Purgatorio – Canto XVII

Purgatorio – Canto XVII / Diciassettesimo Canto / Canto 17°

Temi e canti: 1-39 Visioni di ira punita • 40-75 L’angelo della pace • 76-139 Dottrina dell’amore e ordinamento del purgatorio

Purgatorio

CANTO XVII

Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe

ti colse nebbia per la qual vedessi

non altrimenti che per pelle talpe,   [3]

come, quando i vapori umidi e spessi

a diradar cominciansi, la spera

del sol debilemente entra per essi;   [6]

e fia la tua imagine leggera

in giugnere a veder com’io rividi

lo sole in pria, che già nel corcar era.   [9]

Sì, pareggiando i miei co’ passi fidi

del mio maestro, usci’ fuor di tal nube

ai raggi morti già ne’ bassi lidi.   [12]

O imaginativa che ne rube

talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge

perché dintorno suonin mille tube,   [15]

chi move te, se ‘l senso non ti porge?

Moveti lume che nel ciel s’informa,

per sé o per voler che giù lo scorge.   [18]

De l’empiezza di lei che mutò forma

ne l’uccel ch’a cantar più si diletta,

ne l’imagine mia apparve l’orma;   [21]

e qui fu la mia mente sì ristretta

dentro da sé, che di fuor non venìa

cosa che fosse allor da lei ricetta.   [24]

Poi piovve dentro a l’alta fantasia

un crucifisso dispettoso e fero

ne la sua vista, e cotal si morìa;   [27]

intorno ad esso era il grande Assuero,

Estèr sua sposa e ‘l giusto Mardoceo,

che fu al dire e al far così intero.   [30]

E come questa imagine rompeo

sé per sé stessa, a guisa d’una bulla

cui manca l’acqua sotto qual si feo,   [33]

surse in mia visione una fanciulla

piangendo forte, e dicea: «O regina,

perché per ira hai voluto esser nulla?   [36]

Ancisa t’hai per non perder Lavina;

or m’hai perduta! Io son essa che lutto,

madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina».   [39]

Come si frange il sonno ove di butto

nova luce percuote il viso chiuso,

che fratto guizza pria che muoia tutto;   [42]

così l’imaginar mio cadde giuso

tosto che lume il volto mi percosse,

maggior assai che quel ch’è in nostro uso.   [45]

I’ mi volgea per veder ov’io fosse,

quando una voce disse «Qui si monta»,

che da ogne altro intento mi rimosse;   [48]

e fece la mia voglia tanto pronta

di riguardar chi era che parlava,

che mai non posa, se non si raffronta.   [51]

Ma come al sol che nostra vista grava

e per soverchio sua figura vela,

così la mia virtù quivi mancava.   [54]

«Questo è divino spirito, che ne la

via da ir sù ne drizza sanza prego,

e col suo lume sé medesmo cela.   [57]

Sì fa con noi, come l’uom si fa sego;

ché quale aspetta prego e l’uopo vede,

malignamente già si mette al nego.   [60]

Or accordiamo a tanto invito il piede;

procacciam di salir pria che s’abbui,

ché poi non si poria, se ‘l dì non riede».   [63]

Così disse il mio duca, e io con lui

volgemmo i nostri passi ad una scala;

e tosto ch’io al primo grado fui,   [66]

senti’mi presso quasi un muover d’ala

e ventarmi nel viso e dir: ‘Beati

pacifici, che son sanz’ira mala!’.   [69]

Già eran sovra noi tanto levati

li ultimi raggi che la notte segue,

che le stelle apparivan da più lati.   [72]

‘O virtù mia, perché sì ti dilegue?’,

fra me stesso dicea, ché mi sentiva

la possa de le gambe posta in triegue.   [75]

Noi eravam dove più non saliva

la scala sù, ed eravamo affissi,

pur come nave ch’a la piaggia arriva.   [78]

E io attesi un poco, s’io udissi

alcuna cosa nel novo girone;

poi mi volsi al maestro mio, e dissi:   [81]

«Dolce mio padre, dì , quale offensione

si purga qui nel giro dove semo?

Se i piè si stanno, non stea tuo sermone».   [84]

Ed elli a me: «L’amor del bene, scemo

del suo dover, quiritta si ristora;

qui si ribatte il mal tardato remo.   [87]

Ma perché più aperto intendi ancora,

volgi la mente a me, e prenderai

alcun buon frutto di nostra dimora».   [90]

«Né creator né creatura mai»,

cominciò el, «figliuol, fu sanza amore,

o naturale o d’animo; e tu ‘l sai.   [93]

Lo naturale è sempre sanza errore,

ma l’altro puote errar per malo obietto

o per troppo o per poco di vigore.   [96]

Mentre ch’elli è nel primo ben diretto,

e ne’ secondi sé stesso misura,

esser non può cagion di mal diletto;   [99]

ma quando al mal si torce, o con più cura

o con men che non dee corre nel bene,

contra ‘l fattore adovra sua fattura.   [102]

Quinci comprender puoi ch’esser convene

amor sementa in voi d’ogne virtute

e d’ogne operazion che merta pene.   [105]

Or, perché mai non può da la salute

amor del suo subietto volger viso,

da l’odio proprio son le cose tute;   [108]

e perché intender non si può diviso,

e per sé stante, alcuno esser dal primo,

da quello odiare ogne effetto è deciso.   [111]

Resta, se dividendo bene stimo,

che ‘l mal che s’ama è del prossimo; ed esso

amor nasce in tre modi in vostro limo.   [114]

E’ chi, per esser suo vicin soppresso,

spera eccellenza, e sol per questo brama

ch’el sia di sua grandezza in basso messo;   [117]

è chi podere, grazia, onore e fama

teme di perder perch’altri sormonti,

onde s’attrista sì che ‘l contrario ama;   [120]

ed è chi per ingiuria par ch’aonti,

sì che si fa de la vendetta ghiotto,

e tal convien che ‘l male altrui impronti.   [123]

Questo triforme amor qua giù di sotto

si piange; or vo’ che tu de l’altro intende,

che corre al ben con ordine corrotto.   [120]

Ciascun confusamente un bene apprende

nel qual si queti l’animo, e disira;

per che di giugner lui ciascun contende.   [123]

Se lento amore a lui veder vi tira

o a lui acquistar, questa cornice,

dopo giusto penter, ve ne martira.   [126]

Altro ben è che non fa l’uom felice;

non è felicità, non è la buona

essenza, d’ogne ben frutto e radice.   [129]

L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona,

di sovr’a noi si piange per tre cerchi;

ma come tripartito si ragiona,   [132]

tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi».