Inferno – Canto VII / Settimo Canto / Canto 7°
Temi e versi: 1-15 Pluto • 1 Pape Satàn, pape Satàn aleppe • 16-66 Gli avari e i prodighi • 67-99 La fortuna • 100-130 La palude dello Stige e gli iracondi
Inferno
CANTO VII
«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,
cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe, [3]
disse per confortarmi: «Non ti noccia
la tua paura; ché, poder ch’elli abbia,
non ci torrà lo scender questa roccia». [6]
Poi si rivolse a quella ‘nfiata labbia,
e disse: «Taci, maladetto lupo!
consuma dentro te con la tua rabbia. [9]
Non è sanza cagion l’andare al cupo:
vuolsi ne l’alto, là dove Michele
fé la vendetta del superbo strupo». [12]
Quali dal vento le gonfiate vele
caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca,
tal cadde a terra la fiera crudele. [15]
Così scendemmo ne la quarta lacca
pigliando più de la dolente ripa
che ‘l mal de l’universo tutto insacca. [18]
Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
nove travaglie e pene quant’io viddi?
e perché nostra colpa sì ne scipa? [21]
Come fa l’onda là sovra Cariddi,
che si frange con quella in cui s’intoppa,
così convien che qui la gente riddi. [24]
Qui vid’i’ gente più ch’altrove troppa,
e d’una parte e d’altra, con grand’urli,
voltando pesi per forza di poppa. [27]
Percoteansi ‘ncontro; e poscia pur lì
si rivolgea ciascun, voltando a retro,
gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?». [30]
Così tornavan per lo cerchio tetro
da ogne mano a l’opposito punto,
gridandosi anche loro ontoso metro; [33]
poi si volgea ciascun, quand’era giunto,
per lo suo mezzo cerchio a l’altra giostra.
E io, ch’avea lo cor quasi compunto, [36]
dissi: «Maestro mio, or mi dimostra
che gente è questa, e se tutti fuor cherci
questi chercuti a la sinistra nostra». [39]
Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci
sì de la mente in la vita primaia,
che con misura nullo spendio ferci. [42]
Assai la voce lor chiaro l’abbaia
quando vegnono a’ due punti del cerchio
dove colpa contraria li dispaia. [45]
Questi fuor cherci, che non han coperchio
piloso al capo, e papi e cardinali,
in cui usa avarizia il suo soperchio». [48]
E io: «Maestro, tra questi cotali
dovre’ io ben riconoscere alcuni
che furo immondi di cotesti mali». [51]
Ed elli a me: «Vano pensiero aduni:
la sconoscente vita che i fé sozzi
ad ogne conoscenza or li fa bruni. [54]
In etterno verranno a li due cozzi:
questi resurgeranno del sepulcro
col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi. [57]
Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
qual ella sia, parole non ci appulcro. [60]
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
d’i ben che son commessi a la fortuna,
per che l’umana gente si rabbuffa; [63]
ché tutto l’oro ch’è sotto la luna
e che già fu, di quest’anime stanche
non poterebbe farne posare una». [66]
«Maestro mio», diss’io, «or mi dì anche:
questa fortuna di che tu mi tocche,
che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?». [69]
E quelli a me: «Oh creature sciocche,
quanta ignoranza è quella che v’offende!
Or vo’ che tu mia sentenza ne ‘mbocche. [72]
Colui lo cui saver tutto trascende,
fece li cieli e diè lor chi conduce
sì ch’ogne parte ad ogne parte splende, [75]
distribuendo igualmente la luce.
Similemente a li splendor mondani
ordinò general ministra e duce [78]
che permutasse a tempo li ben vani
di gente in gente e d’uno in altro sangue,
oltre la difension d’i senni umani; [81]
per ch’una gente impera e l’altra langue,
seguendo lo giudicio di costei,
che è occulto come in erba l’angue. [84]
Vostro saver non ha contasto a lei:
questa provede, giudica, e persegue
suo regno come il loro li altri dèi. [87]
Le sue permutazion non hanno triegue;
necessità la fa esser veloce;
sì spesso vien chi vicenda consegue. [90]
Quest’è colei ch’è tanto posta in croce
pur da color che le dovrien dar lode,
dandole biasmo a torto e mala voce; [93]
ma ella s’è beata e ciò non ode:
con l’altre prime creature lieta
volve sua spera e beata si gode. [96]
Or discendiamo omai a maggior pieta;
già ogne stella cade che saliva
quand’io mi mossi, e ‘l troppo star si vieta». [99]
Noi ricidemmo il cerchio a l’altra riva
sovr’una fonte che bolle e riversa
per un fossato che da lei deriva. [102]
L’acqua era buia assai più che persa;
e noi, in compagnia de l’onde bige,
intrammo giù per una via diversa. [105]
In la palude va c’ha nome Stige
questo tristo ruscel, quand’è disceso
al piè de le maligne piagge grige. [108]
E io, che di mirare stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
ignude tutte, con sembiante offeso. [111]
Queste si percotean non pur con mano,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
troncandosi co’ denti a brano a brano. [114]
Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi
l’anime di color cui vinse l’ira;
e anche vo’ che tu per certo credi [117]
che sotto l’acqua è gente che sospira,
e fanno pullular quest’acqua al summo,
come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira. [120]
Fitti nel limo, dicon: “Tristi fummo
ne l’aere dolce che dal sol s’allegra,
portando dentro accidioso fummo: [123]
or ci attristiam ne la belletta negra”.
Quest’inno si gorgoglian ne la strozza,
ché dir nol posson con parola integra». [126]
Così girammo de la lorda pozza
grand’arco tra la ripa secca e ‘l mézzo,
con li occhi vòlti a chi del fango ingozza. [129]
Venimmo al piè d’una torre al da sezzo.