Paradiso – Canto XXIV

Paradiso – Canto XXIV / Ventiquattresimo Canto / Canto 24°

Temi e canti: 1-45 Preghiera di Beatrice e risposta di san Pietro • 46-147 Dante esaminato sulla fedeFede è sustanza di cose sperate • 148-154 Approvazione di san Pietro

Paradiso

CANTO XXIV

«O sodalizio eletto a la gran cena

del benedetto Agnello, il qual vi ciba

sì, che la vostra voglia è sempre piena,   [3]

se per grazia di Dio questi preliba

di quel che cade de la vostra mensa,

prima che morte tempo li prescriba,   [6]

ponete mente a l’affezione immensa

e roratelo alquanto: voi bevete

sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa».   [9]

Così Beatrice; e quelle anime liete

si fero spere sopra fissi poli,

fiammando, a volte, a guisa di comete.   [12]

E come cerchi in tempra d’oriuoli

si giran sì, che ‘l primo a chi pon mente

quieto pare, e l’ultimo che voli;   [15]

così quelle carole, differente-mente

danzando, de la sua ricchezza

mi facieno stimar, veloci e lente.   [18]

Di quella ch’io notai di più carezza

vid’io uscire un foco sì felice,

che nullo vi lasciò di più chiarezza;   [21]

e tre fiate intorno di Beatrice

si volse con un canto tanto divo,

che la mia fantasia nol mi ridice.   [24]

Però salta la penna e non lo scrivo:

ché l’imagine nostra a cotai pieghe,

non che ‘l parlare, è troppo color vivo.   [27]

«O santa suora mia che sì ne prieghe

divota, per lo tuo ardente affetto

da quella bella spera mi disleghe».   [30]

Poscia fermato, il foco benedetto

a la mia donna dirizzò lo spiro,

che favellò così com’i’ ho detto.   [33]

Ed ella: «O luce etterna del gran viro

a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,

ch’ei portò giù, di questo gaudio miro,   [36]

tenta costui di punti lievi e gravi,

come ti piace, intorno de la fede,

per la qual tu su per lo mare andavi.   [39]

S’elli ama bene e bene spera e crede,

non t’è occulto, perché ‘l viso hai quivi

dov’ogne cosa dipinta si vede;   [42]

ma perché questo regno ha fatto civi

per la verace fede, a gloriarla,

di lei parlare è ben ch’a lui arrivi».   [45]

Sì come il baccialier s’arma e non parla

fin che ‘l maestro la question propone,

per approvarla, non per terminarla,   [48]

così m’armava io d’ogne ragione

mentre ch’ella dicea, per esser presto

a tal querente e a tal professione.   [51]

«Di’, buon Cristiano, fatti manifesto:

fede che è?». Ond’io levai la fronte

in quella luce onde spirava questo;   [54]

poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte

sembianze femmi perch’io spandessi

l’acqua di fuor del mio interno fonte.   [57]

«La Grazia che mi dà ch’io mi confessi»,

comincia’ io, «da l’alto primipilo,

faccia li miei concetti bene espressi».   [60]

E seguitai: «Come ‘l verace stilo

ne scrisse, padre, del tuo caro frate

che mise teco Roma nel buon filo,   [63]

fede è sustanza di cose sperate

e argomento de le non parventi;

e questa pare a me sua quiditate».   [66]

Allora udi’: «Dirittamente senti,

se bene intendi perché la ripuose

tra le sustanze, e poi tra li argomenti».   [69]

E io appresso: «Le profonde cose

che mi largiscon qui la lor parvenza,

a li occhi di là giù son sì ascose,   [72]

che l’esser loro v’è in sola credenza,

sopra la qual si fonda l’alta spene;

e però di sustanza prende intenza.   [75]

E da questa credenza ci convene

silogizzar, sanz’avere altra vista:

però intenza d’argomento tene».   [78]

Allora udi’: «Se quantunque s’acquista

giù per dottrina, fosse così ‘nteso,

non lì avria loco ingegno di sofista».   [81]

Così spirò di quello amore acceso;

indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa

d’esta moneta già la lega e ‘l peso;   [84]

ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa».

Ond’io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,

che nel suo conio nulla mi s’inforsa».   [87]

Appresso uscì de la luce profonda

che lì splendeva: «Questa cara gioia

sopra la quale ogne virtù si fonda,   [90]

onde ti venne?». E io: «La larga ploia

de lo Spirito Santo, ch’è diffusa

in su le vecchie e ‘n su le nuove cuoia,   [93]

è silogismo che la m’ha conchiusa

acutamente sì, che ‘nverso d’ella

ogne dimostrazion mi pare ottusa».   [96]

Io udi’ poi: «L’antica e la novella

proposizion che così ti conchiude,

perché l’hai tu per divina favella?».   [99]

E io: «La prova che ‘l ver mi dischiude,

son l’opere seguite, a che natura

non scalda ferro mai né batte incude».   [102]

Risposto fummi: «Di’, chi t’assicura

che quell’opere fosser? Quel medesmo

che vuol provarsi, non altri, il ti giura».   [105]

«Se ‘l mondo si rivolse al cristianesmo»,

diss’io, «sanza miracoli, quest’uno

è tal, che li altri non sono il centesmo:   [108]

ché tu intrasti povero e digiuno

in campo, a seminar la buona pianta

che fu già vite e ora è fatta pruno».   [111]

Finito questo, l’alta corte santa

risonò per le spere un ‘Dio laudamo’

ne la melode che là sù si canta.   [114]

E quel baron che sì di ramo in ramo,

essaminando, già tratto m’avea,

che a l’ultime fronde appressavamo,   [117]

ricominciò: «La Grazia, che donnea

con la tua mente, la bocca t’aperse

infino a qui come aprir si dovea,   [120]

sì ch’io approvo ciò che fuori emerse;

ma or conviene espremer quel che credi,

e onde a la credenza tua s’offerse».   [123]

«O santo padre, e spirito che vedi

ciò che credesti sì, che tu vincesti

ver’ lo sepulcro più giovani piedi»,   [126]

comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti

la forma qui del pronto creder mio,

e anche la cagion di lui chiedesti.   [129]

E io rispondo: Io credo in uno Dio

solo ed etterno, che tutto ‘l ciel move,

non moto, con amore e con disio;   [132]

e a tal creder non ho io pur prove

fisice e metafisice, ma dalmi

anche la verità che quinci piove   [135]

per Moisè, per profeti e per salmi,

per l’Evangelio e per voi che scriveste

poi che l’ardente Spirto vi fé almi;   [138]

e credo in tre persone etterne, e queste

credo una essenza sì una e sì trina,

che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’.   [141]

De la profonda condizion divina

ch’io tocco mo, la mente mi sigilla

più volte l’evangelica dottrina.   [144]

Quest’è ‘l principio, quest’è la favilla

che si dilata in fiamma poi vivace,

e come stella in cielo in me scintilla».   [147]

Come ‘l segnor ch’ascolta quel che i piace,

da indi abbraccia il servo, gratulando

per la novella, tosto ch’el si tace;   [150]

così, benedicendomi cantando,

tre volte cinse me, sì com’io tacqui,

l’appostolico lume al cui comando   [153]

io avea detto: sì nel dir li piacqui!