Purgatorio – Canto XXXI / Trentunesimo Canto / Canto 31°
Temi e canti: 1-63 Accusa di Beatrice e confessione di Dante • 64-90 Pentimento e svenimento di Dante • 91-126 Immersione nel Lete • 127-145 Rivelazione di Beatrice
Purgatorio
CANTO XXXI
«O tu che se’ di là dal fiume sacro»,
volgendo suo parlare a me per punta,
che pur per taglio m’era paruto acro, [3]
ricominciò, seguendo sanza cunta,
«dì, dì se questo è vero: a tanta accusa
tua confession conviene esser congiunta». [6]
Era la mia virtù tanto confusa,
che la voce si mosse, e pria si spense
che da li organi suoi fosse dischiusa. [9]
Poco sofferse; poi disse: «Che pense?
Rispondi a me; ché le memorie triste
in te non sono ancor da l’acqua offense». [12]
Confusione e paura insieme miste
mi pinsero un tal «sì» fuor de la bocca,
al quale intender fuor mestier le viste. [15]
Come balestro frange, quando scocca
da troppa tesa la sua corda e l’arco,
e con men foga l’asta il segno tocca, [18]
sì scoppia’ io sottesso grave carco,
fuori sgorgando lagrime e sospiri,
e la voce allentò per lo suo varco. [21]
Ond’ella a me: «Per entro i mie’ disiri,
che ti menavano ad amar lo bene
di là dal qual non è a che s’aspiri, [24]
quai fossi attraversati o quai catene
trovasti, per che del passare innanzi
dovessiti così spogliar la spene? [27]
E quali agevolezze o quali avanzi
ne la fronte de li altri si mostraro,
per che dovessi lor passeggiare anzi?». [30]
Dopo la tratta d’un sospiro amaro,
a pena ebbi la voce che rispuose,
e le labbra a fatica la formaro. [33]
Piangendo dissi: «Le presenti cose
col falso lor piacer volser miei passi,
tosto che ‘l vostro viso si nascose». [36]
Ed ella: «Se tacessi o se negassi
ciò che confessi, non fora men nota
la colpa tua: da tal giudice sassi! [39]
Ma quando scoppia de la propria gota
l’accusa del peccato, in nostra corte
rivolge sé contra ‘l taglio la rota. [42]
Tuttavia, perché mo vergogna porte
del tuo errore, e perché altra volta,
udendo le serene, sie più forte, [45]
pon giù il seme del piangere e ascolta:
sì udirai come in contraria parte
mover dovieti mia carne sepolta. [48]
Mai non t’appresentò natura o arte
piacer, quanto le belle membra in ch’io
rinchiusa fui, e che so’ ‘n terra sparte; [51]
e se ‘l sommo piacer sì ti fallio
per la mia morte, qual cosa mortale
dovea poi trarre te nel suo disio? [54]
Ben ti dovevi, per lo primo strale
de le cose fallaci, levar suso
di retro a me che non era più tale. [57]
Non ti dovea gravar le penne in giuso,
ad aspettar più colpo, o pargoletta
o altra vanità con sì breve uso. [60]
Novo augelletto due o tre aspetta;
ma dinanzi da li occhi d’i pennuti
rete si spiega indarno o si saetta». [63]
Quali fanciulli, vergognando, muti
con li occhi a terra stannosi, ascoltando
e sé riconoscendo e ripentuti, [66]
tal mi stav’io; ed ella disse: «Quando
per udir se’ dolente, alza la barba,
e prenderai più doglia riguardando». [69]
Con men di resistenza si dibarba
robusto cerro, o vero al nostral vento
o vero a quel de la terra di Iarba, [72]
ch’io non levai al suo comando il mento;
e quando per la barba il viso chiese,
ben conobbi il velen de l’argomento. [75]
E come la mia faccia si distese,
posarsi quelle prime creature
da loro aspersion l’occhio comprese; [78]
e le mie luci, ancor poco sicure,
vider Beatrice volta in su la fiera
ch’è sola una persona in due nature. [81]
Sotto ‘l suo velo e oltre la rivera
vincer pariemi più sé stessa antica,
vincer che l’altre qui, quand’ella c’era. [84]
Di penter sì mi punse ivi l’ortica
che di tutte altre cose qual mi torse
più nel suo amor, più mi si fé nemica. [87]
Tanta riconoscenza il cor mi morse,
ch’io caddi vinto; e quale allora femmi,
salsi colei che la cagion mi porse. [90]
Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi,
la donna ch’io avea trovata sola
sopra me vidi, e dicea: «Tiemmi, tiemmi!». [93]
Tratto m’avea nel fiume infin la gola,
e tirandosi me dietro sen giva
sovresso l’acqua lieve come scola. [96]
Quando fui presso a la beata riva,
‘Asperges me’ sì dolcemente udissi,
che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva. [99]
La bella donna ne le braccia aprissi;
abbracciommi la testa e mi sommerse
ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi. [102]
Indi mi tolse, e bagnato m’offerse
dentro a la danza de le quattro belle;
e ciascuna del braccio mi coperse. [105]
«Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle:
pria che Beatrice discendesse al mondo,
fummo ordinate a lei per sue ancelle. [108]
Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo
lume ch’è dentro aguzzeranno i tuoi
le tre di là, che miran più profondo». [111]
Così cantando cominciaro; e poi
al petto del grifon seco menarmi,
ove Beatrice stava volta a noi. [114]
Disser: «Fa che le viste non risparmi;
posto t’avem dinanzi a li smeraldi
ond’Amor già ti trasse le sue armi». [117]
Mille disiri più che fiamma caldi
strinsermi li occhi a li occhi rilucenti,
che pur sopra ‘l grifone stavan saldi. [120]
Come in lo specchio il sol, non altrimenti
la doppia fiera dentro vi raggiava,
or con altri, or con altri reggimenti. [123]
Pensa, lettor, s’io mi maravigliava,
quando vedea la cosa in sé star queta,
e ne l’idolo suo si trasmutava. [126]
Mentre che piena di stupore e lieta
l’anima mia gustava di quel cibo
che, saziando di sé, di sé asseta, [129]
sé dimostrando di più alto tribo
ne li atti, l’altre tre si fero avanti,
danzando al loro angelico caribo. [132]
«Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi»,
era la sua canzone, «al tuo fedele
che, per vederti, ha mossi passi tanti! [135]
Per grazia fa noi grazia che disvele
a lui la bocca tua, sì che discerna
la seconda bellezza che tu cele». [138]
O isplendor di viva luce etterna,
chi palido si fece sotto l’ombra
sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna, [141]
che non paresse aver la mente ingombra,
tentando a render te qual tu paresti
là dove armonizzando il ciel t’adombra, [144]
quando ne l’aere aperto ti solvesti?