Inferno – Canto XVII

Inferno – Canto XVII / Diciassettesimo Canto / Canto 17°

Temi e versi: 1-27 Gerione • 28-78 Gli usurai • 79-136 Discesa all’ottavo cerchio

Inferno

CANTO XVII

«Ecco la fiera con la coda aguzza,

che passa i monti, e rompe i muri e l’armi!

Ecco colei che tutto ‘l mondo appuzza!».   [3]

Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;

e accennolle che venisse a proda

vicino al fin d’i passeggiati marmi.   [6]

E quella sozza imagine di froda

sen venne, e arrivò la testa e ‘l busto,

ma ‘n su la riva non trasse la coda.   [9]

La faccia sua era faccia d’uom giusto,

tanto benigna avea di fuor la pelle,

e d’un serpente tutto l’altro fusto;   [12]

due branche avea pilose insin l’ascelle;

lo dosso e ‘l petto e ambedue le coste

dipinti avea di nodi e di rotelle.   [15]

Con più color, sommesse e sovraposte

non fer mai drappi Tartari né Turchi,

né fuor tai tele per Aragne imposte.   [18]

Come tal volta stanno a riva i burchi,

che parte sono in acqua e parte in terra,

e come là tra li Tedeschi lurchi   [21]

lo bivero s’assetta a far sua guerra,

così la fiera pessima si stava

su l’orlo ch’è di pietra e ‘l sabbion serra.   [24]

Nel vano tutta sua coda guizzava,

torcendo in sù la venenosa forca

ch’a guisa di scorpion la punta armava.   [27]

Lo duca disse: «Or convien che si torca

la nostra via un poco insino a quella

bestia malvagia che colà si corca».   [30]

Però scendemmo a la destra mammella,

e diece passi femmo in su lo stremo,

per ben cessar la rena e la fiammella.   [33]

E quando noi a lei venuti semo,

poco più oltre veggio in su la rena

gente seder propinqua al loco scemo.   [36]

Quivi ‘l maestro «Acciò che tutta piena

esperienza d’esto giron porti»,

mi disse, «va, e vedi la lor mena.   [39]

Li tuoi ragionamenti sian là corti:

mentre che torni, parlerò con questa,

che ne conceda i suoi omeri forti».   [42]

Così ancor su per la strema testa

di quel settimo cerchio tutto solo

andai, dove sedea la gente mesta.   [45]

Per li occhi fora scoppiava lor duolo;

è di qua, di là soccorrien con le mani

quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:   [48]

non altrimenti fan di state i cani

or col ceffo, or col piè, quando son morsi

o da pulci o da mosche o da tafani.   [51]

Poi che nel viso a certi li occhi porsi,

ne’ quali ‘l doloroso foco casca,

non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi   [54]

che dal collo a ciascun pendea una tasca

ch’avea certo colore e certo segno,

e quindi par che ‘l loro occhio si pasca.   [57]

E com’io riguardando tra lor vegno,

in una borsa gialla vidi azzurro

che d’un leone avea faccia e contegno.   [60]

Poi, procedendo di mio sguardo il curro,

vidine un’altra come sangue rossa,

mostrando un’oca bianca più che burro.   [63]

E un che d’una scrofa azzurra e grossa

segnato avea lo suo sacchetto bianco,

mi disse: «Che fai tu in questa fossa?   [66]

Or te ne va; e perché se’ vivo anco,

sappi che ‘l mio vicin Vitaliano

sederà qui dal mio sinistro fianco.   [69]

Con questi Fiorentin son padoano:

spesse fiate mi ‘ntronan li orecchi

gridando: “Vegna ‘l cavalier sovrano,   [72]

che recherà la tasca con tre becchi!”».

Qui distorse la bocca e di fuor trasse

la lingua, come bue che ‘l naso lecchi.   [75]

E io, temendo no ‘l più star crucciasse

lui che di poco star m’avea ‘mmonito,

torna’mi in dietro da l’anime lasse.   [78]

Trova’ il duca mio ch’era salito

già su la groppa del fiero animale,

e disse a me: «Or sie forte e ardito.   [81]

Omai si scende per sì fatte scale:

monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,

sì che la coda non possa far male».   [84]

Qual è colui che sì presso ha ‘l riprezzo

de la quartana, c’ha già l’unghie smorte,

e triema tutto pur guardando ‘l rezzo,   [87]

tal divenn’io a le parole porte;

ma vergogna mi fé le sue minacce,

che innanzi a buon segnor fa servo forte.   [90]

I’ m’assettai in su quelle spallacce;

sì volli dir, ma la voce non venne

com’io credetti: ‘Fa che tu m’abbracce’.   [93]

Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne

ad altro forse, tosto ch’i’ montai

con le braccia m’avvinse e mi sostenne;   [96]

e disse: «Gerion, moviti omai:

le rote larghe e lo scender sia poco:

pensa la nova soma che tu hai».   [99]

Come la navicella esce di loco

in dietro in dietro, sì quindi si tolse;

e poi ch’al tutto si sentì a gioco,   [102]

là ‘v’era ‘l petto, la coda rivolse,

e quella tesa, come anguilla, mosse,

e con le branche l’aere a sé raccolse.   [105]

Maggior paura non credo che fosse

quando Fetonte abbandonò li freni,

per che ‘l ciel, come pare ancor, si cosse;   [108]

né quando Icaro misero le reni

sentì spennar per la scaldata cera,

gridando il padre a lui «Mala via tieni!»,   [111]

che fu la mia, quando vidi ch’i’ era

ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta

ogne veduta fuor che de la fera.   [114]

Ella sen va notando lenta lenta:

rota e discende, ma non me n’accorgo

se non che al viso e di sotto mi venta.   [117]

Io sentia già da la man destra il gorgo

far sotto noi un orribile scroscio,

per che con li occhi ‘n giù la testa sporgo.   [120]

Allor fu’ io più timido a lo stoscio,

però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;

ond’io tremando tutto mi raccoscio.   [123]

E vidi poi, ché nol vedea davanti,

lo scendere e ‘l girar per li gran mali

che s’appressavan da diversi canti.   [126]

Come ‘l falcon ch’è stato assai su l’ali,

che sanza veder logoro o uccello

fa dire al falconiere «Omè, tu cali!»,   [129]

discende lasso onde si move isnello,

per cento rote, e da lunge si pone

dal suo maestro, disdegnoso e fello;   [132]

così ne puose al fondo Gerione

al piè al piè de la stagliata rocca

e, discarcate le nostre persone,   [135]

si dileguò come da corda cocca.