Purgatorio – Canto XIII

Purgatorio – Canto XIII / Tredicesimo Canto / Canto 13°

Temi e canti: 1-21 Gli invidiosi • 22-42 Esempi di carità • 43-84 La pena degli invidiosi • 85-129 Sapìa senese • 130-154 Colloquio con Dante

Purgatorio

CANTO XIII

Noi eravamo al sommo de la scala,

dove secondamente si risega

lo monte che salendo altrui dismala.   [3]

Ivi così una cornice lega

dintorno il poggio, come la primaia;

se non che l’arco suo più tosto piega.   [6]

Ombra non lì è né segno che si paia:

parsi la ripa e parsi la via schietta

col livido color de la petraia.   [9]

«Se qui per dimandar gente s’aspetta»,

ragionava il poeta, «io temo forse

che troppo avrà d’indugio nostra eletta».   [12]

Poi fisamente al sole li occhi porse;

fece del destro lato a muover centro,

e la sinistra parte di sé torse.   [15]

«O dolce lume a cui fidanza i’ entro

per lo novo cammin, tu ne conduci»,

dicea, «come condur si vuol quinc’entro.   [18]

Tu scaldi il mondo, tu sovr’esso luci;

s’altra ragione in contrario non ponta,

esser dien sempre li tuoi raggi duci».   [21]

Quanto di qua per un migliaio si conta,

tanto di là eravam noi già iti,

con poco tempo, per la voglia pronta;   [24]

e verso noi volar furon sentiti,

non però visti, spiriti parlando

a la mensa d’amor cortesi inviti.   [27]

La prima voce che passò volando

‘Vinum non habent’ altamente disse,

e dietro a noi l’andò reiterando.   [30]

E prima che del tutto non si udisse

per allungarsi, un’altra ‘I’ sono Oreste’

passò gridando, e anco non s’affisse.   [33]

«Oh!», diss’io, «padre, che voci son queste?».

E com’io domandai, ecco la terza

dicendo: ‘Amate da cui male aveste’.   [36]

E ‘l buon maestro: «Questo cinghio sferza

la colpa de la invidia, e però sono

tratte d’amor le corde de la ferza.   [39]

Lo fren vuol esser del contrario suono;

credo che l’udirai, per mio avviso,

prima che giunghi al passo del perdono.   [42]

Ma ficca li occhi per l’aere ben fiso,

e vedrai gente innanzi a noi sedersi,

e ciascuno è lungo la grotta assiso».   [45]

Allora più che prima li occhi apersi;

guarda’mi innanzi, e vidi ombre con manti

al color de la pietra non diversi.   [48]

E poi che fummo un poco più avanti,

udia gridar: ‘Maria, òra per noi’:

gridar ‘Michele’ e ‘Pietro’, e ‘Tutti santi’.   [51]

Non credo che per terra vada ancoi

omo sì duro, che non fosse punto

per compassion di quel ch’i’ vidi poi;   [54]

ché, quando fui sì presso di lor giunto,

che li atti loro a me venivan certi,

per li occhi fui di grave dolor munto.   [57]

Di vil ciliccio mi parean coperti,

e l’un sofferia l’altro con la spalla,

e tutti da la ripa eran sofferti.   [60]

Così li ciechi a cui la roba falla

stanno a’ perdoni a chieder lor bisogna,

e l’uno il capo sopra l’altro avvalla,   [63]

perché ‘n altrui pietà tosto si pogna,

non pur per lo sonar de le parole,

ma per la vista che non meno agogna.   [66]

E come a li orbi non approda il sole,

così a l’ombre quivi, ond’io parlo ora,

luce del ciel di sé largir non vole;   [69]

ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra

e cusce sì, come a sparvier selvaggio

si fa però che queto non dimora.   [72]

A me pareva, andando, fare oltraggio,

veggendo altrui, non essendo veduto:

per ch’io mi volsi al mio consiglio saggio.   [75]

Ben sapev’ei che volea dir lo muto;

e però non attese mia dimanda,

ma disse: «Parla, e sie breve e arguto».   [78]

Virgilio mi venìa da quella banda

de la cornice onde cader si puote,

perché da nulla sponda s’inghirlanda;   [81]

da l’altra parte m’eran le divote

ombre, che per l’orribile costura

premevan sì, che bagnavan le gote.   [84]

Volsimi a loro e «O gente sicura»,

incominciai, «di veder l’alto lume

che ‘l disio vostro solo ha in sua cura,   [87]

se tosto grazia resolva le schiume

di vostra coscienza sì che chiaro

per essa scenda de la mente il fiume,   [90]

ditemi, ché mi fia grazioso e caro,

s’anima è qui tra voi che sia latina;

e forse lei sarà buon s’i’ l’apparo».   [93]

«O frate mio, ciascuna è cittadina

d’una vera città; ma tu vuo’ dire

che vivesse in Italia peregrina».   [96]

Questo mi parve per risposta udire

più innanzi alquanto che là dov’io stava,

ond’io mi feci ancor più là sentire.   [99]

Tra l’altre vidi un’ombra ch’aspettava

in vista; e se volesse alcun dir ‘Come?’,

lo mento a guisa d’orbo in sù levava.   [102]

«Spirto», diss’io, «che per salir ti dome,

se tu se’ quelli che mi rispondesti,

fammiti conto o per luogo o per nome».   [105]

«Io fui sanese», rispuose, «e con questi

altri rimendo qui la vita ria,

lagrimando a colui che sé ne presti.   [108]

Savia non fui, avvegna che Sapìa

fossi chiamata, e fui de li altrui danni

più lieta assai che di ventura mia.   [111]

E perché tu non creda ch’io t’inganni,

odi s’i’ fui, com’io ti dico, folle,

già discendendo l’arco d’i miei anni.   [114]

Eran li cittadin miei presso a Colle

in campo giunti co’ loro avversari,

e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle.   [117]

Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari

passi di fuga; e veggendo la caccia,

letizia presi a tutte altre dispari,   [120]

tanto ch’io volsi in sù l’ardita faccia,

gridando a Dio: “Omai più non ti temo!”,

come fé ‘l merlo per poca bonaccia.   [123]

Pace volli con Dio in su lo stremo

de la mia vita; e ancor non sarebbe

lo mio dover per penitenza scemo,   [126]

se ciò non fosse, ch’a memoria m’ebbe

Pier Pettinaio in sue sante orazioni,

a cui di me per caritate increbbe.   [129]

Ma tu chi se’, che nostre condizioni

vai dimandando, e porti li occhi sciolti,

sì com’io credo, e spirando ragioni?».   [132]

«Li occhi», diss’io, «mi fieno ancor qui tolti,

ma picciol tempo, ché poca è l’offesa

fatta per esser con invidia vòlti.   [135]

Troppa è più la paura ond’è sospesa

l’anima mia del tormento di sotto,

che già lo ‘ncarco di là giù mi pesa».   [138]

Ed ella a me: «Chi t’ha dunque condotto

qua sù tra noi, se giù ritornar credi?».

E io: «Costui ch’è meco e non fa motto.   [141]

E vivo sono; e però mi richiedi,

spirito eletto, se tu vuo’ ch’i’ mova

di là per te ancor li mortai piedi».   [144]

«Oh, questa è a udir sì cosa nuova»,

rispuose, «che gran segno è che Dio t’ami;

però col priego tuo talor mi giova.   [147]

E cheggioti, per quel che tu più brami,

se mai calchi la terra di Toscana,

che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami.   [150]

Tu li vedrai tra quella gente vana

che spera in Talamone, e perderagli

più di speranza ch’a trovar la Diana;   [153]

ma più vi perderanno li ammiragli».