Purgatorio – Canto XV

Purgatorio – Canto XV / Quindicesimo Canto / Canto 15°

Temi e canti: 1-39 L’angelo della misericordia • 40-81 Invidia e carità • 82-114 Visioni estatiche di mansuetudine • 115-145 Risveglio di Dante

Purgatorio

CANTO XV

Quanto tra l’ultimar de l’ora terza

e ‘l principio del dì par de la spera

che sempre a guisa di fanciullo scherza,   [3]

tanto pareva già inver’ la sera

essere al sol del suo corso rimaso;

vespero là, e qui mezza notte era.   [6]

E i raggi ne ferien per mezzo ‘l naso,

perché per noi girato era sì ‘l monte,

che già dritti andavamo inver’ l’occaso,   [9]

quand’io senti’ a me gravar la fronte

a lo splendore assai più che di prima,

e stupor m’eran le cose non conte;   [12]

ond’io levai le mani inver’ la cima

de le mie ciglia, e fecimi ‘l solecchio,

che del soverchio visibile lima.   [15]

Come quando da l’acqua o da lo specchio

salta lo raggio a l’opposita parte,

salendo su per lo modo parecchio   [18]

a quel che scende, e tanto si diparte

dal cader de la pietra in igual tratta,

sì come mostra esperienza e arte;   [21]

così mi parve da luce rifratta

quivi dinanzi a me esser percosso;

per che a fuggir la mia vista fu ratta.   [24]

«Che è quel, dolce padre, a che non posso

schermar lo viso tanto che mi vaglia»,

diss’io, «e pare inver’ noi esser mosso?».   [27]

«Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia

la famiglia del cielo», a me rispuose:

«messo è che viene ad invitar ch’om saglia.   [30]

Tosto sarà ch’a veder queste cose

non ti fia grave, ma fieti diletto

quanto natura a sentir ti dispuose».   [33]

Poi giunti fummo a l’angel benedetto,

con lieta voce disse: «Intrate quinci

ad un scaleo vie men che li altri eretto».   [36]

Noi montavam, già partiti di linci,

e ‘Beati misericordes!’ fue

cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’.   [39]

Lo mio maestro e io soli amendue

suso andavamo; e io pensai, andando,

prode acquistar ne le parole sue;   [42]

e dirizza’mi a lui sì dimandando:

«Che volse dir lo spirto di Romagna,

e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?».   [45]

Per ch’elli a me: «Di sua maggior magagna

conosce il danno; e però non s’ammiri

se ne riprende perché men si piagna.   [48]

Perché s’appuntano i vostri disiri

dove per compagnia parte si scema,

invidia move il mantaco a’ sospiri.   [51]

Ma se l’amor de la spera supprema

torcesse in suso il disiderio vostro,

non vi sarebbe al petto quella tema;   [54]

ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’,

tanto possiede più di ben ciascuno,

e più di caritate arde in quel chiostro».   [57]

«Io son d’esser contento più digiuno»,

diss’io, «che se mi fosse pria taciuto,

e più di dubbio ne la mente aduno.   [60]

Com’esser puote ch’un ben, distributo

in più posseditor, faccia più ricchi

di sé, che se da pochi è posseduto?».   [63]

Ed elli a me: «Però che tu rificchi

la mente pur a le cose terrene,

di vera luce tenebre dispicchi.   [66]

Quello infinito e ineffabil bene

che là sù è, così corre ad amore

com’a lucido corpo raggio vene.   [69]

Tanto si dà quanto trova d’ardore;

sì che, quantunque carità si stende,

cresce sovr’essa l’etterno valore.   [72]

E quanta gente più là sù s’intende,

più v’è da bene amare, e più vi s’ama,

e come specchio l’uno a l’altro rende.   [75]

E se la mia ragion non ti disfama,

vedrai Beatrice, ed ella pienamente

ti torrà questa e ciascun’altra brama.   [78]

Procaccia pur che tosto sieno spente,

come son già le due, le cinque piaghe,

che si richiudon per esser dolente».   [81]

Com’io voleva dicer ‘Tu m’appaghe’,

vidimi giunto in su l’altro girone,

sì che tacer mi fer le luci vaghe.   [84]

Ivi mi parve in una visione

estatica di sùbito esser tratto,

e vedere in un tempio più persone;   [87]

e una donna, in su l’entrar, con atto

dolce di madre dicer: «Figliuol mio

perché hai tu così verso noi fatto?   [90]

Ecco, dolenti, lo tuo padre e io

ti cercavamo». E come qui si tacque,

ciò che pareva prima, dispario.   [93]

Indi m’apparve un’altra con quell’acque

giù per le gote che ‘l dolor distilla

quando di gran dispetto in altrui nacque,   [96]

e dir: «Se tu se’ sire de la villa

del cui nome ne’ dèi fu tanta lite,

e onde ogni scienza disfavilla,   [99]

vendica te di quelle braccia ardite

ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto».

E ‘l segnor mi parea, benigno e mite,   [102]

risponder lei con viso temperato:

«Che farem noi a chi mal ne disira,

se quei che ci ama è per noi condannato?»,   [105]

Poi vidi genti accese in foco d’ira

con pietre un giovinetto ancider, forte

gridando a sé pur: «Martira, martira!».   [108]

E lui vedea chinarsi, per la morte

che l’aggravava già, inver’ la terra,

ma de li occhi facea sempre al ciel porte,   [111]

orando a l’alto Sire, in tanta guerra,

che perdonasse a’ suoi persecutori,

con quello aspetto che pietà diserra.   [114]

Quando l’anima mia tornò di fori

a le cose che son fuor di lei vere,

io riconobbi i miei non falsi errori.   [117]

Lo duca mio, che mi potea vedere

far sì com’om che dal sonno si slega,

disse: «Che hai che non ti puoi tenere,   [120]

ma se’ venuto più che mezza lega

velando li occhi e con le gambe avvolte,

a guisa di cui vino o sonno piega?».   [123]

«O dolce padre mio, se tu m’ascolte,

io ti dirò», diss’io, «ciò che m’apparve

quando le gambe mi furon sì tolte».   [126]

Ed ei: «Se tu avessi cento larve

sovra la faccia, non mi sarian chiuse

le tue cogitazion, quantunque parve.   [129]

Ciò che vedesti fu perché non scuse

d’aprir lo core a l’acque de la pace

che da l’etterno fonte son diffuse.   [132]

Non dimandai “Che hai?” per quel che face

chi guarda pur con l’occhio che non vede,

quando disanimato il corpo giace;   [135]

ma dimandai per darti forza al piede:

così frugar conviensi i pigri, lenti

ad usar lor vigilia quando riede».   [138]

Noi andavam per lo vespero, attenti

oltre quanto potean li occhi allungarsi

contra i raggi serotini e lucenti.   [141]

Ed ecco a poco a poco un fummo farsi

verso di noi come la notte oscuro;

né da quello era loco da cansarsi.   [144]

Questo ne tolse li occhi e l’aere puro.