Purgatorio – Canto XXVII

Purgatorio – Canto XXVII / Ventisettesimo Canto / Canto 27°

Temi e canti: 1-18 L’angelo della castità • 19-63 Il muro di fuoco • 64-108 Tramonto e sogno di Dante • 109-142 Salita all’Eden e congedo di Virgilio

Purgatorio

CANTO XXVII

Sì come quando i primi raggi vibra

là dove il suo fattor lo sangue sparse,

cadendo Ibero sotto l’alta Libra,   [3]

e l’onde in Gange da nona riarse,

sì stava il sole; onde ‘l giorno sen giva,

come l’angel di Dio lieto ci apparse.   [6]

Fuor de la fiamma stava in su la riva,

e cantava ‘Beati mundo corde!’.

in voce assai più che la nostra viva.   [9]

Poscia «Più non si va, se pria non morde,

anime sante, il foco: intrate in esso,

e al cantar di là non siate sorde»,   [12]

ci disse come noi li fummo presso;

per ch’io divenni tal, quando lo ‘ntesi,

qual è colui che ne la fossa è messo.   [15]

In su le man commesse mi protesi,

guardando il foco e imaginando forte

umani corpi già veduti accesi.   [18]

Volsersi verso me le buone scorte;

e Virgilio mi disse: «Figliuol mio,

qui può esser tormento, ma non morte.   [21]

Ricorditi, ricorditi! E se io

sovresso Gerion ti guidai salvo,

che farò ora presso più a Dio?   [24]

Credi per certo che se dentro a l’alvo

di questa fiamma stessi ben mille anni,

non ti potrebbe far d’un capel calvo.   [27]

E se tu forse credi ch’io t’inganni,

fatti ver lei, e fatti far credenza

con le tue mani al lembo d’i tuoi panni.   [30]

Pon giù omai, pon giù ogni temenza;

volgiti in qua e vieni: entra sicuro!».

E io pur fermo e contra coscienza.   [33]

Quando mi vide star pur fermo e duro,

turbato un poco disse: «Or vedi, figlio:

tra Beatrice e te è questo muro».   [36]

Come al nome di Tisbe aperse il ciglio

Piramo in su la morte, e riguardolla,

allor che ‘l gelso diventò vermiglio;   [39]

così, la mia durezza fatta solla,

mi volsi al savio duca, udendo il nome

che ne la mente sempre mi rampolla.   [42]

Ond’ei crollò la fronte e disse: «Come!

volenci star di qua?»; indi sorrise

come al fanciul si fa ch’è vinto al pome.   [45]

Poi dentro al foco innanzi mi si mise,

pregando Stazio che venisse retro,

che pria per lunga strada ci divise.   [48]

Sì com’fui dentro, in un bogliente vetro

gittato mi sarei per rinfrescarmi,

tant’era ivi lo ‘ncendio sanza metro.   [51]

Lo dolce padre mio, per confortarmi,

pur di Beatrice ragionando andava,

dicendo: «Li occhi suoi già veder parmi».   [54]

Guidavaci una voce che cantava

di là; e noi, attenti pur a lei,

venimmo fuor là ove si montava.   [57]

‘Venite, benedicti Patris mei’,

sonò dentro a un lume che lì era,

tal che mi vinse e guardar nol potei.   [60]

«Lo sol sen va», soggiunse, «e vien la sera;

non v’arrestate, ma studiate il passo,

mentre che l’occidente non si annera».   [63]

Dritta salia la via per entro ‘l sasso

verso tal parte ch’io toglieva i raggi

dinanzi a me del sol ch’era già basso.   [66]

E di pochi scaglion levammo i saggi,

che ‘l sol corcar, per l’ombra che si spense,

sentimmo dietro e io e li miei saggi.   [72]

E pria che ‘n tutte le sue parti immense

fosse orizzonte fatto d’uno aspetto,

e notte avesse tutte sue dispense,   [75]

ciascun di noi d’un grado fece letto;

ché la natura del monte ci affranse

la possa del salir più e ‘l diletto.   [78]

Quali si stanno ruminando manse

le capre, state rapide e proterve

sovra le cime avante che sien pranse,   [81]

tacite a l’ombra, mentre che ‘l sol ferve,

guardate dal pastor, che ‘n su la verga

poggiato s’è e lor di posa serve;   [84]

e quale il mandrian che fori alberga,

lungo il pecuglio suo queto pernotta,

guardando perché fiera non lo sperga;   [87]

tali eravamo tutti e tre allotta,

io come capra, ed ei come pastori,

fasciati quinci e quindi d’alta grotta.   [90]

Poco parer potea lì del di fori;

ma, per quel poco, vedea io le stelle

di lor solere e più chiare e maggiori.   [93]

Sì ruminando e sì mirando in quelle,

mi prese il sonno; il sonno che sovente,

anzi che ‘l fatto sia, sa le novelle.   [96]

Ne l’ora, credo, che de l’oriente,

prima raggiò nel monte Citerea,

che di foco d’amor par sempre ardente,   [99]

giovane e bella in sogno mi parea

donna vedere andar per una landa

cogliendo fiori; e cantando dicea:   [102]

«Sappia qualunque il mio nome dimanda

ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno

le belle mani a farmi una ghirlanda.   [105]

Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno;

ma mia suora Rachel mai non si smaga

dal suo miraglio, e siede tutto giorno.   [108]

Ell’è d’i suoi belli occhi veder vaga

com’io de l’addornarmi con le mani;

lei lo vedere, e me l’ovrare appaga».   [111]

E già per li splendori antelucani,

che tanto a’ pellegrin surgon più grati,

quanto, tornando, albergan men lontani,   [114]

le tenebre fuggian da tutti lati,

e ‘l sonno mio con esse; ond’io leva’mi,

veggendo i gran maestri già levati.   [117]

«Quel dolce pome che per tanti rami

cercando va la cura de’ mortali,

oggi porrà in pace le tue fami».   [120]

Virgilio inverso me queste cotali

parole usò; e mai non furo strenne

che fosser di piacere a queste iguali.   [123]

Tanto voler sopra voler mi venne

de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi

al volo mi sentia crescer le penne.   [126]

Come la scala tutta sotto noi

fu corsa e fummo in su ‘l grado superno,

in me ficcò Virgilio li occhi suoi,   [129]

e disse: «Il temporal foco e l’etterno

veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte

dov’io per me più oltre non discerno.   [132]

Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;

lo tuo piacere omai prendi per duce;

fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte.   [135]

Vedi lo sol che ‘n fronte ti riluce;

vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli

che qui la terra sol da sé produce.   [138]

Mentre che vegnan lieti li occhi belli

che, lagrimando, a te venir mi fenno,

seder ti puoi e puoi andar tra elli.   [141]

Non aspettar mio dir più né mio cenno;

libero, dritto e sano è tuo arbitrio,

e fallo fora non fare a suo senno:   [144]

per ch’io te sovra te corono e mitrio».