Inferno – Canto XX

Inferno – Canto XX / Ventesimo Canto / Canto 20°

Temi e versi: 1-30 Gli indovini • 31-51 Anfiarao; Tiresia; Arunte • 52-102 Manto e le origini di Mantova • 103-130 Altri indovini

Inferno

CANTO XX

Di nova pena mi conven far versi

e dar matera al ventesimo canto

de la prima canzon ch’è d’i sommersi.   [3]

Io era già disposto tutto quanto

a riguardar ne lo scoperto fondo,

che si bagnava d’angoscioso pianto;   [6]

e vidi gente per lo vallon tondo

venir, tacendo e lagrimando, al passo

che fanno le letane in questo mondo.   [9]

Come ‘l viso mi scese in lor più basso,

mirabilmente apparve esser travolto

ciascun tra ‘l mento e ‘l principio del casso;   [12]

ché da le reni era tornato ‘l volto,

e in dietro venir li convenia,

perché ‘l veder dinanzi era lor tolto.   [15]

Forse per forza già di parlasia

si travolse così alcun del tutto;

ma io nol vidi, né credo che sia.   [18]

Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto

di tua lezione, or pensa per te stesso

com’io potea tener lo viso asciutto,   [21]

quando la nostra imagine di presso

vidi sì torta, che ‘l pianto de li occhi

le natiche bagnava per lo fesso.   [24]

Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi

del duro scoglio, sì che la mia scorta

mi disse: «Ancor se’ tu de li altri sciocchi?   [27]

Qui vive la pietà quand’è ben morta;

chi è più scellerato che colui

che al giudicio divin passion comporta?   [30]

Drizza la testa, drizza, e vedi a cui

s’aperse a li occhi d’i Teban la terra;

per ch’ei gridavan tutti: “Dove rui,   [33]

Anfiarao? perché lasci la guerra?”.

E non restò di ruinare a valle

fino a Minòs che ciascheduno afferra.   [36]

Mira c’ha fatto petto de le spalle:

perché volle veder troppo davante,

di retro guarda e fa retroso calle.   [39]

Vedi Tiresia, che mutò sembiante

quando di maschio femmina divenne

cangiandosi le membra tutte quante;   [42]

e prima, poi, ribatter li convenne

li duo serpenti avvolti, con la verga,

che riavesse le maschili penne.   [45]

Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga,

che ne’ monti di Luni, dove ronca

lo Carrarese che di sotto alberga,   [48]

ebbe tra ‘ bianchi marmi la spelonca

per sua dimora; onde a guardar le stelle

e ‘l mar no li era la veduta tronca.   [51]

E quella che ricuopre le mammelle,

che tu non vedi, con le trecce sciolte,

e ha di là ogne pilosa pelle,   [54]

Manto fu, che cercò per terre molte;

poscia si puose là dove nacqu’io;

onde un poco mi piace che m’ascolte.   [57]

Poscia che ‘l padre suo di vita uscìo,

e venne serva la città di Baco,

questa gran tempo per lo mondo gio.   [60]

Suso in Italia bella giace un laco,

a piè de l’Alpe che serra Lamagna

sovra Tiralli, c’ha nome Benaco.   [63]

Per mille fonti, credo, e più si bagna

tra Garda e Val Camonica e Pennino

de l’acqua che nel detto laco stagna.   [66]

Loco è nel mezzo là dove ‘l trentino

pastore e quel di Brescia e ‘l veronese

segnar poria, s’e’ fesse quel cammino.   [69]

Siede Peschiera, bello e forte arnese

da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,

ove la riva ‘ntorno più discese.   [72]

Ivi convien che tutto quanto caschi

ciò che ‘n grembo a Benaco star non può,

e fassi fiume giù per verdi paschi.   [75]

Tosto che l’acqua a correr mette co,

non più Benaco, ma Mencio si chiama

fino a Governol, dove cade in Po.   [78]

Non molto ha corso, ch’el trova una lama,

ne la qual si distende e la ‘mpaluda;

e suol di state talor essere grama.   [81]

Quindi passando la vergine cruda

vide terra, nel mezzo del pantano,

sanza coltura e d’abitanti nuda.   [84]

Lì, per fuggire ogne consorzio umano,

ristette con suoi servi a far sue arti,

e visse, e vi lasciò suo corpo vano.   [87]

Li uomini poi che ‘ntorno erano sparti

s’accolsero a quel loco, ch’era forte

per lo pantan ch’avea da tutte parti.   [90]

Fer la città sovra quell’ossa morte;

e per colei che ‘l loco prima elesse,

Mantua l’appellar sanz’altra sorte.   [93]

Già fuor le genti sue dentro più spesse,

prima che la mattia da Casalodi

da Pinamonte inganno ricevesse.   [96]

Però t’assenno che, se tu mai odi

originar la mia terra altrimenti,

la verità nulla menzogna frodi».   [99]

E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti

mi son sì certi e prendon sì mia fede,

che li altri mi sarien carboni spenti.   [102]

Ma dimmi, de la gente che procede,

se tu ne vedi alcun degno di nota;

ché solo a ciò la mia mente rifiede».   [105]

Allor mi disse: «Quel che da la gota

porge la barba in su le spalle brune,

fu – quando Grecia fu di maschi vòta,   [108]

sì ch’a pena rimaser per le cune –

augure, e diede ‘l punto con Calcanta

in Aulide a tagliar la prima fune.   [111]

Euripilo ebbe nome, e così ‘l canta

l’alta mia tragedìa in alcun loco:

ben lo sai tu che la sai tutta quanta.   [114]

Quell’altro che ne’ fianchi è così poco,

Michele Scotto fu, che veramente

de le magiche frode seppe ‘l gioco.   [117]

Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,

ch’avere inteso al cuoio e a lo spago

ora vorrebbe, ma tardi si pente.   [120]

Vedi le triste che lasciaron l’ago,

la spuola e ‘l fuso, e fecersi ‘ndivine;

fecer malie con erbe e con imago.   [123]

Ma vienne omai, ché già tiene ‘l confine

d’amendue li emisperi e tocca l’onda

sotto Sobilia Caino e le spine;   [126]

e già iernotte fu la luna tonda:

ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque

alcuna volta per la selva fonda».   [129]

Sì mi parlava, e andavamo introcque.