Inferno – Canto XXXII

Inferno – Canto XXXII / Trentaduesimo Canto / Canto 32°

Temi e versi: 1-15 Invocazione di Dante • 16-51 La Caina: i traditori dei congiunti • 52-69 Camicione de’ Pazzi • 70-123 L’Antenora: Bocca degli Abati • 124-139 Il conte Ugolino e l’arcivescovo Ruggieri

Inferno

CANTO XXXII

S’io avessi le rime aspre e chiocce,

come si converrebbe al tristo buco

sovra ‘l qual pontan tutte l’altre rocce,   [3]

io premerei di mio concetto il suco

più pienamente; ma perch’io non l’abbo,

non sanza tema a dicer mi conduco;   [6]

ché non è impresa da pigliare a gabbo

discriver fondo a tutto l’universo,

né da lingua che chiami mamma o babbo.   [9]

Ma quelle donne aiutino il mio verso

ch’aiutaro Anfione a chiuder Tebe,

sì che dal fatto il dir non sia diverso.   [12]

Oh sovra tutte mal creata plebe

che stai nel loco onde parlare è duro,

mei foste state qui pecore o zebe!   [15]

Come noi fummo giù nel pozzo scuro

sotto i piè del gigante assai più bassi,

e io mirava ancora a l’alto muro,   [18]

dicere udi’mi: «Guarda come passi:

va sì, che tu non calchi con le piante

le teste de’ fratei miseri lassi».   [21]

Per ch’io mi volsi, e vidimi davante

e sotto i piedi un lago che per gelo

avea di vetro e non d’acqua sembiante.   [24]

Non fece al corso suo sì grosso velo

di verno la Danoia in Osterlicchi,

né Tanai là sotto ‘l freddo cielo,   [27]

com’era quivi; che se Tambernicchi

vi fosse sù caduto, o Pietrapana,

non avria pur da l’orlo fatto cricchi.   [30]

E come a gracidar si sta la rana

col muso fuor de l’acqua, quando sogna

di spigolar sovente la villana;   [33]

livide, insin là dove appar vergogna

eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia,

mettendo i denti in nota di cicogna.   [36]

Ognuna in giù tenea volta la faccia;

da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo

tra lor testimonianza si procaccia.   [39]

Quand’io m’ebbi dintorno alquanto visto,

volsimi a’ piedi, e vidi due sì stretti,

che ‘l pel del capo avieno insieme misto.   [42]

«Ditemi, voi che sì strignete i petti»,

diss’io, «chi siete?». E quei piegaro i colli;

e poi ch’ebber li visi a me eretti,   [45]

li occhi lor, ch’eran pria pur dentro molli,

gocciar su per le labbra, e ‘l gelo strinse

le lagrime tra essi e riserrolli.   [48]

Con legno legno spranga mai non cinse

forte così; ond’ei come due becchi

cozzaro insieme, tanta ira li vinse.   [51]

E un ch’avea perduti ambo li orecchi

per la freddura, pur col viso in giùe,

disse: «Perché cotanto in noi ti specchi?   [54]

Se vuoi saper chi son cotesti due,

la valle onde Bisenzo si dichina

del padre loro Alberto e di lor fue.   [57]

D’un corpo usciro; e tutta la Caina

potrai cercare, e non troverai ombra

degna più d’esser fitta in gelatina;   [60]

non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra

con esso un colpo per la man d’Artù;

non Focaccia; non questi che m’ingombra   [63]

col capo sì, ch’i’ non veggio oltre più,

e fu nomato Sassol Mascheroni;

se tosco se’, ben sai omai chi fu.   [66]

E perché non mi metti in più sermoni,

sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi;

e aspetto Carlin che mi scagioni».   [69]

Poscia vid’io mille visi cagnazzi

fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,

e verrà sempre, de’ gelati guazzi.   [72]

E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo

al quale ogne gravezza si rauna,

e io tremava ne l’etterno rezzo;   [75]

se voler fu o destino o fortuna,

non so; ma, passeggiando tra le teste,

forte percossi ‘l piè nel viso ad una.   [78]

Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste?

se tu non vieni a crescer la vendetta

di Montaperti, perché mi moleste?».   [81]

E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta,

si ch’io esca d’un dubbio per costui;

poi mi farai, quantunque vorrai, fretta».   [84]

Lo duca stette, e io dissi a colui

che bestemmiava duramente ancora:

«Qual se’ tu che così rampogni altrui?».   [87]

«Or tu chi se’ che vai per l’Antenora,

percotendo», rispuose, «altrui le gote,

sì che, se fossi vivo, troppo fora?».   [90]

«Vivo son io, e caro esser ti puote»,

fu mia risposta, «se dimandi fama,

ch’io metta il nome tuo tra l’altre note».   [93]

Ed elli a me: «Del contrario ho io brama.

Lèvati quinci e non mi dar più lagna,

ché mal sai lusingar per questa lama!».   [96]

Allor lo presi per la cuticagna,

e dissi: «El converrà che tu ti nomi,

o che capel qui sù non ti rimagna».   [99]

Ond’elli a me: «Perché tu mi dischiomi,

né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti,

se mille fiate in sul capo mi tomi».   [102]

Io avea già i capelli in mano avvolti,

e tratto glien’avea più d’una ciocca,

latrando lui con li occhi in giù raccolti,   [105]

quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?

non ti basta sonar con le mascelle,

se tu non latri? qual diavol ti tocca?».   [108]

«Omai», diss’io, «non vo’ che più favelle,

malvagio traditor; ch’a la tua onta

io porterò di te vere novelle».   [111]

«Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta;

ma non tacer, se tu di qua entro eschi,

di quel ch’ebbe or così la lingua pronta.   [114]

El piange qui l’argento de’ Franceschi:

“Io vidi”, potrai dir, “quel da Duera

là dove i peccatori stanno freschi”.   [117]

Se fossi domandato “Altri chi v’era?”,

tu hai dallato quel di Beccheria

di cui segò Fiorenza la gorgiera.   [120]

Gianni de’ Soldanier credo che sia

più là con Ganellone e Tebaldello,

ch’aprì Faenza quando si dormia».   [123]

Noi eravam partiti già da ello,

ch’io vidi due ghiacciati in una buca,

sì che l’un capo a l’altro era cappello;   [126]

e come ‘l pan per fame si manduca,

così ‘l sovran li denti a l’altro pose

là ‘ve ‘l cervel s’aggiugne con la nuca:   [129]

non altrimenti Tideo si rose

le tempie a Menalippo per disdegno,

che quei faceva il teschio e l’altre cose.   [132]

«O tu che mostri per sì bestial segno

odio sovra colui che tu ti mangi,

dimmi ‘l perché», diss’io, «per tal convegno,   [135]

che se tu a ragion di lui ti piangi,

sappiendo chi voi siete e la sua pecca,

nel mondo suso ancora io te ne cangi,   [138]

se quella con ch’io parlo non si secca».