Inferno – Canto XVI / Sedicesimo Canto / Canto 16°
Temi e versi: 1-63 I tre fiorentini • 64-90 La corruzione di Firenze • 91-114 La corda di Dante • 115-136 Ascesa di Gerione
Inferno
CANTO XVI
Già era in loco onde s’udìa ‘l rimbombo
de l’acqua che cadea ne l’altro giro,
simile a quel che l’arnie fanno rombo, [3]
quando tre ombre insieme si partiro,
correndo, d’una torma che passava
sotto la pioggia de l’aspro martiro. [6]
Venian ver noi, e ciascuna gridava:
«Sòstati tu ch’a l’abito ne sembri
esser alcun di nostra terra prava». [9]
Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri
ricenti e vecchie, da le fiamme incese!
Ancor men duol pur ch’i’ me ne rimembri. [12]
A le lor grida il mio dottor s’attese;
volse ‘l viso ver me, e: «Or aspetta»,
disse «a costor si vuole esser cortese. [15]
E se non fosse il foco che saetta
la natura del loco, i’ dicerei
che meglio stesse a te che a lor la fretta». [18]
Ricominciar, come noi restammo, ei
l’antico verso; e quando a noi fuor giunti,
fenno una rota di sé tutti e trei. [21]
Qual sogliono i campion far nudi e unti,
avvisando lor presa e lor vantaggio,
prima che sien tra lor battuti e punti, [24]
così rotando, ciascuno il visaggio
drizzava a me, sì che ‘n contraro il collo
faceva ai piè continuo viaggio. [27]
E «Se miseria d’esto loco sollo
rende in dispetto noi e nostri prieghi»,
cominciò l’uno «e ‘l tinto aspetto e brollo, [30]
la fama nostra il tuo animo pieghi
a dirne chi tu se’, che i vivi piedi
così sicuro per lo ‘nferno freghi. [33]
Questi, l’orme di cui pestar mi vedi,
tutto che nudo e dipelato vada,
fu di grado maggior che tu non credi: [36]
nepote fu de la buona Gualdrada;
Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita
fece col senno assai e con la spada. [39]
L’altro, ch’appresso me la rena trita,
è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce
nel mondo sù dovrìa esser gradita. [42]
E io, che posto son con loro in croce,
Iacopo Rusticucci fui; e certo
la fiera moglie più ch’altro mi nuoce». [45]
S’i’ fossi stato dal foco coperto,
gittato mi sarei tra lor di sotto,
e credo che ‘l dottor l’avrìa sofferto; [48]
ma perch’io mi sarei brusciato e cotto,
vinse paura la mia buona voglia
che di loro abbracciar mi facea ghiotto. [51]
Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia
la vostra condizion dentro mi fisse,
tanta che tardi tutta si dispoglia, [54]
tosto che questo mio segnor mi disse
parole per le quali i’ mi pensai
che qual voi siete, tal gente venisse. [57]
Di vostra terra sono, e sempre mai
l’ovra di voi e li onorati nomi
con affezion ritrassi e ascoltai. [60]
Lascio lo fele e vo per dolci pomi
promessi a me per lo verace duca;
ma ‘nfino al centro pria convien ch’i’ tomi». [63]
«Se lungamente l’anima conduca
le membra tue», rispuose quelli ancora,
«e se la fama tua dopo te luca, [66]
cortesia e valor dì se dimora
ne la nostra città sì come suole,
o se del tutto se n’è gita fora; [69]
ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole
con noi per poco e va là coi compagni,
assai ne cruccia con le sue parole». [72]
«La gente nuova e i sùbiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni». [75]
Così gridai con la faccia levata;
e i tre, che ciò inteser per risposta,
guardar l’un l’altro com’al ver si guata. [78]
«Se l’altre volte sì poco ti costa»,
rispuoser tutti «il satisfare altrui,
felice te se sì parli a tua posta! [81]
Però, se campi d’esti luoghi bui
e torni a riveder le belle stelle,
quando ti gioverà dicere “I’ fui”, [84]
fa che di noi a la gente favelle».
Indi rupper la rota, e a fuggirsi
ali sembiar le gambe loro isnelle. [87]
Un amen non saria potuto dirsi
tosto così com’e’ fuoro spariti;
per ch’al maestro parve di partirsi. [90]
Io lo seguiva, e poco eravam iti,
che ‘l suon de l’acqua n’era sì vicino,
che per parlar saremmo a pena uditi. [93]
Come quel fiume c’ha proprio cammino
prima dal Monte Viso ‘nver’ levante,
da la sinistra costa d’Apennino, [96]
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante, [99]
rimbomba là sovra San Benedetto
de l’Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto; [102]
così, giù d’una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell’acqua tinta,
sì che ‘n poc’ora avria l’orecchia offesa. [105]
Io avea una corda intorno cinta,
e con essa pensai alcuna volta
prender la lonza a la pelle dipinta. [108]
Poscia ch’io l’ebbi tutta da me sciolta,
sì come ‘l duca m’avea comandato,
porsila a lui aggroppata e ravvolta. [111]
Ond’ei si volse inver’ lo destro lato,
e alquanto di lunge da la sponda
la gittò giuso in quell’alto burrato. [114]
‘E’ pur convien che novità risponda’
dicea fra me medesmo ‘al novo cenno
che ‘l maestro con l’occhio sì seconda’. [117]
Ahi quanto cauti li uomini esser dienno
presso a color che non veggion pur l’ovra,
ma per entro i pensier miran col senno! [120]
El disse a me: «Tosto verrà di sovra
ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna:
tosto convien ch’al tuo viso si scovra». [123]
Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna
de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote,
però che sanza colpa fa vergogna; [126]
ma qui tacer nol posso; e per le note
di questa comedìa, lettor, ti giuro,
s’elle non sien di lunga grazia vòte, [129]
ch’i’ vidi per quell’aere grosso e scuro
venir notando una figura in suso,
maravigliosa ad ogne cor sicuro, [132]
sì come torna colui che va giuso
talora a solver l’àncora ch’aggrappa
o scoglio o altro che nel mare è chiuso, [135]
che ‘n sù si stende, e da piè si rattrappa.