Purgatorio – Canto IX

Purgatorio – Canto IX / Nono Canto / Canto 9°

Temi e versi: 1-45 Il sogno di Dante • 46-72 Ripresa del cammino • 73-105 La soglia del Purgatorio e l’angelo custode • 105-145 Rito penitenziale

Purgatorio

CANTO IX

La concubina di Titone antico

già s’imbiancava al balco d’oriente,

fuor de le braccia del suo dolce amico;   [3]

di gemme la sua fronte era lucente,

poste in figura del freddo animale

che con la coda percuote la gente;   [6]

e la notte, de’ passi con che sale,

fatti avea due nel loco ov’eravamo,

e ‘l terzo già chinava in giuso l’ale;   [9]

quand’io, che meco avea di quel d’Adamo,

vinto dal sonno, in su l’erba inchinai

là ‘ve già tutti e cinque sedavamo.   [12]

Ne l’ora che comincia i tristi lai

la rondinella presso a la mattina,

forse a memoria de’ suo’ primi guai,   [15]

e che la mente nostra, peregrina

più da la carne e men da’ pensier presa,

a le sue vision quasi è divina,   [18]

in sogno mi parea veder sospesa

un’aguglia nel ciel con penne d’oro,

con l’ali aperte e a calare intesa;   [21]

ed esser mi parea là dove fuoro

abbandonati i suoi da Ganimede,

quando fu ratto al sommo consistoro.   [24]

Fra me pensava: ‘Forse questa fiede

pur qui per uso, e forse d’altro loco

disdegna di portarne suso in piede’.   [27]

Poi mi parea che, poi rotata un poco,

terribil come folgor discendesse,

e me rapisse suso infino al foco.   [30]

Ivi parea che ella e io ardesse;

e sì lo ‘ncendio imaginato cosse,

che convenne che ‘l sonno si rompesse.   [33]

Non altrimenti Achille si riscosse,

li occhi svegliati rivolgendo in giro

e non sappiendo là dove si fosse,   [36]

quando la madre da Chirón a Schiro

trafuggò lui dormendo in le sue braccia,

là onde poi li Greci il dipartiro;   [39]

che mi scoss’io, sì come da la faccia

mi fuggì ‘l sonno, e diventa’ ismorto,

come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.   [42]

Dallato m’era solo il mio conforto,

e ‘l sole er’alto già più che due ore,

e ‘l viso m’era a la marina torto.   [45]

«Non aver tema», disse il mio segnore;

«fatti sicur, ché noi semo a buon punto;

non stringer, ma rallarga ogne vigore.   [48]

Tu se’ omai al purgatorio giunto:

vedi là il balzo che ‘l chiude dintorno;

vedi l’entrata là ‘ve par digiunto.   [51]

Dianzi, ne l’alba che procede al giorno,

quando l’anima tua dentro dormia,

sovra li fiori ond’è là giù addorno   [54]

venne una donna, e disse: “I’ son Lucia;

lasciatemi pigliar costui che dorme;

sì l’agevolerò per la sua via”.   [57]

Sordel rimase e l’altre genti forme;

ella ti tolse, e come ‘l dì fu chiaro,

sen venne suso; e io per le sue orme.   [60]

Qui ti posò, ma pria mi dimostraro

li occhi suoi belli quella intrata aperta;

poi ella e ‘l sonno ad una se n’andaro».   [63]

A guisa d’uom che ‘n dubbio si raccerta

e che muta in conforto sua paura,

poi che la verità li è discoperta,   [66]

mi cambia’ io; e come sanza cura

vide me ‘l duca mio, su per lo balzo

si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.   [69]

Lettor, tu vedi ben com’io innalzo

la mia matera, e però con più arte

non ti maravigliar s’io la rincalzo.   [72]

Noi ci appressammo, ed eravamo in parte,

che là dove pareami prima rotto,

pur come un fesso che muro diparte,   [75]

vidi una porta, e tre gradi di sotto

per gire ad essa, di color diversi,

e un portier ch’ancor non facea motto.   [78]

E come l’occhio più e più v’apersi,

vidil seder sovra ‘l grado sovrano,

tal ne la faccia ch’io non lo soffersi;   [81]

e una spada nuda avea in mano,

che reflettea i raggi sì ver’ noi,

ch’io drizzava spesso il viso in vano.   [84]

«Dite costinci: che volete voi?»,

cominciò elli a dire, «ov’è la scorta?

Guardate che ‘l venir sù non vi nòi».   [87]

«Donna del ciel, di queste cose accorta»,

rispuose ‘l mio maestro a lui, «pur dianzi

ne disse: “Andate là: quivi è la porta”».   [90]

«Ed ella i passi vostri in bene avanzi»,

ricominciò il cortese portinaio:

«Venite dunque a’ nostri gradi innanzi».   [93]

Là ne venimmo; e lo scaglion primaio

bianco marmo era sì pulito e terso,

ch’io mi specchiai in esso qual io paio.   [96]

Era il secondo tinto più che perso,

d’una petrina ruvida e arsiccia,

crepata per lo lungo e per traverso.   [99]

Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,

porfido mi parea, sì fiammeggiante,

come sangue che fuor di vena spiccia.   [102]

Sovra questo tenea ambo le piante

l’angel di Dio, sedendo in su la soglia,

che mi sembiava pietra di diamante.   [105]

Per li tre gradi sù di buona voglia

mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi

umilemente che ‘l serrame scioglia».   [108]

Divoto mi gittai a’ santi piedi;

misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,

ma tre volte nel petto pria mi diedi.   [111]

Sette P ne la fronte mi descrisse

col punton de la spada, e «Fa che lavi,

quando se’ dentro, queste piaghe», disse.   [114]

Cenere, o terra che secca si cavi,

d’un color fora col suo vestimento;

e di sotto da quel trasse due chiavi.   [117]

L’una era d’oro e l’altra era d’argento;

pria con la bianca e poscia con la gialla

fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento.   [120]

«Quandunque l’una d’este chiavi falla,

che non si volga dritta per la toppa»,

diss’elli a noi, «non s’apre questa calla.   [123]

Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa

d’arte e d’ingegno avanti che diserri,

perch’ella è quella che ‘l nodo digroppa.   [126]

Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri

anzi ad aprir ch’a tenerla serrata,

pur che la gente a’ piedi mi s’atterri».   [129]

Poi pinse l’uscio a la porta sacrata,

dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti

che di fuor torna chi ‘n dietro si guata».   [132]

E quando fuor ne’ cardini distorti

li spigoli di quella regge sacra,

che di metallo son sonanti e forti,   [135]

non rugghiò sì né si mostrò sì acra

Tarpea, come tolto le fu il buono

Metello, per che poi rimase macra.   [138]

Io mi rivolsi attento al primo tuono,

e ‘Te Deum laudamus’ mi parea

udire in voce mista al dolce suono.   [141]

Tale imagine a punto mi rendea

ciò ch’io udiva, qual prender si suole

quando a cantar con organi si stea;   [144]

ch’or sì or no s’intendon le parole.