Paradiso – Canto VII / Settimo Canto / Canto 7°
Temi e canti: 1-24 Dubbio di Dante • 25-120 Dottrina dell’Incarnazione e della Passione • 121-148 Corollari dottrinali
Paradiso
CANTO VII
«Osanna, sanctus Deus sabaòth,
superillustrans claritate tua
felices ignes horum malacòth!». [3]
Così, volgendosi a la nota sua,
fu viso a me cantare essa sustanza,
sopra la qual doppio lume s’addua: [6]
ed essa e l’altre mossero a sua danza,
e quasi velocissime faville,
mi si velar di sùbita distanza. [9]
Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’
fra me, ‘dille’, dicea, ‘a la mia donna
che mi diseta con le dolci stille’. [12]
Ma quella reverenza che s’indonna
di tutto me, pur per Be e per ice,
mi richinava come l’uom ch’assonna. [15]
Poco sofferse me cotal Beatrice
e cominciò, raggiandomi d’un riso
tal, che nel foco faria l’uom felice: [18]
«Secondo mio infallibile avviso,
come giusta vendetta giustamente
punita fosse, t’ha in pensier miso; [21]
ma io ti solverò tosto la mente;
e tu ascolta, ché le mie parole
di gran sentenza ti faran presente. [24]
Per non soffrire a la virtù che vole
freno a suo prode, quell’uom che non nacque,
dannando sé, dannò tutta sua prole; [27]
onde l’umana specie inferma giacque
giù per secoli molti in grande errore,
fin ch’al Verbo di Dio discender piacque [30]
u’ la natura, che dal suo fattore
s’era allungata, unì a sé in persona
con l’atto sol del suo etterno amore. [33]
Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona:
questa natura al suo fattore unita,
qual fu creata, fu sincera e buona; [36]
ma per sé stessa pur fu ella sbandita
di paradiso, però che si torse
da via di verità e da sua vita. [39]
La pena dunque che la croce porse
s’a la natura assunta si misura,
nulla già mai sì giustamente morse; [42]
e così nulla fu di tanta ingiura,
guardando a la persona che sofferse,
in che era contratta tal natura. [45]
Però d’un atto uscir cose diverse:
ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;
per lei tremò la terra e ‘l ciel s’aperse. [48]
Non ti dee oramai parer più forte,
quando si dice che giusta vendetta
poscia vengiata fu da giusta corte. [51]
Ma io veggi’ or la tua mente ristretta
di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
del qual con gran disio solver s’aspetta. [54]
Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo;
ma perché Dio volesse, m’è occulto,
a nostra redenzion pur questo modo”. [57]
Questo decreto, frate, sta sepulto
a li occhi di ciascuno il cui ingegno
ne la fiamma d’amor non è adulto. [60]
Veramente, però ch’a questo segno
molto si mira e poco si discerne,
dirò perché tal modo fu più degno. [63]
La divina bontà, che da sé sperne
ogne livore, ardendo in sé, sfavilla
sì che dispiega le bellezze etterne. [66]
Ciò che da lei sanza mezzo distilla
non ha poi fine, perché non si move
la sua imprenta quand’ella sigilla. [69]
Ciò che da essa sanza mezzo piove
libero è tutto, perché non soggiace
a la virtute de le cose nove. [72]
Più l’è conforme, e però più le piace;
ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia,
ne la più somigliante è più vivace. [75]
Di tutte queste dote s’avvantaggia
l’umana creatura; e s’una manca,
di sua nobilità convien che caggia. [78]
Solo il peccato è quel che la disfranca
e falla dissìmile al sommo bene,
per che del lume suo poco s’imbianca; [81]
e in sua dignità mai non rivene,
se non riempie, dove colpa vòta,
contra mal dilettar con giuste pene. [84]
Vostra natura, quando peccò tota
nel seme suo, da queste dignitadi,
come di paradiso, fu remota; [87]
né ricovrar potiensi, se tu badi
ben sottilmente, per alcuna via,
sanza passar per un di questi guadi: [90]
o che Dio solo per sua cortesia
dimesso avesse, o che l’uom per sé isso
avesse sodisfatto a sua follia. [93]
Ficca mo l’occhio per entro l’abisso
de l’etterno consiglio, quanto puoi
al mio parlar distrettamente fisso. [96]
Non potea l’uomo ne’ termini suoi
mai sodisfar, per non potere ir giuso
con umiltate obediendo poi, [99]
quanto disobediendo intese ir suso;
e questa è la cagion per che l’uom fue
da poter sodisfar per sé dischiuso. [102]
Dunque a Dio convenia con le vie sue
riparar l’omo a sua intera vita,
dico con l’una, o ver con amendue. [105]
Ma perché l’ovra tanto è più gradita
da l’operante, quanto più appresenta
de la bontà del core ond’ell’è uscita, [108]
la divina bontà che ‘l mondo imprenta,
di proceder per tutte le sue vie,
a rilevarvi suso, fu contenta. [111]
Né tra l’ultima notte e ‘l primo die
sì alto o sì magnifico processo,
o per l’una o per l’altra, fu o fie: [114]
ché più largo fu Dio a dar sé stesso
per far l’uom sufficiente a rilevarsi,
che s’elli avesse sol da sé dimesso; [117]
e tutti li altri modi erano scarsi
a la giustizia, se ‘l Figliuol di Dio
non fosse umiliato ad incarnarsi. [120]
Or per empierti bene ogni disio,
ritorno a dichiararti in alcun loco,
perché tu veggi lì così com’io. [123]
Tu dici: “Io veggio l’acqua, io veggio il foco,
l’aere e la terra e tutte lor misture
venire a corruzione, e durar poco; [126]
e queste cose pur furon creature;
per che, se ciò ch’è detto è stato vero,
esser dovrien da corruzion sicure”. [129]
Li angeli, frate, e ‘l paese sincero
nel qual tu se’, dir si posson creati,
sì come sono, in loro essere intero; [132]
ma li elementi che tu hai nomati
e quelle cose che di lor si fanno
da creata virtù sono informati. [135]
Creata fu la materia ch’elli hanno;
creata fu la virtù informante
in queste stelle che ‘ntorno a lor vanno. [138]
L’anima d’ogne bruto e de le piante
di complession potenziata tira
lo raggio e ‘l moto de le luci sante; [141]
ma vostra vita sanza mezzo spira
la somma beninanza, e la innamora
di sé sì che poi sempre la disira. [144]
E quinci puoi argomentare ancora
vostra resurrezion, se tu ripensi
come l’umana carne fessi allora [147]
che li primi parenti intrambo fensi».