Paradiso – Canto XXVIII / Ventottesimo Canto / Canto 28°
Temi e canti: 1-39 Il punto luminoso e i nove cerchi di fuoco • 40-87 L’ordine celeste e l’ordine del mondo • 88-139 Le gerarchie angeliche
Paradiso
CANTO XXVIII
Poscia che ‘ncontro a la vita presente
d’i miseri mortali aperse ‘l vero
quella che ‘mparadisa la mia mente, [3]
come in lo specchio fiamma di doppiero
vede colui che se n’alluma retro,
prima che l’abbia in vista o in pensiero, [6]
e sé rivolge per veder se ‘l vetro
li dice il vero, e vede ch’el s’accorda
con esso come nota con suo metro; [9]
così la mia memoria si ricorda
ch’io feci riguardando ne’ belli occhi
onde a pigliarmi fece Amor la corda. [12]
E com’io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da ciò che pare in quel volume,
quandunque nel suo giro ben s’adocchi, [15]
un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume; [18]
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si collòca. [21]
Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che ‘l dipigne
quando ‘l vapor che ‘l porta più è spesso, [24]
distante intorno al punto un cerchio d’igne
si girava sì ratto, ch’avria vinto
quel moto che più tosto il mondo cigne; [27]
e questo era d’un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e ‘l terzo poi dal quarto,
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. [30]
Sopra seguiva il settimo sì sparto
già di larghezza, che ‘l messo di Iuno
intero a contenerlo sarebbe arto. [33]
Così l’ottavo e ‘l nono; e chiascheduno
più tardo si movea, secondo ch’era
in numero distante più da l’uno; [36]
e quello avea la fiamma più sincera
cui men distava la favilla pura,
credo, però che più di lei s’invera. [39]
La donna mia, che mi vedea in cura
forte sospeso, disse: «Da quel punto
depende il cielo e tutta la natura. [42]
Mira quel cerchio che più li è congiunto;
e sappi che ‘l suo muovere è sì tosto
per l’affocato amore ond’elli è punto». [45]
E io a lei: «Se ‘l mondo fosse posto
con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,
sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto; [48]
ma nel mondo sensibile si puote
veder le volte tanto più divine,
quant’elle son dal centro più remote. [51]
Onde, se ‘l mio disir dee aver fine
in questo miro e angelico templo
che solo amore e luce ha per confine, [54]
udir convienmi ancor come l’essemplo
e l’essemplare non vanno d’un modo,
ché io per me indarno a ciò contemplo». [57]
«Se li tuoi diti non sono a tal nodo
sufficienti, non è maraviglia:
tanto, per non tentare, è fatto sodo!». [60]
Così la donna mia; poi disse: «Piglia
quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti;
e intorno da esso t’assottiglia. [63]
Li cerchi corporai sono ampi e arti
secondo il più e ‘l men de la virtute
che si distende per tutte lor parti. [66]
Maggior bontà vuol far maggior salute;
maggior salute maggior corpo cape,
s’elli ha le parti igualmente compiute. [69]
Dunque costui che tutto quanto rape
l’altro universo seco, corrisponde
al cerchio che più ama e che più sape: [72]
per che, se tu a la virtù circonde
la tua misura, non a la parvenza
de le sustanze che t’appaion tonde, [75]
tu vederai mirabil consequenza
di maggio a più e di minore a meno,
in ciascun cielo, a sua intelligenza». [78]
Come rimane splendido e sereno
l’emisperio de l’aere, quando soffia
Borea da quella guancia ond’è più leno, [81]
per che si purga e risolve la roffia
che pria turbava, sì che ‘l ciel ne ride
con le bellezze d’ogne sua paroffia; [84]
così fec’io, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro,
e come stella in cielo il ver si vide. [87]
E poi che le parole sue restaro,
non altrimenti ferro disfavilla
che bolle, come i cerchi sfavillaro. [90]
L’incendio suo seguiva ogne scintilla;
ed eran tante, che ‘l numero loro
più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla. [93]
Io sentiva osannar di coro in coro
al punto fisso che li tiene a li ubi,
e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro. [96]
E quella che vedea i pensier dubi
ne la mia mente, disse: «I cerchi primi
t’hanno mostrato Serafi e Cherubi. [99]
Così veloci seguono i suoi vimi,
per somigliarsi al punto quanto ponno;
e posson quanto a veder son soblimi. [102]
Quelli altri amori che ‘ntorno li vonno,
si chiaman Troni del divino aspetto,
per che ‘l primo ternaro terminonno; [105]
e dei saper che tutti hanno diletto
quanto la sua veduta si profonda
nel vero in che si queta ogne intelletto. [108]
Quinci si può veder come si fonda
l’essere beato ne l’atto che vede,
non in quel ch’ama, che poscia seconda; [111]
e del vedere è misura mercede,
che grazia partorisce e buona voglia:
così di grado in grado si procede. [114]
L’altro ternaro, che così germoglia
in questa primavera sempiterna
che notturno Ariete non dispoglia, [117]
perpetualemente ‘Osanna’ sberna
con tre melode, che suonano in tree
ordini di letizia onde s’interna. [120]
In essa gerarcia son l’altre dee:
prima Dominazioni, e poi Virtudi;
l’ordine terzo di Podestadi èe. [123]
Poscia ne’ due penultimi tripudi
Principati e Arcangeli si girano;
l’ultimo è tutto d’Angelici ludi. [126]
Questi ordini di sù tutti s’ammirano,
e di giù vincon sì, che verso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano. [129]
E Dionisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise,
che li nomò e distinse com’io. [132]
Ma Gregorio da lui poi si divise;
onde, sì tosto come li occhi aperse
in questo ciel, di sé medesmo rise. [135]
E se tanto secreto ver proferse
mortale in terra, non voglio ch’ammiri;
ché chi ‘l vide qua sù gliel discoperse [138]
con altro assai del ver di questi giri».