Inferno – Canto VI

Inferno – Canto VI / Sesto Canto / Canto 6°

Temi e versi: 1-33 I golosi, Cerbero • 34-93 Ciacco • 94-115 Condizione dei dannati dopo il Giudizio universale

Inferno

CANTO VI

Al tornar de la mente, che si chiuse

dinanzi a la pietà d’i due cognati,

che di trestizia tutto mi confuse,   [3]

novi tormenti e novi tormentati

mi veggio intorno, come ch’io mi mova

e ch’io mi volga, e come che io guati.   [6]

Io sono al terzo cerchio, de la piova

etterna, maladetta, fredda e greve;

regola e qualità mai non l’è nova.   [9]

Grandine grossa, acqua tinta e neve

per l’aere tenebroso si riversa;

pute la terra che questo riceve.   [12]

Cerbero, fiera crudele e diversa,

con tre gole caninamente latra

sovra la gente che quivi è sommersa.   [15]

Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,

e ‘l ventre largo, e unghiate le mani;

graffia li spirti, iscoia ed isquatra.   [18]

Urlar li fa la pioggia come cani;

de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;

volgonsi spesso i miseri profani.   [21]

Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,

le bocche aperse e mostrocci le sanne;

non avea membro che tenesse fermo.   [24]

E ‘l duca mio distese le sue spanne,

prese la terra, e con piene le pugna

la gittò dentro a le bramose canne.   [27]

Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,

e si racqueta poi che ‘l pasto morde,

ché solo a divorarlo intende e pugna,   [30]

cotai si fecer quelle facce lorde

de lo demonio Cerbero, che ‘ntrona

l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.   [33]

Noi passavam su per l’ombre che adona

la greve pioggia, e ponavam le piante

sovra lor vanità che par persona.   [36]

Elle giacean per terra tutte quante,

fuor d’una ch’a seder si levò, ratto

ch’ella ci vide passarsi davante.   [39]

«O tu che se’ per questo ‘nferno tratto»,

mi disse, «riconoscimi, se sai:

tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto».   [42]

E io a lui: «L’angoscia che tu hai

forse ti tira fuor de la mia mente,

sì che non par ch’i’ ti vedessi mai.   [45]

Ma dimmi chi tu se’ che ‘n sì dolente

loco se’ messo e hai sì fatta pena,

che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente».   [48]

Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena

d’invidia sì che già trabocca il sacco,

seco mi tenne in la vita serena.   [51]

Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:

per la dannosa colpa de la gola,

come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.   [54]

E io anima trista non son sola,

ché tutte queste a simil pena stanno

per simil colpa». E più non fé parola.   [57]

Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno

mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ‘nvita;

ma dimmi, se tu sai, a che verranno   [60]

li cittadin de la città partita;

s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione

per che l’ha tanta discordia assalita».   [63]

E quelli a me: «Dopo lunga tencione

verranno al sangue, e la parte selvaggia

caccerà l’altra con molta offensione.   [66]

Poi appresso convien che questa caggia

infra tre soli, e che l’altra sormonti

con la forza di tal che testé piaggia.   [69]

Alte terrà lungo tempo le fronti,

tenendo l’altra sotto gravi pesi,

come che di ciò pianga o che n’aonti.   [72]

Giusti son due, e non vi sono intesi;

superbia, invidia e avarizia sono

le tre faville c’hanno i cuori accesi».   [75]

Qui puose fine al lagrimabil suono.

E io a lui: «Ancor vo’ che mi ‘nsegni,

e che di più parlar mi facci dono.   [78]

Farinata e ‘l Tegghiaio, che fuor sì degni,

Iacopo Rusticucci, Arrigo e ‘l Mosca

e li altri ch’a ben far puoser li ‘ngegni,   [81]

dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;

ché gran disio mi stringe di savere

se ‘l ciel li addolcia, o lo ‘nferno li attosca».   [84]

E quelli: «Ei son tra l’anime più nere:

diverse colpe giù li grava al fondo:

se tanto scendi, là i potrai vedere.   [87]

Ma quando tu sarai nel dolce mondo,

priegoti ch’a la mente altrui mi rechi:

più non ti dico e più non ti rispondo».   [90]

Li diritti occhi torse allora in biechi;

guardommi un poco, e poi chinò la testa:

cadde con essa a par de li altri ciechi.   [93]

E ‘l duca disse a me: «Più non si desta

di qua dal suon de l’angelica tromba,

quando verrà la nimica podesta:   [96]

ciascun rivederà la trista tomba,

ripiglierà sua carne e sua figura,

udirà quel ch’in etterno rimbomba».   [99]

Sì trapassammo per sozza mistura

de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti,

toccando un poco la vita futura;   [102]

per ch’io dissi: «Maestro, esti tormenti

crescerann’ei dopo la gran sentenza,

o fier minori, o saran sì cocenti?».   [105]

Ed elli a me: «Ritorna a tua scienza,

che vuol, quanto la cosa è più perfetta,

più senta il bene, e così la doglienza.   [108]

Tutto che questa gente maladetta

in vera perfezion già mai non vada,

di là più che di qua essere aspetta».   [111]

Noi aggirammo a tondo quella strada,

parlando più assai ch’i’ non ridico;

venimmo al punto dove si digrada:   [114]

quivi trovammo Pluto, il gran nemico.