Paradiso – Canto XIX / Diciannovesimo Canto / Canto 19°
Temi e canti: 1-21 L’Aquila • 22-39 Dubbio di Dante • 40-99 La giustizia di Dio • 100-114 Dottrina della salvezza • 115-148 I cattivi principi cristiani
Paradiso
CANTO XIX
Parea dinanzi a me con l’ali aperte
la bella image che nel dolce frui
liete facevan l’anime conserte; [3]
parea ciascuna rubinetto in cui
raggio di sole ardesse sì acceso,
che ne’ miei occhi rifrangesse lui. [6]
E quel che mi convien ritrar testeso,
non portò voce mai, né scrisse incostro,
né fu per fantasia già mai compreso; [9]
ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro,
e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
quand’era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’. [12]
E cominciò: «Per esser giusto e pio
son io qui essaltato a quella gloria
che non si lascia vincere a disio; [15]
e in terra lasciai la mia memoria
sì fatta, che le genti lì malvage
commendan lei, ma non seguon la storia». [18]
Così un sol calor di molte brage
si fa sentir, come di molti amori
usciva solo un suon di quella image. [21]
Ond’io appresso: «O perpetui fiori
de l’etterna letizia, che pur uno
parer mi fate tutti vostri odori, [24]
solvetemi, spirando, il gran digiuno
che lungamente m’ha tenuto in fame,
non trovandoli in terra cibo alcuno. [27]
Ben so io che, se ‘n cielo altro reame
la divina giustizia fa suo specchio,
che ‘l vostro non l’apprende con velame. [30]
Sapete come attento io m’apparecchio
ad ascoltar; sapete qual è quello
dubbio che m’è digiun cotanto vecchio». [33]
Quasi falcone ch’esce del cappello,
move la testa e con l’ali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello, [36]
vid’io farsi quel segno, che di laude
de la divina grazia era contesto,
con canti quai si sa chi là sù gaude. [39]
Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
distinse tanto occulto e manifesto, [42]
non poté suo valor sì fare impresso
in tutto l’universo, che ‘l suo verbo
non rimanesse in infinito eccesso. [45]
E ciò fa certo che ‘l primo superbo,
che fu la somma d’ogne creatura,
per non aspettar lume, cadde acerbo; [48]
e quinci appar ch’ogne minor natura
è corto recettacolo a quel bene
che non ha fine e sé con sé misura. [51]
Dunque vostra veduta, che convene
esser alcun de’ raggi de la mente
di che tutte le cose son ripiene, [54]
non pò da sua natura esser possente
tanto, che suo principio discerna
molto di là da quel che l’è parvente. [57]
Però ne la giustizia sempiterna
la vista che riceve il vostro mondo,
com’occhio per lo mare, entro s’interna; [60]
che, ben che da la proda veggia il fondo,
in pelago nol vede; e nondimeno
èli, ma cela lui l’esser profondo. [63]
Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai; anzi è tenebra
od ombra de la carne o suo veleno. [66]
Assai t’è mo aperta la latebra
che t’ascondeva la giustizia viva,
di che facei question cotanto crebra; [69]
ché tu dicevi: “Un uom nasce a la riva
de l’Indo, e quivi non è chi ragioni
di Cristo né chi legga né chi scriva; [72]
e tutti suoi voleri e atti buoni
sono, quanto ragione umana vede,
sanza peccato in vita o in sermoni. [75]
Muore non battezzato e sanza fede:
ov’è questa giustizia che ‘l condanna?
ov’è la colpa sua, se ei non crede?” [78]
Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta d’una spanna? [81]
Certo a colui che meco s’assottiglia,
se la Scrittura sovra voi non fosse,
da dubitar sarebbe a maraviglia. [84]
Oh terreni animali! oh menti grosse!
La prima volontà, ch’è da sé buona,
da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse. [87]
Cotanto è giusto quanto a lei consuona:
nullo creato bene a sé la tira,
ma essa, radiando, lui cagiona». [90]
Quale sovresso il nido si rigira
poi c’ha pasciuti la cicogna i figli,
e come quel ch’è pasto la rimira; [93]
cotal si fece, e sì levai i cigli,
la benedetta imagine, che l’ali
movea sospinte da tanti consigli. [96]
Roteando cantava, e dicea: «Quali
son le mie note a te, che non le ‘ntendi,
tal è il giudicio etterno a voi mortali». [99]
Poi si quetaro quei lucenti incendi
de lo Spirito Santo ancor nel segno
che fé i Romani al mondo reverendi, [102]
esso ricominciò: «A questo regno
non salì mai chi non credette ‘n Cristo,
né pria né poi ch’el si chiavasse al legno. [105]
Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”,
che saranno in giudicio assai men prope
a lui, che tal che non conosce Cristo; [108]
e tai Cristian dannerà l’Etiòpe,
quando si partiranno i due collegi,
l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe. [111]
Che poran dir li Perse a’ vostri regi,
come vedranno quel volume aperto
nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? [114]
Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto,
quella che tosto moverà la penna,
per che ‘l regno di Praga fia diserto. [117]
Lì si vedrà il duol che sovra Senna
induce, falseggiando la moneta,
quel che morrà di colpo di cotenna. [120]
Lì si vedrà la superbia ch’asseta,
che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,
sì che non può soffrir dentro a sua meta. [123]
Vedrassi la lussuria e ‘l viver molle
di quel di Spagna e di quel di Boemme,
che mai valor non conobbe né volle. [126]
Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
segnata con un i la sua bontate,
quando ‘l contrario segnerà un emme. [129]
Vedrassi l’avarizia e la viltate
di quei che guarda l’isola del foco,
ove Anchise finì la lunga etate; [132]
e a dare ad intender quanto è poco,
la sua scrittura fian lettere mozze,
che noteranno molto in parvo loco. [135]
E parranno a ciascun l’opere sozze
del barba e del fratel, che tanto egregia
nazione e due corone han fatte bozze. [138]
E quel di Portogallo e di Norvegia
lì si conosceranno, e quel di Rascia
che male ha visto il conio di Vinegia. [141]
Oh beata Ungheria, se non si lascia
più malmenare! e beata Navarra,
se s’armasse del monte che la fascia! [144]
E creder de’ ciascun che già, per arra
di questo, Niccosia e Famagosta
per la lor bestia si lamenti e garra, [147]
che dal fianco de l’altre non si scosta».