Inferno – Canto X / Decimo Canto / Canto 10°
Temi e versi: 1-21 Gli epicurei • 22-51 Farinata degli Uberti • 52-72 Apparizione di Calvalcante de’ Cavalcanti • 73-93 Ripresa del colloquio con Farinata e sua profezia • 94-120 I limiti della preveggenza dei dannati • 121-136 Smarrimento di Dante
Inferno
CANTO X
Ora sen va per un secreto calle,
tra ‘l muro de la terra e li martìri,
lo mio maestro, e io dopo le spalle. [3]
«O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi», cominciai, «com’a te piace,
parlami, e sodisfammi a’ miei disiri. [6]
La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
tutt’i coperchi, e nessun guardia face». [9]
E quelli a me: «Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
coi corpi che là sù hanno lasciati. [12]
Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l’anima col corpo morta fanno. [15]
Però a la dimanda che mi faci
quinc’entro satisfatto sarà tosto,
e al disio ancor che tu mi taci». [18]
E io: «Buon duca, non tegno riposto
a te mio cuor se non per dicer poco,
e tu m’hai non pur mo a ciò disposto». [21]
«O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco. [24]
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria natio
a la qual forse fui troppo molesto». [27]
Subitamente questo suono uscìo
d’una de l’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio. [30]
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ‘l vedrai». [33]
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’avesse l’inferno a gran dispitto. [36]
E l’animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: «Le parole tue sien conte». [39]
Com’io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?». [42]
Io ch’era d’ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;
ond’ei levò le ciglia un poco in suso; [45]
poi disse: «Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fiate li dispersi». [48]
«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,
rispuos’io lui, «l’una e l’altra fiata;
ma i vostri non appreser ben quell’arte». [51]
Allor surse a la vista scoperchiata
un’ombra, lungo questa, infino al mento:
credo che s’era in ginocchie levata. [54]
Dintorno mi guardò, come talento
avesse di veder s’altri era meco;
e poi che ‘l sospecciar fu tutto spento, [57]
piangendo disse: «Se per questo cieco
carcere vai per altezza d’ingegno,
mio figlio ov’è? e perché non è teco?». [60]
E io a lui: «Da me stesso non vegno:
colui ch’attende là, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno». [63]
Le sue parole e ‘l modo de la pena
m’avean di costui già letto il nome;
però fu la risposta così piena. [66]
Di subito drizzato gridò: «Come?
dicesti “elli ebbe”? non viv’elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?». [69]
Quando s’accorse d’alcuna dimora
ch’io facea dinanzi a la risposta,
supin ricadde e più non parve fora. [72]
Ma quell’altro magnanimo, a cui posta
restato m’era, non mutò aspetto,
né mosse collo, né piegò sua costa: [75]
e sé continuando al primo detto,
«S’elli han quell’arte», disse, «male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto. [78]
Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell’arte pesa. [81]
E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?». [84]
Ond’io a lui: «Lo strazio e ‘l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio». [87]
Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,
«A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo
sanza cagion con li altri sarei mosso. [90]
Ma fu’ io solo, là dove sofferto
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
colui che la difesi a viso aperto». [93]
«Deh, se riposi mai vostra semenza»,
prega’ io lui, «solvetemi quel nodo
che qui ha ‘nviluppata mia sentenza. [96]
El par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che ‘l tempo seco adduce,
e nel presente tenete altro modo». [99]
«Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,
le cose», disse, «che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce. [102]
Quando s’appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano. [105]
Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
che del futuro fia chiusa la porta». [108]
Allor, come di mia colpa compunto,
dissi: «Or direte dunque a quel caduto
che ‘l suo nato è co’vivi ancor congiunto; [111]
e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
fate i saper che ‘l fei perché pensava
già ne l’error che m’avete soluto». [114]
E già ‘l maestro mio mi richiamava;
per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio
che mi dicesse chi con lu’ istava. [117]
Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è ‘l secondo Federico,
e ‘l Cardinale; e de li altri mi taccio». [120]
Indi s’ascose; e io inver’ l’antico
poeta volsi i passi, ripensando
a quel parlar che mi parea nemico. [123]
Elli si mosse; e poi, così andando,
mi disse: «Perché se’ tu sì smarrito?».
E io li sodisfeci al suo dimando. [126]
«La mente tua conservi quel ch’udito
hai contra te», mi comandò quel saggio.
«E ora attendi qui», e drizzò ‘l dito: [129]
«quando sarai dinanzi al dolce raggio
di quella il cui bell’occhio tutto vede,
da lei saprai di tua vita il viaggio». [132]
Appresso mosse a man sinistra il piede:
lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo
per un sentier ch’a una valle fiede, [135]
che ‘nfin là sù facea spiacer suo lezzo.