Paradiso – Canto XXX

Paradiso – Canto XXX / Trentesimo Canto / Canto 30°

Temi e canti: 1-33 Rinnovata bellezza di Beatrice • 34-54 L’Empireo • 55-81 Il fiume di luce • 82-123 La rosa celeste • 124-148 Il seggio di Arrigo VII

Paradiso

CANTO XXX

Forse semilia miglia di lontano

ci ferve l’ora sesta, e questo mondo

china già l’ombra quasi al letto piano,   [3]

quando ‘l mezzo del cielo, a noi profondo,

comincia a farsi tal, ch’alcuna stella

perde il parere infino a questo fondo;   [6]

e come vien la chiarissima ancella

del sol più oltre, così ‘l ciel si chiude

di vista in vista infino a la più bella.   [9]

Non altrimenti il triunfo che lude

sempre dintorno al punto che mi vinse,

parendo inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude,   [12]

a poco a poco al mio veder si stinse:

per che tornar con li occhi a Beatrice

nulla vedere e amor mi costrinse.   [15]

Se quanto infino a qui di lei si dice

fosse conchiuso tutto in una loda,

poca sarebbe a fornir questa vice.   [18]

La bellezza ch’io vidi si trasmoda

non pur di là da noi, ma certo io credo

che solo il suo fattor tutta la goda.   [21]

Da questo passo vinto mi concedo

più che già mai da punto di suo tema

soprato fosse comico o tragedo:   [24]

ché, come sole in viso che più trema,

così lo rimembrar del dolce riso

la mente mia da me medesmo scema.   [27]

Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso

in questa vita, infino a questa vista,

non m’è il seguire al mio cantar preciso;   [30]

ma or convien che mio seguir desista

più dietro a sua bellezza, poetando,

come a l’ultimo suo ciascuno artista.   [33]

Cotal qual io lascio a maggior bando

che quel de la mia tuba, che deduce

l’ardua sua matera terminando,   [36]

con atto e voce di spedito duce

ricominciò: «Noi siamo usciti fore

del maggior corpo al ciel ch’è pura luce:   [39]

luce intellettual, piena d’amore;

amor di vero ben, pien di letizia;

letizia che trascende ogne dolzore.   [42]

Qui vederai l’una e l’altra milizia

di paradiso, e l’una in quelli aspetti

che tu vedrai a l’ultima giustizia».   [45]

Come sùbito lampo che discetti

li spiriti visivi, sì che priva

da l’atto l’occhio di più forti obietti,   [48]

così mi circunfulse luce viva,

e lasciommi fasciato di tal velo

del suo fulgor, che nulla m’appariva.   [51]

«Sempre l’amor che queta questo cielo

accoglie in sé con sì fatta salute,

per far disposto a sua fiamma il candelo».   [54]

Non fur più tosto dentro a me venute

queste parole brievi, ch’io compresi

me sormontar di sopr’a mia virtute;   [57]

e di novella vista mi raccesi

tale, che nulla luce è tanto mera,

che li occhi miei non si fosser difesi;   [60]

e vidi lume in forma di rivera

fulvido di fulgore, intra due rive

dipinte di mirabil primavera.   [63]

Di tal fiumana uscian faville vive,

e d’ogne parte si mettìen ne’ fiori,

quasi rubin che oro circunscrive;   [66]

poi, come inebriate da li odori,

riprofondavan sé nel miro gurge;

e s’una intrava, un’altra n’uscia fori.   [69]

«L’alto disio che mo t’infiamma e urge,

d’aver notizia di ciò che tu vei,

tanto mi piace più quanto più turge;   [72]

ma di quest’acqua convien che tu bei

prima che tanta sete in te si sazi»:

così mi disse il sol de li occhi miei.   [75]

Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi

ch’entrano ed escono e ‘l rider de l’erbe

son di lor vero umbriferi prefazi.   [78]

Non che da sé sian queste cose acerbe;

ma è difetto da la parte tua,

che non hai viste ancor tanto superbe».   [81]

Non è fantin che sì sùbito rua

col volto verso il latte, se si svegli

molto tardato da l’usanza sua,   [84]

come fec’io, per far migliori spegli

ancor de li occhi, chinandomi a l’onda

che si deriva perché vi s’immegli;   [87]

e sì come di lei bevve la gronda

de le palpebre mie, così mi parve

di sua lunghezza divenuta tonda.   [90]

Poi, come gente stata sotto larve,

che pare altro che prima, se si sveste

la sembianza non sua in che disparve,   [93]

così mi si cambiaro in maggior feste

li fiori e le faville, sì ch’io vidi

ambo le corti del ciel manifeste.   [96]

O isplendor di Dio, per cu’ io vidi

l’alto triunfo del regno verace,

dammi virtù a dir com’io il vidi!   [99]

Lume è là sù che visibile face

lo creatore a quella creatura

che solo in lui vedere ha la sua pace.   [102]

E’ si distende in circular figura,

in tanto che la sua circunferenza

sarebbe al sol troppo larga cintura.   [105]

Fassi di raggio tutta sua parvenza

reflesso al sommo del mobile primo,

che prende quindi vivere e potenza.   [108]

E come clivo in acqua di suo imo

si specchia, quasi per vedersi addorno,

quando è nel verde e ne’ fioretti opimo,   [111]

sì, soprastando al lume intorno intorno,

vidi specchiarsi in più di mille soglie

quanto di noi là sù fatto ha ritorno.   [114]

E se l’infimo grado in sé raccoglie

sì grande lume, quanta è la larghezza

di questa rosa ne l’estreme foglie!   [117]

La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza

non si smarriva, ma tutto prendeva

il quanto e ‘l quale di quella allegrezza.   [120]

Presso e lontano, lì, né pon né leva:

ché dove Dio sanza mezzo governa,

la legge natural nulla rileva.   [123]

Nel giallo de la rosa sempiterna,

che si digrada e dilata e redole

odor di lode al sol che sempre verna,   [126]

qual è colui che tace e dicer vole,

mi trasse Beatrice, e disse: «Mira

quanto è ‘l convento de le bianche stole!   [129]

Vedi nostra città quant’ella gira;

vedi li nostri scanni sì ripieni,

che poca gente più ci si disira.   [132]

E ‘n quel gran seggio a che tu li occhi tieni

per la corona che già v’è sù posta,

prima che tu a queste nozze ceni,   [135]

sederà l’alma, che fia giù agosta,

de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia

verrà in prima ch’ella sia disposta.   [138]

La cieca cupidigia che v’ammalia

simili fatti v’ha al fantolino

che muor per fame e caccia via la balia.   [141]

E fia prefetto nel foro divino

allora tal, che palese e coverto

non anderà con lui per un cammino.   [144]

Ma poco poi sarà da Dio sofferto

nel santo officio; ch’el sarà detruso

là dove Simon mago è per suo merto,   [147]

e farà quel d’Alagna intrar più giuso».