Purgatorio – Canto III

Purgatorio – Canto III / Terzo Canto / Canto 3°

Temi e versi: 1-45 L’inizio della salita • 46-102 Gli scomunicati • 103-145 Manfredi • 130 Or le bagna la pioggia e move il vento

Purgatorio

CANTO III

Avvegna che la subitana fuga

dispergesse color per la campagna,

rivolti al monte ove ragion ne fruga,   [3]

i’ mi ristrinsi a la fida compagna:

e come sare’ io sanza lui corso?

chi m’avria tratto su per la montagna?   [6]

El mi parea da sé stesso rimorso:

o dignitosa coscienza e netta,

come t’è picciol fallo amaro morso!   [9]

Quando li piedi suoi lasciar la fretta,

che l’onestade ad ogn’atto dismaga,

la mente mia, che prima era ristretta,   [12]

lo ‘ntento rallargò, sì come vaga,

e diedi ‘l viso mio incontr’al poggio

che ‘nverso ‘l ciel più alto si dislaga.   [15]

Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,

rotto m’era dinanzi a la figura,

ch’avea in me de’ suoi raggi l’appoggio.   [18]

Io mi volsi dallato con paura

d’essere abbandonato, quand’io vidi

solo dinanzi a me la terra oscura;   [21]

e ‘l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,

a dir mi cominciò tutto rivolto;

«non credi tu me teco e ch’io ti guidi?   [24]

Vespero è già colà dov’è sepolto

lo corpo dentro al quale io facea ombra:

Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto.   [27]

Ora, se innanzi a me nulla s’aombra,

non ti maravigliar più che d’i cieli

che l’uno a l’altro raggio non ingombra.   [30]

A sofferir tormenti, caldi e geli

simili corpi la Virtù dispone

che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli.   [33]

Matto è chi spera che nostra ragione

possa trascorrer la infinita via

che tiene una sustanza in tre persone.   [36]

State contenti, umana gente, al quia;

ché se potuto aveste veder tutto,

mestier non era parturir Maria;   [39]

e disiar vedeste sanza frutto

tai che sarebbe lor disio quetato,

ch’etternalmente è dato lor per lutto:   [42]

io dico d’Aristotile e di Plato

e di molt’altri»; e qui chinò la fronte,

e più non disse, e rimase turbato.   [45]

Noi divenimmo intanto a piè del monte;

quivi trovammo la roccia sì erta,

che ‘ndarno vi sarien le gambe pronte.   [48]

Tra Lerice e Turbìa la più diserta,

la più rotta ruina è una scala,

verso di quella, agevole e aperta.   [51]

«Or chi sa da qual man la costa cala»,

disse ‘l maestro mio fermando ‘l passo,

«sì che possa salir chi va sanz’ala?».   [54]

E mentre ch’e’ tenendo ‘l viso basso

essaminava del cammin la mente,

e io mirava suso intorno al sasso,   [57]

da man sinistra m’apparì una gente

d’anime, che movieno i piè ver’ noi,

e non pareva, sì venian lente.   [60]

«Leva», diss’io, «maestro, li occhi tuoi:

ecco di qua chi ne darà consiglio,

se tu da te medesmo aver nol puoi».   [63]

Guardò allora, e con libero piglio

rispuose: «Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;

e tu ferma la spene, dolce figlio».   [66]

Ancora era quel popol di lontano,

i’ dico dopo i nostri mille passi,

quanto un buon gittator trarria con mano,   [69]

quando si strinser tutti ai duri massi

de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti

com’a guardar, chi va dubbiando, stassi.   [72]

«O ben finiti, o già spiriti eletti»,

Virgilio incominciò, «per quella pace

ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,   [75]

ditene dove la montagna giace

sì che possibil sia l’andare in suso;

ché perder tempo a chi più sa più spiace».   [78]

Come le pecorelle escon del chiuso

a una, a due, a tre, e l’altre stanno

timidette atterrando l’occhio e ‘l muso;   [81]

e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,

addossandosi a lei, s’ella s’arresta,

semplici e quete, e lo ‘mperché non sanno;   [84]

sì vid’io muovere a venir la testa

di quella mandra fortunata allotta,

pudica in faccia e ne l’andare onesta.   [87]

Come color dinanzi vider rotta

la luce in terra dal mio destro canto,

sì che l’ombra era da me a la grotta,   [90]

restaro, e trasser sé in dietro alquanto,

e tutti li altri che venieno appresso,

non sappiendo ‘l perché, fenno altrettanto.   [93]

«Sanza vostra domanda io vi confesso

che questo è corpo uman che voi vedete;

per che ‘l lume del sole in terra è fesso.   [96]

Non vi maravigliate, ma credete

che non sanza virtù che da ciel vegna

cerchi di soverchiar questa parete».   [99]

Così ‘l maestro; e quella gente degna

«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,

coi dossi de le man faccendo insegna.   [102]

E un di loro incominciò: «Chiunque

tu se’, così andando, volgi ‘l viso:

pon mente se di là mi vedesti unque».   [105]

Io mi volsi ver lui e guardail fiso:

biondo era e bello e di gentile aspetto,

ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.   [108]

Quand’io mi fui umilmente disdetto

d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;

e mostrommi una piaga a sommo ‘l petto.   [111]

Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,

nepote di Costanza imperadrice;

ond’io ti priego che, quando tu riedi,   [114]

vadi a mia bella figlia, genitrice

de l’onor di Cicilia e d’Aragona,

e dichi ‘l vero a lei, s’altro si dice.   [117]

Poscia ch’io ebbi rotta la persona

di due punte mortali, io mi rendei,

piangendo, a quei che volontier perdona.   [120]

Orribil furon li peccati miei;

ma la bontà infinita ha sì gran braccia,

che prende ciò che si rivolge a lei.   [123]

Se ‘l pastor di Cosenza, che a la caccia

di me fu messo per Clemente allora,

avesse in Dio ben letta questa faccia,   [126]

l’ossa del corpo mio sarieno ancora

in co del ponte presso a Benevento,

sotto la guardia de la grave mora.   [129]

Or le bagna la pioggia e move il vento

di fuor dal regno, quasi lungo ‘l Verde,

dov’e’ le trasmutò a lume spento.   [132]

Per lor maladizion sì non si perde,

che non possa tornar, l’etterno amore,

mentre che la speranza ha fior del verde.   [135]

Vero è che quale in contumacia more

di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,

star li convien da questa ripa in fore,   [138]

per ognun tempo ch’elli è stato, trenta,

in sua presunzion, se tal decreto

più corto per buon prieghi non diventa.   [141]

Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,

revelando a la mia buona Costanza

come m’hai visto, e anco esto divieto;   [144]

ché qui per quei di là molto s’avanza».