Purgatorio – Canto XXI / Ventunesimo Canto / Canto 21°
Temi e canti: 1-39 Apparizione improvvisa di Stazio • 40-75 Stazio spiega la natura metafisica del Purgatorio • 76-136 Il riconoscimento tra Stazio e Virgilio
Purgatorio
CANTO XXI
La sete natural che mai non sazia
se non con l’acqua onde la femminetta
samaritana domandò la grazia, [3]
mi travagliava, e pungeami la fretta
per la ‘mpacciata via dietro al mio duca,
e condoleami a la giusta vendetta. [6]
Ed ecco, sì come ne scrive Luca
che Cristo apparve a’ due ch’erano in via,
già surto fuor de la sepulcral buca, [9]
ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa,
dal piè guardando la turba che giace;
né ci addemmo di lei, sì parlò pria, [12]
dicendo; «O frati miei, Dio vi dea pace».
Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio
rendéli ‘l cenno ch’a ciò si conface. [15]
Poi cominciò: «Nel beato concilio
ti ponga in pace la verace corte
che me rilega ne l’etterno essilio». [18]
«Come!», diss’elli, e parte andavam forte:
«se voi siete ombre che Dio sù non degni,
chi v’ha per la sua scala tanto scorte?». [21]
E ‘l dottor mio: «Se tu riguardi a’ segni
che questi porta e che l’angel profila,
ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni. [24]
Ma perché lei che dì e notte fila
non li avea tratta ancora la conocchia
che Cloto impone a ciascuno e compila, [27]
l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia,
venendo sù, non potea venir sola,
però ch’al nostro modo non adocchia. [30]
Ond’io fui tratto fuor de l’ampia gola
d’inferno per mostrarli, e mosterrolli
oltre, quanto ‘l potrà menar mia scola. [33]
Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli
diè dianzi ‘l monte, e perché tutto ad una
parve gridare infino a’ suoi piè molli». [36]
Sì mi diè, dimandando, per la cruna
del mio disio, che pur con la speranza
si fece la mia sete men digiuna. [39]
Quei cominciò: «Cosa non è che sanza
ordine senta la religione
de la montagna, o che sia fuor d’usanza. [42]
Libero è qui da ogne alterazione:
di quel che ‘l ciel da sé in sé riceve
esser ci puote, e non d’altro, cagione. [45]
Per che non pioggia, non grando, non neve,
non rugiada, non brina più sù cade
che la scaletta di tre gradi breve; [48]
nuvole spesse non paion né rade,
né coruscar, né figlia di Taumante,
che di là cangia sovente contrade; [51]
secco vapor non surge più avante
ch’al sommo d’i tre gradi ch’io parlai,
dov’ha ‘l vicario di Pietro le piante. [54]
Trema forse più giù poco o assai;
ma per vento che ‘n terra si nasconda,
non so come, qua sù non tremò mai. [57]
Tremaci quando alcuna anima monda
sentesi, sì che surga o che si mova
per salir sù; e tal grido seconda. [60]
De la mondizia sol voler fa prova,
che, tutto libero a mutar convento,
l’alma sorprende, e di voler le giova. [63]
Prima vuol ben, ma non lascia il talento
che divina giustizia, contra voglia,
come fu al peccar, pone al tormento. [66]
E io, che son giaciuto a questa doglia
cinquecent’anni e più, pur mo sentii
libera volontà di miglior soglia: [69]
però sentisti il tremoto e li pii
spiriti per lo monte render lode
a quel Segnor, che tosto sù li ‘nvii». [72]
Così ne disse; e però ch’el si gode
tanto del ber quant’è grande la sete.
non saprei dir quant’el mi fece prode. [75]
E ‘l savio duca: «Omai veggio la rete
che qui v’impiglia e come si scalappia,
perché ci trema e di che congaudete. [78]
Ora chi fosti, piacciati ch’io sappia,
e perché tanti secoli giaciuto
qui se’, ne le parole tue mi cappia». [81]
«Nel tempo che ‘l buon Tito, con l’aiuto
del sommo rege, vendicò le fóra
ond’uscì ‘l sangue per Giuda venduto, [84]
col nome che più dura e più onora
era io di là», rispuose quello spirto,
«famoso assai, ma non con fede ancora. [87]
Tanto fu dolce mio vocale spirto,
che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
dove mertai le tempie ornar di mirto. [90]
Stazio la gente ancor di là mi noma:
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
ma caddi in via con la seconda soma. [93]
Al mio ardor fuor seme le faville,
che mi scaldar, de la divina fiamma
onde sono allumati più di mille; [96]
de l’Eneida dico, la qual mamma
fummi e fummi nutrice poetando:
sanz’essa non fermai peso di dramma. [99]
E per esser vivuto di là quando
visse Virgilio, assentirei un sole
più che non deggio al mio uscir di bando». [102]
Volser Virgilio a me queste parole
con viso che, tacendo, disse ‘Taci’;
ma non può tutto la virtù che vuole; [105]
ché riso e pianto son tanto seguaci
a la passion di che ciascun si spicca,
che men seguon voler ne’ più veraci. [108]
Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca;
per che l’ombra si tacque, e riguardommi
ne li occhi ove ‘l sembiante più si ficca; [111]
e «Se tanto labore in bene assommi»,
disse, «perché la tua faccia testeso
un lampeggiar di riso dimostrommi?». [114]
Or son io d’una parte e d’altra preso:
l’una mi fa tacer, l’altra scongiura
ch’io dica; ond’io sospiro, e sono inteso [117]
dal mio maestro, e «Non aver paura»,
mi dice, «di parlar; ma parla e digli
quel ch’e’ dimanda con cotanta cura». [120]
Ond’io: «Forse che tu ti maravigli,
antico spirto, del rider ch’io fei;
ma più d’ammirazion vo’ che ti pigli. [123]
Questi che guida in alto li occhi miei,
è quel Virgilio dal qual tu togliesti
forza a cantar de li uomini e d’i dèi. [126]
Se cagion altra al mio rider credesti,
lasciala per non vera, ed esser credi
quelle parole che di lui dicesti». [129]
Già s’inchinava ad abbracciar li piedi
al mio dottor, ma el li disse: «Frate,
non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi». [132]
Ed ei surgendo: «Or puoi la quantitate
comprender de l’amor ch’a te mi scalda,
quand’io dismento nostra vanitate, [135]
trattando l’ombre come cosa salda».