Paradiso – Canto XXVI

Paradiso – Canto XXVI / Ventiseiesimo Canto / Canto 26°

Temi e canti: 1-66 Dante esaminato sulla carità • 67-81 Dante ritrova la vista • 82-142 Adamo

Paradiso

CANTO XXVI

Mentr’io dubbiava per lo viso spento,

de la fulgida fiamma che lo spense

uscì un spiro che mi fece attento,   [3]

dicendo: «Intanto che tu ti risense

de la vista che hai in me consunta,

ben è che ragionando la compense.   [6]

Comincia dunque; e di’ ove s’appunta

l’anima tua, e fa’ ragion che sia

la vista in te smarrita e non defunta:   [9]

perché la donna che per questa dia

region ti conduce, ha ne lo sguardo

la virtù ch’ebbe la man d’Anania».   [12]

Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo

vegna remedio a li occhi, che fuor porte

quand’ella entrò col foco ond’io sempr’ardo.   [15]

Lo ben che fa contenta questa corte,

Alfa e O è di quanta scrittura

mi legge Amore o lievemente o forte».   [18]

Quella medesma voce che paura

tolta m’avea del sùbito abbarbaglio,

di ragionare ancor mi mise in cura;   [21]

e disse: «Certo a più angusto vaglio

ti conviene schiarar: dicer convienti

chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio».   [24]

E io: «Per filosofici argomenti

e per autorità che quinci scende

cotale amor convien che in me si ‘mprenti:   [27]

ché ‘l bene, in quanto ben, come s’intende,

così accende amore, e tanto maggio

quanto più di bontate in sé comprende.   [30]

Dunque a l’essenza ov’è tanto avvantaggio,

che ciascun ben che fuor di lei si trova

altro non è ch’un lume di suo raggio,   [33]

più che in altra convien che si mova

la mente, amando, di ciascun che cerne

il vero in che si fonda questa prova.   [36]

Tal vero a l’intelletto mio sterne

colui che mi dimostra il primo amore

di tutte le sustanze sempiterne.   [39]

Sternel la voce del verace autore,

che dice a Moisè, di sé parlando:

‘Io ti farò vedere ogne valore’.   [42]

Sternilmi tu ancora, incominciando

l’alto preconio che grida l’arcano

di qui là giù sovra ogne altro bando».   [45]

E io udi’: «Per intelletto umano

e per autoritadi a lui concorde

d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.   [48]

Ma di’ ancor se tu senti altre corde

tirarti verso lui, sì che tu suone

con quanti denti questo amor ti morde».   [51]

Non fu latente la santa intenzione

de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi

dove volea menar mia professione.   [54]

Però ricominciai: «Tutti quei morsi

che posson far lo cor volgere a Dio,

a la mia caritate son concorsi:   [57]

ché l’essere del mondo e l’esser mio,

la morte ch’el sostenne perch’io viva,

e quel che spera ogne fedel com’io,   [60]

con la predetta conoscenza viva,

tratto m’hanno del mar de l’amor torto,

e del diritto m’han posto a la riva.   [63]

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto

de l’ortolano etterno, am’io cotanto

quanto da lui a lor di bene è porto».   [66]

Sì com’io tacqui, un dolcissimo canto

risonò per lo cielo, e la mia donna

dicea con li altri: «Santo, santo, santo!».   [69]

E come a lume acuto si disonna

per lo spirto visivo che ricorre

a lo splendor che va di gonna in gonna,   [72]

e lo svegliato ciò che vede aborre,

sì nescia è la sùbita vigilia

fin che la stimativa non soccorre;   [75]

così de li occhi miei ogni quisquilia

fugò Beatrice col raggio d’i suoi,

che rifulgea da più di mille milia:   [78]

onde mei che dinanzi vidi poi;

e quasi stupefatto domandai

d’un quarto lume ch’io vidi tra noi.   [81]

E la mia donna: «Dentro da quei rai

vagheggia il suo fattor l’anima prima

che la prima virtù creasse mai».   [84]

Come la fronda che flette la cima

nel transito del vento, e poi si leva

per la propria virtù che la soblima,   [87]

fec’io in tanto in quant’ella diceva,

stupendo, e poi mi rifece sicuro

un disio di parlare ond’io ardeva.   [90]

E cominciai: «O pomo che maturo

solo prodotto fosti, o padre antico

a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,   [93]

divoto quanto posso a te supplìco

perché mi parli: tu vedi mia voglia,

e per udirti tosto non la dico».   [96]

Talvolta un animal coverto broglia,

sì che l’affetto convien che si paia

per lo seguir che face a lui la ‘nvoglia;   [99]

e similmente l’anima primaia

mi facea trasparer per la coverta

quant’ella a compiacermi venìa gaia.   [102]

Indi spirò: «Sanz’essermi proferta

da te, la voglia tua discerno meglio

che tu qualunque cosa t’è più certa;   [105]

perch’io la veggio nel verace speglio

che fa di sé pareglio a l’altre cose,

e nulla face lui di sé pareglio.   [108]

Tu vuogli udir quant’è che Dio mi puose

ne l’eccelso giardino, ove costei

a così lunga scala ti dispuose,   [111]

e quanto fu diletto a li occhi miei,

e la propria cagion del gran disdegno,

e l’idioma ch’usai e che fei.   [114]

Or, figluol mio, non il gustar del legno

fu per sé la cagion di tanto essilio,

ma solamente il trapassar del segno.   [117]

Quindi onde mosse tua donna Virgilio,

quattromilia trecento e due volumi

di sol desiderai questo concilio;   [120]

e vidi lui tornare a tutt’i lumi

de la sua strada novecento trenta

fiate, mentre ch’io in terra fu’ mi.   [123]

La lingua ch’io parlai fu tutta spenta

innanzi che a l’ovra inconsummabile

fosse la gente di Nembròt attenta:   [126]

ché nullo effetto mai razionabile,

per lo piacere uman che rinovella

seguendo il cielo, sempre fu durabile.   [129]

Opera naturale è ch’uom favella;

ma così o così, natura lascia

poi fare a voi secondo che v’abbella.   [132]

Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia,

I s’appellava in terra il sommo bene

onde vien la letizia che mi fascia;   [135]

e El si chiamò poi: e ciò convene,

ché l’uso d’i mortali è come fronda

in ramo, che sen va e altra vene.   [138]

Nel monte che si leva più da l’onda,

fu’ io, con vita pura e disonesta,

da la prim’ora a quella che seconda,   [141]

come ‘l sol muta quadra, l’ora sesta».