Paradiso – Canto VI

Paradiso – Canto VI / Sesto Canto / Canto 6°

Temi e canti: 1-27 Giustiniano • 28-96 Storia e funzione dell’Impero • 97-111 La critica ai Guelfi e Ghibellini • 112-126 Le anime di Mercurio • 127-142 Romeo di Villanova

Paradiso

CANTO VI

«Poscia che Costantin l’aquila volse

contr’al corso del ciel, ch’ella seguio

dietro a l’antico che Lavina tolse,   [3]

cento e cent’anni e più l’uccel di Dio

ne lo stremo d’Europa si ritenne,

vicino a’ monti de’ quai prima uscìo;   [6]

e sotto l’ombra de le sacre penne

governò ‘l mondo lì di mano in mano,

e, sì cangiando, in su la mia pervenne.   [9]

Cesare fui e son Iustiniano,

che, per voler del primo amor ch’i’ sento,

d’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano.   [12]

E prima ch’io a l’ovra fossi attento,

una natura in Cristo esser, non piùe,

credea, e di tal fede era contento;   [15]

ma ‘l benedetto Agapito, che fue

sommo pastore, a la fede sincera

mi dirizzò con le parole sue.   [18]

Io li credetti; e ciò che ‘n sua fede era,

vegg’io or chiaro sì, come tu vedi

ogni contradizione e falsa e vera.   [21]

Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,

a Dio per grazia piacque di spirarmi

l’alto lavoro, e tutto ‘n lui mi diedi;   [24]

e al mio Belisar commendai l’armi,

cui la destra del ciel fu sì congiunta,

che segno fu ch’i’ dovessi posarmi.   [27]

Or qui a la question prima s’appunta

la mia risposta; ma sua condizione

mi stringe a seguitare alcuna giunta,   [30]

perché tu veggi con quanta ragione

si move contr’al sacrosanto segno

e chi ‘l s’appropria e chi a lui s’oppone.   [33]

Vedi quanta virtù l’ha fatto degno

di reverenza; e cominciò da l’ora

che Pallante morì per darli regno.   [36]

Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora

per trecento anni e oltre, infino al fine

che i tre a’ tre pugnar per lui ancora.   [39]

E sai ch’el fé dal mal de le Sabine

al dolor di Lucrezia in sette regi,

vincendo intorno le genti vicine.   [42]

Sai quel ch’el fé portato da li egregi

Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,

incontro a li altri principi e collegi;   [45]

onde Torquato e Quinzio, che dal cirro

negletto fu nomato, i Deci e ‘ Fabi

ebber la fama che volontier mirro.   [48]

Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi

che di retro ad Annibale passaro

l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.   [51]

Sott’esso giovanetti triunfaro

Scipione e Pompeo; e a quel colle

sotto ‘l qual tu nascesti parve amaro.   [54]

Poi, presso al tempo che tutto ‘l ciel volle

redur lo mondo a suo modo sereno,

Cesare per voler di Roma il tolle.   [57]

E quel che fé da Varo infino a Reno,

Isara vide ed Era e vide Senna

e ogne valle onde Rodano è pieno.   [60]

Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna

e saltò Rubicon, fu di tal volo,

che nol seguiteria lingua né penna.   [63]

Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo,

poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse

sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo.   [66]

Antandro e Simeonta, onde si mosse,

rivide e là dov’Ettore si cuba;

e mal per Tolomeo poscia si scosse.   [69]

Da indi scese folgorando a Iuba;

onde si volse nel vostro occidente,

ove sentia la pompeana tuba.   [72]

Di quel che fé col baiulo seguente,

Bruto con Cassio ne l’inferno latra,

e Modena e Perugia fu dolente.   [75]

Piangene ancor la trista Cleopatra,

che, fuggendoli innanzi, dal colubro

la morte prese subitana e atra.   [78]

Con costui corse infino al lito rubro;

con costui puose il mondo in tanta pace,

che fu serrato a Giano il suo delubro.   [81]

Ma ciò che ‘l segno che parlar mi face

fatto avea prima e poi era fatturo

per lo regno mortal ch’a lui soggiace,   [84]

diventa in apparenza poco e scuro,

se in mano al terzo Cesare si mira

con occhio chiaro e con affetto puro;   [87]

ché la viva giustizia che mi spira,

li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,

gloria di far vendetta a la sua ira.   [90]

Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:

poscia con Tito a far vendetta corse

de la vendetta del peccato antico.   [93]

E quando il dente longobardo morse

la Santa Chiesa, sotto le sue ali

Carlo Magno, vincendo, la soccorse.   [96]

Omai puoi giudicar di quei cotali

ch’io accusai di sopra e di lor falli,

che son cagion di tutti vostri mali.   [99]

L’uno al pubblico segno i gigli gialli

oppone, e l’altro appropria quello a parte,

sì ch’è forte a veder chi più si falli.   [102]

Faccian li Ghibellin, faccian lor arte

sott’altro segno; ché mal segue quello

sempre chi la giustizia e lui diparte; 104

e non l’abbatta esto Carlo novello

coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli

ch’a più alto leon trasser lo vello.   [108]

Molte fiate già pianser li figli

per la colpa del padre, e non si creda

che Dio trasmuti l’arme per suoi gigli!   [111]

Questa picciola stella si correda

di buoni spirti che son stati attivi

perché onore e fama li succeda:   [114]

e quando li disiri poggian quivi,

sì disviando, pur convien che i raggi

del vero amore in sù poggin men vivi.   [117]

Ma nel commensurar d’i nostri gaggi

col merto è parte di nostra letizia,

perché non li vedem minor né maggi.   [120]

Quindi addolcisce la viva giustizia

in noi l’affetto sì, che non si puote

torcer già mai ad alcuna nequizia.   [123]

Diverse voci fanno dolci note;

così diversi scanni in nostra vita

rendon dolce armonia tra queste rote.   [126]

E dentro a la presente margarita

luce la luce di Romeo, di cui

fu l’ovra grande e bella mal gradita.   [129]

Ma i Provenzai che fecer contra lui

non hanno riso; e però mal cammina

qual si fa danno del ben fare altrui.   [132]

Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,

Ramondo Beringhiere, e ciò li fece

Romeo, persona umìle e peregrina.   [135]

E poi il mosser le parole biece

a dimandar ragione a questo giusto,

che li assegnò sette e cinque per diece,   [138]

indi partissi povero e vetusto;

e se ‘l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe

mendicando sua vita a frusto a frusto,   [141]

assai lo loda, e più lo loderebbe».