Purgatorio – Canto XXVIII / Ventottesimo Canto / Canto 28°
Temi e canti: 1-21 La foresta dell’Eden • 22-84 Matelda • 85-133 Il vento e le acque dell’Eden • 134-148 L’età dell’oro
Purgatorio
CANTO XXVIII
Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
ch’a li occhi temperava il novo giorno, [3]
sanza più aspettar, lasciai la riva,
prendendo la campagna lento lento
su per lo suol che d’ogne parte auliva. [6]
Un’aura dolce, sanza mutamento
avere in sé, mi feria per la fronte
non di più colpo che soave vento; [9]
per cui le fronde, tremolando, pronte
tutte quante piegavano a la parte
u’ la prim’ombra gitta il santo monte; [12]
non però dal loro esser dritto sparte
tanto, che li augelletti per le cime
lasciasser d’operare ogne lor arte; [15]
ma con piena letizia l’ore prime,
cantando, ricevieno intra le foglie,
che tenevan bordone a le sue rime, [18]
tal qual di ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in su ‘l lito di Chiassi,
quand’Eolo scilocco fuor discioglie. [21]
Già m’avean trasportato i lenti passi
dentro a la selva antica tanto, ch’io
non potea rivedere ond’io mi ‘ntrassi; [24]
ed ecco più andar mi tolse un rio,
che ‘nver’ sinistra con sue picciole onde
piegava l’erba che ‘n sua ripa uscìo. [27]
Tutte l’acque che son di qua più monde,
parrieno avere in sé mistura alcuna,
verso di quella, che nulla nasconde, [30]
avvegna che si mova bruna bruna
sotto l’ombra perpetua, che mai
raggiar non lascia sole ivi né luna. [33]
Coi piè ristretti e con li occhi passai
di là dal fiumicello, per mirare
la gran variazion d’i freschi mai; [36]
e là m’apparve, sì com’elli appare
subitamente cosa che disvia
per maraviglia tutto altro pensare, [39]
una donna soletta che si gia
e cantando e scegliendo fior da fiore
ond’era pinta tutta la sua via. [42]
«Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore
ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti
che soglion esser testimon del core, [45]
vegnati in voglia di trarreti avanti»,
diss’io a lei, «verso questa rivera,
tanto ch’io possa intender che tu canti. [48]
Tu mi fai rimembrar dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
la madre lei, ed ella primavera». [51]
Come si volge, con le piante strette
a terra e intra sé, donna che balli,
e piede innanzi piede a pena mette, [54]
volsesi in su i vermigli e in su i gialli
fioretti verso me, non altrimenti
che vergine che li occhi onesti avvalli; [57]
e fece i prieghi miei esser contenti,
sì appressando sé, che ‘l dolce suono
veniva a me co’ suoi intendimenti. [60]
Tosto che fu là dove l’erbe sono
bagnate già da l’onde del bel fiume,
di levar li occhi suoi mi fece dono. [63]
Non credo che splendesse tanto lume
sotto le ciglia a Venere, trafitta
dal figlio fuor di tutto suo costume. [66]
Ella ridea da l’altra riva dritta,
trattando più color con le sue mani,
che l’alta terra sanza seme gitta. [69]
Tre passi ci facea il fiume lontani;
ma Elesponto, là ‘ve passò Serse,
ancora freno a tutti orgogli umani, [72]
più odio da Leandro non sofferse
per mareggiare intra Sesto e Abido,
che quel da me perch’allor non s’aperse. [75]
«Voi siete nuovi, e forse perch’io rido»,
cominciò ella, «in questo luogo eletto
a l’umana natura per suo nido, [78]
maravigliando tienvi alcun sospetto;
ma luce rende il salmo Delectasti,
che puote disnebbiar vostro intelletto. [81]
E tu che se’ dinanzi e mi pregasti,
dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta
ad ogne tua question tanto che basti». [84]
«L’acqua», diss’io, «e ‘l suon de la foresta
impugnan dentro a me novella fede
di cosa ch’io udi’ contraria a questa». [87]
Ond’ella: «Io dicerò come procede
per sua cagion ciò ch’ammirar ti face,
e purgherò la nebbia che ti fiede. [90]
Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,
fé l’uom buono e a bene, e questo loco
diede per arr’a lui d’etterna pace. [93]
Per sua difalta qui dimorò poco;
per sua difalta in pianto e in affanno
cambiò onesto riso e dolce gioco. [96]
Perché ‘l turbar che sotto da sé fanno
l’essalazion de l’acqua e de la terra,
che quanto posson dietro al calor vanno, [99]
a l’uomo non facesse alcuna guerra,
questo monte salìo verso ‘l ciel tanto,
e libero n’è d’indi ove si serra. [102]
Or perché in circuito tutto quanto
l’aere si volge con la prima volta,
se non li è rotto il cerchio d’alcun canto, [105]
in questa altezza ch’è tutta disciolta
ne l’aere vivo, tal moto percuote,
e fa sonar la selva perch’è folta; [108]
e la percossa pianta tanto puote,
che de la sua virtute l’aura impregna,
e quella poi, girando, intorno scuote; [111]
e l’altra terra, secondo ch’è degna
per sé e per suo ciel, concepe e figlia
di diverse virtù diverse legna. [114]
Non parrebbe di là poi maraviglia,
udito questo, quando alcuna pianta
sanza seme palese vi s’appiglia. [117]
E saper dei che la campagna santa
dove tu se’, d’ogne semenza è piena,
e frutto ha in sé che di là non si schianta. [120]
L’acqua che vedi non surge di vena
che ristori vapor che gel converta,
come fiume ch’acquista e perde lena; [123]
ma esce di fontana salda e certa,
che tanto dal voler di Dio riprende,
quant’ella versa da due parti aperta. [126]
Da questa parte con virtù discende
che toglie altrui memoria del peccato;
da l’altra d’ogne ben fatto la rende. [129]
Quinci Letè; così da l’altro lato
Eunoè si chiama, e non adopra
se quinci e quindi pria non è gustato: [132]
a tutti altri sapori esto è di sopra.
E avvegna ch’assai possa esser sazia
la sete tua perch’io più non ti scuopra, [135]
darotti un corollario ancor per grazia;
né credo che ‘l mio dir ti sia men caro,
se oltre promession teco si spazia. [138]
Quelli ch’anticamente poetaro
l’età de l’oro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognaro. [141]
Qui fu innocente l’umana radice;
qui primavera sempre e ogne frutto;
nettare è questo di che ciascun dice». [144]
Io mi rivolsi ‘n dietro allora tutto
a’ miei poeti, e vidi che con riso
udito avean l’ultimo costrutto; [147]
poi a la bella donna torna’ il viso.