Paradiso – Canto XVIII / Diciottesimo Canto / Canto 18°
Temi e canti: 1-21 Il conforto di Beatrice • 22-51 Le anime dei combattenti per la fede • 52-69 Il cielo di Giove • 70-114 L’Aquila • 115-136 Preghiera e invettiva • 130 Ma tu che sol per cancellare scrivi
Paradiso
CANTO XVIII
Già si godeva solo del suo verbo
quello specchio beato, e io gustava
lo mio, temprando col dolce l’acerbo; [3]
e quella donna ch’a Dio mi menava
disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono
presso a colui ch’ogne torto disgrava». [6]
Io mi rivolsi a l’amoroso suono
del mio conforto; e qual io allor vidi
ne li occhi santi amor, qui l’abbandono: [9]
non perch’io pur del mio parlar diffidi,
ma per la mente che non può redire
sovra sé tanto, s’altri non la guidi. [12]
Tanto poss’io di quel punto ridire,
che, rimirando lei, lo mio affetto
libero fu da ogne altro disire, [15]
fin che ‘l piacere etterno, che diretto
raggiava in Beatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto. [18]
Vincendo me col lume d’un sorriso,
ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
ché non pur ne’ miei occhi è paradiso». [21]
l’affetto ne la vista, s’elli è tanto,
che da lui sia tutta l’anima tolta, [24]
così nel fiammeggiar del folgór santo,
a ch’io mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancora alquanto. [27]
El cominciò: «In questa quinta soglia
de l’albero che vive de la cima
e frutta sempre e mai non perde foglia, [30]
spiriti son beati, che giù, prima
che venissero al ciel, fuor di gran voce,
sì ch’ogne musa ne sarebbe opima. [33]
Però mira ne’ corni de la croce:
quello ch’io nomerò, lì farà l’atto
che fa in nube il suo foco veloce». [36]
Io vidi per la croce un lume tratto
dal nomar Iosuè, com’el si feo;
né mi fu noto il dir prima che ‘l fatto. [39]
E al nome de l’alto Macabeo
vidi moversi un altro roteando,
e letizia era ferza del paleo. [42]
Così per Carlo Magno e per Orlando
due ne seguì lo mio attento sguardo,
com’occhio segue suo falcon volando. [45]
Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
e ‘l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo. [48]
Indi, tra l’altre luci mota e mista,
mostrommi l’alma che m’avea parlato
qual era tra i cantor del cielo artista. [51]
Io mi rivolsi dal mio destro lato
per vedere in Beatrice il mio dovere,
o per parlare o per atto, segnato; [54]
e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
vinceva li altri e l’ultimo solere. [57]
E come, per sentir più dilettanza
bene operando, l’uom di giorno in giorno
s’accorge che la sua virtute avanza, [60]
sì m’accors’io che ‘l mio girare intorno
col cielo insieme avea cresciuto l’arco,
veggendo quel miracol più addorno. [63]
E qual è ‘l trasmutare in picciol varco
di tempo in bianca donna, quando ‘l volto
suo si discarchi di vergogna il carco, [66]
tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
per lo candor de la temprata stella
sesta, che dentro a sé m’avea ricolto. [69]
Io vidi in quella giovial facella
lo sfavillar de l’amor che lì era,
segnare a li occhi miei nostra favella. [72]
E come augelli surti di rivera,
quasi congratulando a lor pasture,
fanno di sé or tonda or altra schiera, [75]
sì dentro ai lumi sante creature
volitando cantavano, e faciensi
or D, or I, or L in sue figure. [78]
Prima, cantando, a sua nota moviensi;
poi, diventando l’un di questi segni,
un poco s’arrestavano e taciensi. [81]
O diva Pegasea che li ‘ngegni
fai gloriosi e rendili longevi,
ed essi teco le cittadi e ‘ regni, [84]
illustrami di te, sì ch’io rilevi
le lor figure com’io l’ho concette:
paia tua possa in questi versi brevi! [87]
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; e io notai
le parti sì, come mi parver dette. [90]
‘DILIGITE IUSTITIAM’, primai
fur verbo e nome di tutto ‘l dipinto;
‘QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai. [93]
Poscia ne l’emme del vocabol quinto
rimasero ordinate; sì che Giove
pareva argento lì d’oro distinto. [96]
E vidi scendere altre luci dove
era il colmo de l’emme, e lì quetarsi
cantando, credo, il ben ch’a sé le move. [99]
Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi
surgono innumerabili faville,
onde li stolti sogliono agurarsi, [102]
resurger parver quindi più di mille
luci e salir, qual assai e qual poco,
sì come ‘l sol che l’accende sortille; [105]
e quietata ciascuna in suo loco,
la testa e ‘l collo d’un’aguglia vidi
rappresentare a quel distinto foco. [108]
Quei che dipinge lì, non ha chi ‘l guidi;
ma esso guida, e da lui si rammenta
quella virtù ch’è forma per li nidi. [111]
L’altra beatitudo, che contenta
pareva prima d’ingigliarsi a l’emme,
con poco moto seguitò la ‘mprenta. [114]
O dolce stella, quali e quante gemme
mi dimostraro che nostra giustizia
effetto sia del ciel che tu ingemme! [117]
Per ch’io prego la mente in che s’inizia
tuo moto e tua virtute, che rimiri
ond’esce il fummo che ‘l tuo raggio vizia; [120]
sì ch’un’altra fiata omai s’adiri
del comperare e vender dentro al templo
che si murò di segni e di martìri. [123]
O milizia del ciel cu’ io contemplo,
adora per color che sono in terra
tutti sviati dietro al malo essemplo! [126]
Già si solea con le spade far guerra;
ma or si fa togliendo or qui or quivi
lo pan che ‘l pio Padre a nessun serra. [129]
Ma tu che sol per cancellare scrivi,
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
per la vigna che guasti, ancor son vivi. [132]
Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ‘l disiro
sì a colui che volle viver solo
e che per salti fu tratto al martiro, [135]
ch’io non conosco il pescator né Polo».