Paradiso – Canto IX / Nono Canto / Canto 9°
Temi e canti: 1-12 Profezia di Carlo Martello • 13-63 Cunizza da Romano • 64-108 Folchetto da Marsiglia • 109-126 Raab • 127-142 Invettiva contro i chierici avari
Paradiso
CANTO IX
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
m’ebbe chiarito, mi narrò li ‘nganni
che ricever dovea la sua semenza; [3]
ma disse: «Taci e lascia muover li anni»;
sì ch’io non posso dir se non che pianto
giusto verrà di retro ai vostri danni. [6]
E già la vita di quel lume santo
rivolta s’era al Sol che la riempie
come quel ben ch’a ogne cosa è tanto. [9]
Ahi anime ingannate e fatture empie,
che da sì fatto ben torcete i cuori,
drizzando in vanità le vostre tempie! [12]
Ed ecco un altro di quelli splendori
ver’ me si fece, e ‘l suo voler piacermi
significava nel chiarir di fori. [15]
Li occhi di Beatrice, ch’eran fermi
sovra me, come pria, di caro assenso
al mio disio certificato fermi. [18]
«Deh, metti al mio voler tosto compenso,
beato spirto», dissi, «e fammi prova
ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!». [21]
Onde la luce che m’era ancor nova,
del suo profondo, ond’ella pria cantava,
seguette come a cui di ben far giova: [24]
«In quella parte de la terra prava
italica che siede tra Rialto
e le fontane di Brenta e di Piava, [27]
si leva un colle, e non surge molt’alto,
là onde scese già una facella
che fece a la contrada un grande assalto. [30]
D’una radice nacqui e io ed ella:
Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
perché mi vinse il lume d’esta stella; [33]
ma lietamente a me medesma indulgo
la cagion di mia sorte, e non mi noia;
che parria forse forte al vostro vulgo. [36]
Di questa luculenta e cara gioia
del nostro cielo che più m’è propinqua,
grande fama rimase; e pria che moia, [39]
questo centesimo anno ancor s’incinqua:
vedi se far si dee l’omo eccellente,
sì ch’altra vita la prima relinqua. [42]
E ciò non pensa la turba presente
che Tagliamento e Adice richiude,
né per esser battuta ancor si pente; [45]
ma tosto fia che Padova al palude
cangerà l’acqua che Vincenza bagna,
per essere al dover le genti crude; [48]
e dove Sile e Cagnan s’accompagna,
tal signoreggia e va con la testa alta,
che già per lui carpir si fa la ragna. [51]
Piangerà Feltro ancora la difalta
de l’empio suo pastor, che sarà sconcia
sì, che per simil non s’entrò in malta. [54]
Troppo sarebbe larga la bigoncia
che ricevesse il sangue ferrarese,
e stanco chi ‘l pesasse a oncia a oncia, [57]
che donerà questo prete cortese
per mostrarsi di parte; e cotai doni
conformi fieno al viver del paese. [60]
Sù sono specchi, voi dicete Troni,
onde refulge a noi Dio giudicante;
sì che questi parlar ne paion buoni». [63]
Qui si tacette; e fecemi sembiante
che fosse ad altro volta, per la rota
in che si mise com’era davante. [66]
L’altra letizia, che m’era già nota
per cara cosa, mi si fece in vista
qual fin balasso in che lo sol percuota. [69]
Per letiziar là sù fulgor s’acquista,
sì come riso qui; ma giù s’abbuia
l’ombra di fuor, come la mente è trista. [72]
«Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia»,
diss’io, «beato spirto, sì che nulla
voglia di sé a te puot’esser fuia. [75]
Dunque la voce tua, che ‘l ciel trastulla
sempre col canto di quei fuochi pii
che di sei ali facen la coculla, [78]
perché non satisface a’ miei disii?
Già non attendere’ io tua dimanda,
s’io m’intuassi, come tu t’inmii». [81]
«La maggior valle in che l’acqua si spanda»,
incominciaro allor le sue parole,
«fuor di quel mar che la terra inghirlanda, [84]
tra ‘ discordanti liti contra ‘l sole
tanto sen va, che fa meridiano
là dove l’orizzonte pria far suole. [87]
Di quella valle fu’ io litorano
tra Ebro e Macra, che per cammin corto
parte lo Genovese dal Toscano. [90]
Ad un occaso quasi e ad un orto
Buggea siede e la terra ond’io fui,
che fé del sangue suo già caldo il porto. [93]
Folco mi disse quella gente a cui
fu noto il nome mio; e questo cielo
di me s’imprenta, com’io fe’ di lui; [96]
ché più non arse la figlia di Belo,
noiando e a Sicheo e a Creusa,
di me, infin che si convenne al pelo; [99]
né quella Rodopea che delusa
fu da Demofoonte, né Alcide
quando Iole nel core ebbe rinchiusa. [102]
Non però qui si pente, ma si ride,
non de la colpa, ch’a mente non torna,
ma del valor ch’ordinò e provide. [105]
Qui si rimira ne l’arte ch’addorna
cotanto affetto, e discernesi ‘l bene
per che ‘l mondo di sù quel di giù torna. [108]
Ma perché tutte le tue voglie piene
ten porti che son nate in questa spera,
proceder ancor oltre mi convene. [111]
Tu vuo’ saper chi è in questa lumera
che qui appresso me così scintilla,
come raggio di sole in acqua mera. [114]
Or sappi che là entro si tranquilla
Raab; e a nostr’ordine congiunta,
di lei nel sommo grado si sigilla. [117]
Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta
che ‘l vostro mondo face, pria ch’altr’alma
del triunfo di Cristo fu assunta. [120]
Ben si convenne lei lasciar per palma
in alcun cielo de l’alta vittoria
che s’acquistò con l’una e l’altra palma, [123]
perch’ella favorò la prima gloria
di Iosuè in su la Terra Santa,
che poco tocca al papa la memoria. [126]
La tua città, che di colui è pianta
che pria volse le spalle al suo fattore
e di cui è la ‘nvidia tanto pianta, [129]
produce e spande il maladetto fiore
c’ha disviate le pecore e li agni,
però che fatto ha lupo del pastore. [132]
Per questo l’Evangelio e i dottor magni
son derelitti, e solo ai Decretali
si studia, sì che pare a’ lor vivagni. [135]
A questo intende il papa e ‘ cardinali;
non vanno i lor pensieri a Nazarette,
là dove Gabriello aperse l’ali. [138]
Ma Vaticano e l’altre parti elette
di Roma che son state cimitero
a la milizia che Pietro seguette, [141]
tosto libere fien de l’avoltero».