Paradiso – Canto XXIII / Ventitreesimo Canto / Canto 23°
Temi e canti: 1-15 Attesa di Beatrice • 16-87 Trionfo di Cristo • 88-139 Trionfo di Maria
Paradiso
CANTO XXIII
Come l’augello, intra l’amate fronde,
posato al nido de’ suoi dolci nati
la notte che le cose ci nasconde, [3]
che, per veder li aspetti disiati
e per trovar lo cibo onde li pasca,
in che gravi labor li sono aggrati, [6]
previene il tempo in su aperta frasca,
e con ardente affetto il sole aspetta,
fiso guardando pur che l’alba nasca; [9]
così la donna mia stava eretta
e attenta, rivolta inver’ la plaga
sotto la quale il sol mostra men fretta: [12]
sì che, veggendola io sospesa e vaga,
fecimi qual è quei che disiando
altro vorria, e sperando s’appaga. [15]
Ma poco fu tra uno e altro quando,
del mio attender, dico, e del vedere
lo ciel venir più e più rischiarando; [18]
e Beatrice disse: «Ecco le schiere
del triunfo di Cristo e tutto ‘l frutto
ricolto del girar di queste spere!». [21]
Pariemi che ‘l suo viso ardesse tutto,
e li occhi avea di letizia sì pieni,
che passarmen convien sanza costrutto. [24]
Quale ne’ plenilunii sereni
Trivia ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni, [27]
vid’i’ sopra migliaia di lucerne
un sol che tutte quante l’accendea,
come fa ‘l nostro le viste superne; [30]
e per la viva luce trasparea
la lucente sustanza tanto chiara
nel viso mio, che non la sostenea. [33]
Oh Beatrice, dolce guida e cara!
Ella mi disse: «Quel che ti sobranza
è virtù da cui nulla si ripara. [36]
Quivi è la sapienza e la possanza
ch’aprì le strade tra ‘l cielo e la terra,
onde fu già sì lunga disianza». [39]
Come foco di nube si diserra
per dilatarsi sì che non vi cape,
e fuor di sua natura in giù s’atterra, [42]
la mente mia così, tra quelle dape
fatta più grande, di sé stessa uscìo,
e che si fesse rimembrar non sape. [45]
«Apri li occhi e riguarda qual son io;
tu hai vedute cose, che possente
se’ fatto a sostener lo riso mio». [48]
Io era come quei che si risente
di visione oblita e che s’ingegna
indarno di ridurlasi a la mente, [51]
quand’io udi’ questa proferta, degna
di tanto grato, che mai non si stingue
del libro che ‘l preterito rassegna. [54]
Se mo sonasser tutte quelle lingue
che Polimnia con le suore fero
del latte lor dolcissimo più pingue, [57]
per aiutarmi, al millesmo del vero
non si verria, cantando il santo riso
e quanto il santo aspetto facea mero; [60]
e così, figurando il paradiso,
convien saltar lo sacrato poema,
come chi trova suo cammin riciso. [63]
Ma chi pensasse il ponderoso tema
e l’omero mortal che se ne carca,
nol biasmerebbe se sott’esso trema: [66]
non è pareggio da picciola barca
quel che fendendo va l’ardita prora,
né da nocchier ch’a sé medesmo parca. [69]
«Perché la faccia mia sì t’innamora,
che tu non ti rivolgi al bel giardino
che sotto i raggi di Cristo s’infiora? [72]
Quivi è la rosa in che ‘l verbo divino
carne si fece; quivi son li gigli
al cui odor si prese il buon cammino». [75]
Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli
tutto era pronto, ancora mi rendei
a la battaglia de’ debili cigli. [78]
Come a raggio di sol che puro mei
per fratta nube, già prato di fiori
vider, coverti d’ombra, li occhi miei; [81]
vid’io così più turbe di splendori,
folgorate di sù da raggi ardenti,
sanza veder principio di folgóri. [84]
O benigna vertù che sì li ‘mprenti,
sù t’essaltasti, per largirmi loco
a li occhi lì che non t’eran possenti. [87]
Il nome del bel fior ch’io sempre invoco
e mane e sera, tutto mi ristrinse
l’animo ad avvisar lo maggior foco; [90]
e come ambo le luci mi dipinse
il quale e il quanto de la viva stella
che là sù vince come qua giù vinse, [93]
per entro il cielo scese una facella,
formata in cerchio a guisa di corona,
e cinsela e girossi intorno ad ella. [96]
Qualunque melodia più dolce suona
qua giù e più a sé l’anima tira,
parrebbe nube che squarciata tona, [99]
comparata al sonar di quella lira
onde si coronava il bel zaffiro
del quale il ciel più chiaro s’inzaffira. [102]
«Io sono amore angelico, che giro
l’alta letizia che spira del ventre
che fu albergo del nostro disiro; [105]
e girerommi, donna del ciel, mentre
che seguirai tuo figlio, e farai dia
più la spera suprema perché lì entre». [108]
Così la circulata melodia
si sigillava, e tutti li altri lumi
facean sonare il nome di Maria. [111]
Lo real manto di tutti i volumi
del mondo, che più ferve e più s’avviva
ne l’alito di Dio e nei costumi, [114]
avea sopra di noi l’interna riva
tanto distante, che la sua parvenza,
là dov’io era, ancor non appariva: [117]
però non ebber li occhi miei potenza
di seguitar la coronata fiamma
che si levò appresso sua semenza. [120]
E come fantolin che ‘nver’ la mamma
tende le braccia, poi che ‘l latte prese,
per l’animo che ‘nfin di fuor s’infiamma; [123]
ciascun di quei candori in sù si stese
con la sua cima, sì che l’alto affetto
ch’elli avieno a Maria mi fu palese. [126]
Indi rimaser lì nel mio cospetto,
‘Regina celi’ cantando sì dolce,
che mai da me non si partì ‘l diletto. [129]
Oh quanta è l’ubertà che si soffolce
in quelle arche ricchissime che fuoro
a seminar qua giù buone bobolce! [132]
Quivi si vive e gode del tesoro
che s’acquistò piangendo ne lo essilio
di Babillòn, ove si lasciò l’oro. [135]
Quivi triunfa, sotto l’alto Filio
di Dio e di Maria, di sua vittoria,
e con l’antico e col novo concilio, [138]
colui che tien le chiavi di tal gloria.