Inferno – Canto XXII

Inferno – Canto XXII / Ventiduesimo Canto / Canto 22°

Temi e versi: 1-30 Diavoli e barattieri • 31-90 Ciampolo di Navarra • 91-151 Inganno di Ciampolo e zuffa dei diavoli

Inferno

CANTO XXII

Io vidi già cavalier muover campo,

e cominciare stormo e far lor mostra,

e talvolta partir per loro scampo;   [3]

corridor vidi per la terra vostra,

o Aretini, e vidi gir gualdane,

fedir torneamenti e correr giostra;   [6]

quando con trombe, e quando con campane,

con tamburi e con cenni di castella,

e con cose nostrali e con istrane;   [9]

né già con sì diversa cennamella

cavalier vidi muover né pedoni,

né nave a segno di terra o di stella.   [12]

Noi andavam con li diece demoni.

Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa

coi santi, e in taverna coi ghiottoni.   [15]

Pur a la pegola era la mia ‘ntesa,

per veder de la bolgia ogne contegno

e de la gente ch’entro v’era incesa.   [18]

Come i dalfini, quando fanno segno

a’ marinar con l’arco de la schiena,

che s’argomentin di campar lor legno,   [21]

talor così, ad alleggiar la pena,

mostrav’alcun de’ peccatori il dosso

e nascondea in men che non balena.   [24]

E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso

stanno i ranocchi pur col muso fuori,

sì che celano i piedi e l’altro grosso,   [27]

sì stavan d’ogne parte i peccatori;

ma come s’appressava Barbariccia,

così si ritraén sotto i bollori.   [30]

I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia,

uno aspettar così, com’elli ‘ncontra

ch’una rana rimane e l’altra spiccia;   [33]

e Graffiacan, che li era più di contra,

li arruncigliò le ‘mpegolate chiome

e trassel sù, che mi parve una lontra.   [36]

I’ sapea già di tutti quanti ‘l nome,

sì li notai quando fuorono eletti,

e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come.   [39]

«O Rubicante, fa che tu li metti

li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!»,

gridavan tutti insieme i maladetti.   [42]

E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi,

che tu sappi chi è lo sciagurato

venuto a man de li avversari suoi».   [45]

Lo duca mio li s’accostò allato;

domandollo ond’ei fosse, e quei rispuose:

«I’ fui del regno di Navarra nato.   [48]

Mia madre a servo d’un segnor mi puose,

che m’avea generato d’un ribaldo,

distruggitor di sé e di sue cose.   [51]

Poi fui famiglia del buon re Tebaldo:

quivi mi misi a far baratteria;

di ch’io rendo ragione in questo caldo».   [54]

E Ciriatto, a cui di bocca uscia

d’ogne parte una sanna come a porco,

li fé sentir come l’una sdruscia.   [57]

Tra male gatte era venuto ‘l sorco;

ma Barbariccia il chiuse con le braccia,

e disse: «State in là, mentr’io lo ‘nforco».   [60]

E al maestro mio volse la faccia:

«Domanda», disse, «ancor, se più disii

saper da lui, prima ch’altri ‘l disfaccia».   [63]

Lo duca dunque: «Or dì: de li altri rii

conosci tu alcun che sia latino

sotto la pece?». E quelli: «I’ mi partii,   [66]

poco è, da un che fu di là vicino.

Così foss’io ancor con lui coperto,

ch’i’ non temerei unghia né uncino!».   [69]

E Libicocco «Troppo avem sofferto»,

disse; e preseli ‘l braccio col runciglio,

sì che, stracciando, ne portò un lacerto.   [72]

Draghignazzo anco i volle dar di piglio

giuso a le gambe; onde ‘l decurio loro

si volse intorno intorno con mal piglio.   [75]

Quand’elli un poco rappaciati fuoro,

a lui, ch’ancor mirava sua ferita,

domandò ‘l duca mio sanza dimoro:   [78]

«Chi fu colui da cui mala partita

di’ che facesti per venire a proda?».

Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita,   [81]

quel di Gallura, vasel d’ogne froda,

ch’ebbe i nemici di suo donno in mano,

e fé sì lor, che ciascun se ne loda.   [84]

Danar si tolse, e lasciolli di piano,

sì com’e’ dice; e ne li altri offici anche

barattier fu non picciol, ma sovrano.   [87]

Usa con esso donno Michel Zanche

di Logodoro; e a dir di Sardigna

le lingue lor non si sentono stanche.   [90]

Omè, vedete l’altro che digrigna:

i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello

non s’apparecchi a grattarmi la tigna».   [93]

E ‘l gran proposto, vòlto a Farfarello

che stralunava li occhi per fedire,

disse: «Fatti ‘n costà, malvagio uccello!».   [96]

«Se voi volete vedere o udire»,

ricominciò lo spaurato appresso

«Toschi o Lombardi, io ne farò venire;   [99]

ma stieno i Malebranche un poco in cesso,

sì ch’ei non teman de le lor vendette;

e io, seggendo in questo loco stesso,   [102]

per un ch’io son, ne farò venir sette

quand’io suffolerò, com’è nostro uso

di fare allor che fori alcun si mette».   [105]

Cagnazzo a cotal motto levò ‘l muso,

crollando ‘l capo, e disse: «Odi malizia

ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!».   [108]

Ond’ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia,

rispuose: «Malizioso son io troppo,

quand’io procuro a’ mia maggior trestizia».   [111]

Alichin non si tenne e, di rintoppo

a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali,

io non ti verrò dietro di gualoppo,   [114]

ma batterò sovra la pece l’ali.

Lascisi ‘l collo, e sia la ripa scudo,

a veder se tu sol più di noi vali».   [117]

O tu che leggi, udirai nuovo ludo:

ciascun da l’altra costa li occhi volse;

quel prima, ch’a ciò fare era più crudo.   [120]

Lo Navarrese ben suo tempo colse;

fermò le piante a terra, e in un punto

saltò e dal proposto lor si sciolse.   [123]

Di che ciascun di colpa fu compunto,

ma quei più che cagion fu del difetto;

però si mosse e gridò: «Tu se’ giunto!».   [126]

Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto

non potero avanzar: quelli andò sotto,

e quei drizzò volando suso il petto:   [129]

non altrimenti l’anitra di botto,

quando ‘l falcon s’appressa, giù s’attuffa,

ed ei ritorna sù crucciato e rotto.   [132]

Irato Calcabrina de la buffa,

volando dietro li tenne, invaghito

che quei campasse per aver la zuffa;   [135]

e come ‘l barattier fu disparito,

così volse li artigli al suo compagno,

e fu con lui sopra ‘l fosso ghermito.   [138]

Ma l’altro fu bene sparvier grifagno

ad artigliar ben lui, e amendue

cadder nel mezzo del bogliente stagno.   [141]

Lo caldo sghermitor sùbito fue;

ma però di levarsi era neente,

sì avieno inviscate l’ali sue.   [144]

Barbariccia, con li altri suoi dolente,

quattro ne fé volar da l’altra costa

con tutt’i raffi, e assai prestamente   [147]

di qua, di là discesero a la posta;

porser li uncini verso li ‘mpaniati,

ch’eran già cotti dentro da la crosta;   [150]

e noi lasciammo lor così ‘mpacciati.