Inferno – Canto V / Quinto Canto / Canto 5°
Temi e versi: 1-24 Il secondo cerchio, Minosse • 23 Vuolsi così colà dove si puote • 25-72 I lussuriosi • 73-142 Paolo e Francesca • 103 Amor, che nullo amato amar perdona • 137 Galeotto fu il libro
Inferno
CANTO V
Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia,
e tanto più dolor, che punge a guaio. [3]
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia. [6]
Dico che quando l’anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata [9]
vede qual loco d’inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa. [12]
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte;
vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
dicono e odono, e poi son giù volte. [15]
«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l’atto di cotanto offizio, [18]
«guarda com’entri e di cui tu ti fide;
non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!».
E ‘l duca mio a lui: «Perché pur gride? [21]
Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare». [24]
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote. [27]
Io venni in loco d’ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto. [30]
La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta. [33]
Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina. [36]
Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento. [39]
E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali [42]
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena. [45]
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’io venir, traendo guai, [48]
ombre portate da la detta briga;
per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle
genti che l’aura nera sì gastiga?». [51]
«La prima di color di cui novelle
tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle. [54]
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta. [57]
Ell’è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che ‘l Soldan corregge. [60]
L’altra è colei che s’ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussuriosa. [63]
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi ‘l grande Achille,
che con amore al fine combatteo. [66]
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch’amor di nostra vita dipartille. [69]
Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e ‘ cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. [72]
I’ cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ‘nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri». [75]
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno». [78]
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!». [81]
Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere dal voler portate; [84]
cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettuoso grido. [87]
«O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, [90]
se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’hai pietà del nostro mal perverso. [93]
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ‘l vento, come fa, ci tace. [96]
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ‘l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui. [99]
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende. [102]
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona. [105]
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte. [108]
Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso e tanto il tenni basso,
fin che ‘l poeta mi disse: «Che pense?». [111]
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!». [114]
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio. [117]
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette Amore
che conosceste i dubbiosi disiri?». [120]
E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore. [123]
Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto
dirò come colui che piange e dice. [126]
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto. [129]
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse. [132]
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso, [135]
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante». [138]
Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com’io morisse. [141]
E caddi come corpo morto cade.