Paradiso – Canto XXXIII / Trentatreesimo Canto / Canto 33°
Temi e canti: 1-39 Preghiera di san Bernardo alla Vergine • 40-96 Visione di Dio e dell’unità dell’universo in Dio • 97-145 Misteri della Trinità e dell’Incarnazione • 145 L’amor che move il sole e l’altre stelle
Paradiso
CANTO XXXIII
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio, [3]
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura. [6]
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore. [9]
Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra ‘ mortali,
se’ di speranza fontana vivace. [12]
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre
sua disianza vuol volar sanz’ali. [15]
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre. [18]
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate. [21]
Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una, [24]
supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute. [27]
E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi, [30]
perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi. [33]
Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi. [36]
Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!». [39]
Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l’orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati; [42]
indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
nel qual non si dee creder che s’invii
per creatura l’occhio tanto chiaro. [45]
E io ch’al fine di tutt’i disii
appropinquava, sì com’io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii. [48]
Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea: [51]
ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de l’alta luce che da sé è vera. [54]
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio. [57]
Qual è colui che sognando vede,
che dopo ‘l sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede, [60]
cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visione, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa. [63]
Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla. [66]
O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi, [69]
e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente; [72]
ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria. [75]
Io credo, per l’acume ch’io soffersi
del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi. [78]
E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
l’aspetto mio col valore infinito. [81]
Oh abbondante grazia ond’io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi! [84]
Nel suo profondo vidi che s’interna
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna: [87]
sustanze e accidenti e lor costume,
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. [90]
La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. [93]
Un punto solo m’è maggior letargo
che venticinque secoli a la ‘mpresa,
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. [96]
Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa. [99]
A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta; [102]
però che ‘l ben, ch’è del volere obietto,
tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
è defettivo ciò ch’è lì perfetto. [105]
Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella. [108]
Non perché più ch’un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch’io mirava,
che tal è sempre qual s’era davante; [111]
ma per la vista che s’avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom’io, a me si travagliava. [114]
Ne la profonda e chiara sussistenza
de l’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza; [117]
e l’un da l’altro come iri da iri
parea reflesso, e ‘l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri. [120]
Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
è tanto, che non basta a dicer ‘poco’. [123]
O luce etterna che sola in te sidi,
sola t’intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi! [126]
Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta, [129]
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che ‘l mio viso in lei tutto era messo. [132]
Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige, [135]
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova; [138]
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne. [141]
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa, [144]
l’amor che move il sole e l’altre stelle.