,

avvien che poi nel maginare abborri.   [24]

Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi,

quanto ‘l senso s’inganna di lontano;

però alquanto più te stesso pungi».   [27]

Poi caramente mi prese per mano,

e disse: «Pria che noi siamo più avanti,

acciò che ‘l fatto men ti paia strano,   [30]

sappi che non son torri, ma giganti,

e son nel pozzo intorno da la ripa

da l’umbilico in giuso tutti quanti».   [33]

Come quando la nebbia si dissipa,

lo sguardo a poco a poco raffigura

ciò che cela ‘l vapor che l’aere stipa,   [36]

così forando l’aura grossa e scura,

più e più appressando ver’ la sponda,

fuggiemi errore e cresciemi paura;   [39]

però che come su la cerchia tonda

Montereggion di torri si corona,

così la proda che ‘l pozzo circonda   [42]

torreggiavan di mezza la persona

li orribili giganti, cui minaccia

Giove del cielo ancora quando tuona.   [45]

E io scorgeva già d’alcun la faccia,

le spalle e ‘l petto e del ventre gran parte,

e per le coste giù ambo le braccia.   [48]

Natura certo, quando lasciò l’arte

di sì fatti animali, assai fé bene

per tòrre tali essecutori a Marte.   [51]

E s’ella d’elefanti e di balene

non si pente, chi guarda sottilmente,

più giusta e più discreta la ne tene;   [54]

ché dove l’argomento de la mente

s’aggiugne al mal volere e a la possa,

nessun riparo vi può far la gente.   [57]

La faccia sua mi parea lunga e grossa

come la pina di San Pietro a Roma,

e a sua proporzione eran l’altre ossa;   [60]

sì che la ripa, ch’era perizoma

dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto

di sovra, che di giugnere a la chioma   [63]

tre Frison s’averien dato mal vanto;

però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi

dal loco in giù dov’omo affibbia ‘l manto.   [66]

«Raphél maì amèche zabì almi»,

cominciò a gridar la fiera bocca,

cui non si convenia più dolci salmi.   [69]

E ‘l duca mio ver lui: «Anima sciocca,

tienti col corno, e con quel ti disfoga

quand’ira o altra passion ti tocca!   [72]

Cércati al collo, e troverai la soga

che ‘l tien legato, o anima confusa,

e vedi lui che ‘l gran petto ti doga».   [75]

Poi disse a me: «Elli stessi s’accusa;

questi è Nembrotto per lo cui mal coto

pur un linguaggio nel mondo non s’usa.   [78]

Lasciànlo stare e non parliamo a vòto;

ché così è a lui ciascun linguaggio

come ‘l suo ad altrui, ch’a nullo è noto».   [81]

Facemmo adunque più lungo viaggio,

vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro,

trovammo l’altro assai più fero e maggio.   [84]

A cigner lui qual che fosse ‘l maestro,

non so io dir, ma el tenea soccinto

dinanzi l’altro e dietro il braccio destro   [87]

d’una catena che ‘l tenea avvinto

dal collo in giù, sì che ‘n su lo scoperto

si ravvolgea infino al giro quinto.   [90]

«Questo superbo volle esser esperto

di sua potenza contra ‘l sommo Giove»,

disse ‘l mio duca, «ond’elli ha cotal merto.   [93]

Fialte ha nome, e fece le gran prove

quando i giganti fer paura a’ dèi;

le braccia ch’el menò, già mai non move».   [96]

E io a lui: «S’esser puote, io vorrei

che de lo smisurato Briareo

esperienza avesser li occhi miei».   [99]

Ond’ei rispuose: «Tu vedrai Anteo

presso di qui che parla ed è disciolto,

che ne porrà nel fondo d’ogne reo.   [102]

Quel che tu vuo’ veder, più là è molto,

ed è legato e fatto come questo,

salvo che più feroce par nel volto».   [105]

Non fu tremoto già tanto rubesto,

che scotesse una torre così forte,

come Fialte a scuotersi fu presto.   [108]

Allor temett’io più che mai la morte,

e non v’era mestier più che la dotta,

s’io non avessi viste le ritorte.   [111]

Noi procedemmo più avante allotta,

e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,

sanza la testa, uscia fuor de la grotta.   [114]

«O tu che ne la fortunata valle

che fece Scipion di gloria reda,

quand’Anibàl co’ suoi diede le spalle,   [117]

recasti già mille leon per preda,

e che, se fossi stato a l’alta guerra

de’tuoi fratelli, ancor par che si creda   [120]

ch’avrebber vinto i figli de la terra;

mettine giù, e non ten vegna schifo,

dove Cocito la freddura serra.   [123]

Non ci fare ire a Tizio né a Tifo:

questi può dar di quel che qui si brama;

però ti china, e non torcer lo grifo.   [126]

Ancor ti può nel mondo render fama,

ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta

se ‘nnanzi tempo grazia a sé nol chiama».   [129]

Così disse ‘l maestro; e quelli in fretta

le man distese, e prese ‘l duca mio,

ond’Ercule sentì già grande stretta.   [132]

Virgilio, quando prender si sentio,

disse a me: «Fatti qua, sì ch’io ti prenda»;

poi fece sì ch’un fascio era elli e io.   [135]

Qual pare a riguardar la Carisenda

sotto ‘l chinato, quando un nuvol vada

sovr’essa sì, ched ella incontro penda;   [138]

tal parve Anteo a me che stava a bada

di vederlo chinare, e fu tal ora

ch’i’ avrei voluto ir per altra strada.   [141]

Ma lievemente al fondo che divora

Lucifero con Giuda, ci sposò;

né sì chinato, lì fece dimora,   [144]

e come albero in nave si levò.