Inferno – Canto III

Inferno – Canto III / Terzo Canto / Canto 3°

Temi e versi: 1-21 La porta dell’inferno • 1-9 Per me si va ne la città dolente… • 22-69 Gli ignavi • 36 Senza infamia e senza lode • 51 Non ragioniam di lor, ma guarda e passa • 60 Che fece per viltade il gran rifiuto • 70-129 Il fiume Acheronte e Caronte • 95 Vuolsi così colà dove si puote • 130-136 Terremoto e svenimento di Dante

Inferno

CANTO III

«PER ME SI VA NE LA CITTÀ DOLENTE,

PER ME SI VA NE L’ETTERNO DOLORE,

PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE.   [3]

GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE:

FECEMI LA DIVINA PODESTATE,

LA SOMMA SAPIENZA E ‘L PRIMO AMORE.   [6]

DINANZI A ME NON FUOR COSE CREATE

SE NON ETTERNE, E IOETTERNO DURO.

LASCIATE OGNE SPERANZA, VOI CH’INTRATE».   [9]

Queste parole di colore oscuro

vid’io scritte al sommo d’una porta;

per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro».   [12]

Ed elli a me, come persona accorta:

«Qui si convien lasciare ogne sospetto;

ogne viltà convien che qui sia morta.   [15]

Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ho detto

che tu vedrai le genti dolorose

c’hanno perduto il ben de l’intelletto».   [18]

E poi che la sua mano a la mia puose

con lieto volto, ond’io mi confortai,

mi mise dentro a le segrete cose.   [21]

Quivi sospiri, pianti e alti guai

risonavan per l’aere sanza stelle,

per ch’io al cominciar ne lagrimai.   [24]

Diverse lingue, orribili favelle,

parole di dolore, accenti d’ira,

voci alte e fioche, e suon di man con elle   [27]

facevano un tumulto, il qual s’aggira

sempre in quell’aura sanza tempo tinta,

come la rena quando turbo spira.   [30]

E io ch’avea d’error la testa cinta,

dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo?

e che gent’è che par nel duol sì vinta?».   [33]

Ed elli a me: «Questo misero modo

tegnon l’anime triste di coloro

che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo.   [36]

Mischiate sono a quel cattivo coro

de li angeli che non furon ribelli

né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.   [39]

Caccianli i ciel per non esser men belli,

né lo profondo inferno li riceve,

ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli».   [42]

E io: «Maestro, che è tanto greve

a lor, che lamentar li fa sì forte?».

Rispuose: «Dicerolti molto breve.   [45]

Questi non hanno speranza di morte

e la lor cieca vita è tanto bassa,

che ‘nvidiosi son d’ogne altra sorte.   [48]

Fama di loro il mondo esser non lassa;

misericordia e giustizia li sdegna:

non ragioniam di lor, ma guarda e passa».   [51]

E io, che riguardai, vidi una ‘nsegna

che girando correva tanto ratta,

che d’ogne posa mi parea indegna;   [54]

e dietro le venìa sì lunga tratta

di gente, ch’i’ non averei creduto

che morte tanta n’avesse disfatta.   [57]

Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,

vidi e conobbi l’ombra di colui

che fece per viltade il gran rifiuto.   [60]

Incontanente intesi e certo fui

che questa era la setta d’i cattivi,

a Dio spiacenti e a’ nemici sui.   [63]

Questi sciaurati, che mai non fur vivi,

erano ignudi e stimolati molto

da mosconi e da vespe ch’eran ivi.   [66]

Elle rigavan lor di sangue il volto,

che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi

da fastidiosi vermi era ricolto.   [69]

E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,

vidi genti a la riva d’un gran fiume;

per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi   [72]

ch’i’ sappia quali sono, e qual costume

le fa di trapassar parer sì pronte,

com’io discerno per lo fioco lume».   [75]

Ed elli a me: «Le cose ti fier conte

quando noi fermerem li nostri passi

su la trista riviera d’Acheronte».   [78]

Allor con li occhi vergognosi e bassi,

temendo no ‘l mio dir li fosse grave,

infino al fiume del parlar mi trassi.   [81]

Ed ecco verso noi venir per nave

un vecchio, bianco per antico pelo,

gridando: «Guai a voi, anime prave!   [84]

Non isperate mai veder lo cielo:

i’ vegno per menarvi a l’altra riva

ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo.   [87]

E tu che se’ costì, anima viva,

pàrtiti da cotesti che son morti».

Ma poi che vide ch’io non mi partiva,   [90]

disse: «Per altra via, per altri porti

verrai a piaggia, non qui, per passare:

più lieve legno convien che ti porti».   [93]

E ‘l duca lui: «Caron, non ti crucciare:

vuolsi così colà dove si puote

ciò che si vuole, e più non dimandare».   [96]

Quinci fuor quete le lanose gote

al nocchier de la livida palude,

che ‘ntorno a li occhi avea di fiamme rote.   [99]

Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude,

cangiar colore e dibattero i denti,

ratto che ‘nteser le parole crude.   [102]

Bestemmiavano Dio e lor parenti,

l’umana spezie e ‘l loco e ‘l tempo e ‘l seme

di lor semenza e di lor nascimenti.   [105]

Poi si ritrasser tutte quante insieme,

forte piangendo, a la riva malvagia

ch’attende ciascun uom che Dio non teme.   [108]

Caron dimonio, con occhi di bragia,

loro accennando, tutte le raccoglie;

batte col remo qualunque s’adagia.   [111]

Come d’autunno si levan le foglie

l’una appresso de l’altra, fin che ‘l ramo

vede a la terra tutte le sue spoglie,   [114]

similemente il mal seme d’Adamo

gittansi di quel lito ad una ad una,

per cenni come augel per suo richiamo.   [117]

Così sen vanno su per l’onda bruna,

e avanti che sien di là discese,

anche di qua nuova schiera s’auna.   [120]

«Figliuol mio», disse ‘l maestro cortese,

«quelli che muoion ne l’ira di Dio

tutti convegnon qui d’ogne paese:   [123]

e pronti sono a trapassar lo rio,

ché la divina giustizia li sprona,

sì che la tema si volve in disio.   [126]

Quinci non passa mai anima buona;

e però, se Caron di te si lagna,

ben puoi sapere omai che ‘l suo dir suona».   [129]

Finito questo, la buia campagna

tremò sì forte, che de lo spavento

la mente di sudore ancor mi bagna.   [132]

La terra lagrimosa diede vento,

che balenò una luce vermiglia

la qual mi vinse ciascun sentimento;   [135]

e caddi come l’uom cui sonno piglia