Paradiso – Canto I

Paradiso – Canto I / Primo Canto / Canto 1°

Temi e Canti: 1-36 Protasi e invocazione • 34 Poca favilla gran fiamma seconda • 37-81 Ascesa al cielo • 82-93 Primo dubbio di Dante chiarito da Beatrice • 94-142 Secondo dubbio; esistenza di un ordine universale

Paradiso

CANTO I

La gloria di colui che tutto move

per l’universo penetra, e risplende

in una parte più e meno altrove.   [3]

Nel ciel che più de la sua luce prende

fu’ io, e vidi cose che ridire

né sa né può chi di là sù discende;   [6]

perché appressando sé al suo disire,

nostro intelletto si profonda tanto,

che dietro la memoria non può ire.   [9]

Veramente quant’io del regno santo

ne la mia mente potei far tesoro,

sarà ora materia del mio canto.   [12]

O buono Appollo, a l’ultimo lavoro

fammi del tuo valor sì fatto vaso,

come dimandi a dar l’amato alloro.   [15]

Infino a qui l’un giogo di Parnaso

assai mi fu; ma or con amendue

m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.   [18]

Entra nel petto mio, e spira tue

sì come quando Marsia traesti

de la vagina de le membra sue.   [21]

O divina virtù, se mi ti presti

tanto che l’ombra del beato regno

segnata nel mio capo io manifesti,   [24]

vedra’mi al piè del tuo diletto legno

venire, e coronarmi de le foglie

che la materia e tu mi farai degno.   [27]

Sì rade volte, padre, se ne coglie

per triunfare o cesare o poeta,

colpa e vergogna de l’umane voglie,   [30]

che parturir letizia in su la lieta

delfica deità dovria la fronda

peneia, quando alcun di sé asseta.   [33]

Poca favilla gran fiamma seconda:

forse di retro a me con miglior voci

si pregherà perché Cirra risponda.   [36]

Surge ai mortali per diverse foci

la lucerna del mondo; ma da quella

che quattro cerchi giugne con tre croci,   [39]

con miglior corso e con migliore stella

esce congiunta, e la mondana cera

più a suo modo tempera e suggella.   [42]

Fatto avea di là mane e di qua sera

tal foce, e quasi tutto era là bianco

quello emisperio, e l’altra parte nera,   [45]

quando Beatrice in sul sinistro fianco

vidi rivolta e riguardar nel sole:

aquila sì non li s’affisse unquanco.   [48]

E sì come secondo raggio suole

uscir del primo e risalire in suso,

pur come pelegrin che tornar vuole,   [51]

così de l’atto suo, per li occhi infuso

ne l’imagine mia, il mio si fece,

e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso.   [54]

Molto è licito là, che qui non lece

a le nostre virtù, mercé del loco

fatto per proprio de l’umana spece.   [57]

Io nol soffersi molto, né sì poco,

ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,

com’ferro che bogliente esce del foco;   [60]

e di sùbito parve giorno a giorno

essere aggiunto, come quei che puote

avesse il ciel d’un altro sole addorno.   [63]

Beatrice tutta ne l’etterne rote

fissa con li occhi stava; e io in lei

le luci fissi, di là sù rimote.   [66]

Nel suo aspetto tal dentro mi fei,

qual si fé Glauco nel gustar de l’erba

che ‘l fé consorto in mar de li altri dèi.   [69]

Trasumanar significar per verba

non si poria; però l’essemplo basti

a cui esperienza grazia serba.   [72]

S’i’ era sol di me quel che creasti

novellamente, amor che ‘l ciel governi,

tu ‘l sai, che col tuo lume mi levasti.   [75]

Quando la rota che tu sempiterni

desiderato, a sé mi fece atteso

con l’armonia che temperi e discerni,   [78]

parvemi tanto allor del cielo acceso

de la fiamma del sol, che pioggia o fiume

lago non fece alcun tanto disteso.   [81]

La novità del suono e ‘l grande lume

di lor cagion m’accesero un disio

mai non sentito di cotanto acume.   [84]

Ond’ella, che vedea me sì com’io,

a quietarmi l’animo commosso,

pria ch’io a dimandar, la bocca aprio,   [87]

e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso

col falso imaginar, sì che non vedi

ciò che vedresti se l’avessi scosso.   [90]

Tu non se’ in terra, sì come tu credi;

ma folgore, fuggendo il proprio sito,

non corse come tu ch’ad esso riedi».   [93]

S’io fui del primo dubbio disvestito

per le sorrise parolette brevi,

dentro ad un nuovo più fu’ inretito,   [96]

e dissi: «Già contento requievi

di grande ammirazion; ma ora ammiro

com’io trascenda questi corpi levi».   [99]

Ond’ella, appresso d’un pio sospiro,

li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante

che madre fa sovra figlio deliro,   [102]

e cominciò: «Le cose tutte quante

hanno ordine tra loro, e questo è forma

che l’universo a Dio fa simigliante.   [105]

Qui veggion l’alte creature l’orma

de l’etterno valore, il qual è fine

al quale è fatta la toccata norma.   [108]

Ne l’ordine ch’io dico sono accline

tutte nature, per diverse sorti,

più al principio loro e men vicine;   [111]

onde si muovono a diversi porti

per lo gran mar de l’essere, e ciascuna

con istinto a lei dato che la porti.   [114]

Questi ne porta il foco inver’ la luna;

questi ne’ cor mortali è permotore;

questi la terra in sé stringe e aduna;   [117]

né pur le creature che son fore

d’intelligenza quest’arco saetta

ma quelle c’hanno intelletto e amore.   [120]

La provedenza, che cotanto assetta,

del suo lume fa ‘l ciel sempre quieto

nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;   [123]

e ora lì, come a sito decreto,

cen porta la virtù di quella corda

che ciò che scocca drizza in segno lieto.   [126]

Vero è che, come forma non s’accorda

molte fiate a l’intenzion de l’arte,

perch’a risponder la materia è sorda,   [129]

così da questo corso si diparte

talor la creatura, c’ha podere

di piegar, così pinta, in altra parte;   [132]

e sì come veder si può cadere

foco di nube, sì l’impeto primo

l’atterra torto da falso piacere.   [135]

Non dei più ammirar, se bene stimo,

lo tuo salir, se non come d’un rivo

se d’alto monte scende giuso ad imo.   [138]

Maraviglia sarebbe in te se, privo

d’impedimento, giù ti fossi assiso,

com’a terra quiete in foco vivo».   [141]

Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.