Inferno – Canto XXI / Ventunesimo Canto / Canto 21°
Temi e versi: 1-22 La bolgia dei barattieri • 22-57 Arrivo di un peccatore • 58-114 Colloquio tra Virgilio e Malacoda • 106-114 Datazione del viaggio dantesco • 115-139 La pattuglia dei diavoli
Inferno
CANTO XXI
Così di ponte in ponte, altro parlando
che la mia comedìa cantar non cura,
venimmo; e tenavamo il colmo, quando [3]
restammo per veder l’altra fessura
di Malebolge e li altri pianti vani;
e vidila mirabilmente oscura. [6]
Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani, [9]
ché navicar non ponno – in quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
le coste a quel che più viaggi fece; [12]
chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa –; [15]
tal, non per foco, ma per divin’arte,
bollia là giuso una pegola spessa,
che ‘nviscava la ripa d’ogne parte. [18]
I’ vedea lei, ma non vedea in essa
mai che le bolle che ‘l bollor levava,
e gonfiar tutta, e riseder compressa. [21]
Mentr’io là giù fisamente mirava,
lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,
mi trasse a sé del loco dov’io stava. [24]
Allor mi volsi come l’uom cui tarda
di veder quel che li convien fuggire
e cui paura sùbita sgagliarda, [27]
che, per veder, non indugia ‘l partire:
e vidi dietro a noi un diavol nero
correndo su per lo scoglio venire. [30]
Ahi quant’elli era ne l’aspetto fero!
e quanto mi parea ne l’atto acerbo,
con l’ali aperte e sovra i piè leggero! [33]
L’omero suo, ch’era aguto e superbo,
carcava un peccator con ambo l’anche,
e quei tenea de’ piè ghermito ‘l nerbo. [36]
Del nostro ponte disse: «O Malebranche,
ecco un de li anzian di Santa Zita!
Mettetel sotto, ch’i’ torno per anche [39]
a quella terra che n’è ben fornita:
ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo;
del no, per li denar vi si fa ita». [42]
Là giù ‘l buttò, e per lo scoglio duro
si volse; e mai non fu mastino sciolto
con tanta fretta a seguitar lo furo. [45]
Quel s’attuffò, e tornò sù convolto;
ma i demon che del ponte avean coperchio,
gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto: [48]
qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
Però, se tu non vuo’ di nostri graffi,
non far sopra la pegola soverchio». [51]
Poi l’addentar con più di cento raffi,
disser: «Coverto convien che qui balli,
sì che, se puoi, nascosamente accaffi». [54]
Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli
fanno attuffare in mezzo la caldaia
la carne con li uncin, perché non galli. [57]
Lo buon maestro «Acciò che non si paia
che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquatta
dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia; [60]
e per nulla offension che mi sia fatta,
non temer tu, ch’i’ ho le cose conte,
perch’altra volta fui a tal baratta». [63]
Poscia passò di là dal co del ponte;
e com’el giunse in su la ripa sesta,
mestier li fu d’aver sicura fronte. [66]
Con quel furore e con quella tempesta
ch’escono i cani a dosso al poverello
che di sùbito chiede ove s’arresta, [69]
usciron quei di sotto al ponticello,
e volser contra lui tutt’i runcigli;
ma el gridò: «Nessun di voi sia fello! [72]
Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,
traggasi avante l’un di voi che m’oda,
e poi d’arruncigliarmi si consigli». [75]
Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»;
per ch’un si mosse – e li altri stetter fermi –,
e venne a lui dicendo: «Che li approda?». [78]
«Credi tu, Malacoda, qui vedermi
esser venuto», disse ‘l mio maestro,
«sicuro già da tutti vostri schermi, [81]
sanza voler divino e fato destro?
Lascian’andar, ché nel cielo è voluto
ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro». [84]
Allor li fu l’orgoglio sì caduto,
ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi,
e disse a li altri: «Omai non sia feruto». [87]
E ‘l duca mio a me: «O tu che siedi
tra li scheggion del ponte quatto quatto,
sicuramente omai a me ti riedi». [90]
Per ch’io mi mossi, e a lui venni ratto;
e i diavoli si fecer tutti avanti,
sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto; [93]
così vid’io già temer li fanti
ch’uscivan patteggiati di Caprona,
veggendo sé tra nemici cotanti. [96]
I’ m’accostai con tutta la persona
lungo ‘l mio duca, e non torceva li occhi
da la sembianza lor ch’era non buona. [99]
Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ‘l tocchi»,
diceva l’un con l’altro, «in sul groppone?».
E rispondien: «Sì, fa che gliel’accocchi!». [102]
Ma quel demonio che tenea sermone
col duca mio, si volse tutto presto,
e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!». [105]
Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo
iscoglio non si può, però che giace
tutto spezzato al fondo l’arco sesto. [108]
E se l’andare avante pur vi piace,
andatevene su per questa grotta;
presso è un altro scoglio che via face. [111]
Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta,
mille dugento con sessanta sei
anni compié che qui la via fu rotta. [114]
Io mando verso là di questi miei
a riguardar s’alcun se ne sciorina;
gite con lor, che non saranno rei». [117]
«Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina»,
cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;
e Barbariccia guidi la decina. [120]
Libicocco vegn’oltre e Draghignazzo,
Ciriatto sannuto e Graffiacane
e Farfarello e Rubicante pazzo. [123]
Cercate ‘ntorno le boglienti pane;
costor sian salvi infino a l’altro scheggio
che tutto intero va sovra le tane». [126]
«Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?»,
diss’io, «deh, sanza scorta andianci soli,
se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio. [129]
Se tu se’ sì accorto come suoli,
non vedi tu ch’e’ digrignan li denti,
e con le ciglia ne minaccian duoli?». [132]
Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi;
lasciali digrignar pur a lor senno,
ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti». [135]
Per l’argine sinistro volta dienno;
ma prima avea ciascun la lingua stretta
coi denti, verso lor duca, per cenno; [138]
ed elli avea del cul fatto trombetta.