Inferno – Canto XI / Undicesimo Canto / Canto 11°
Temi e versi: 1-12 La tomba di Papa Anastasio • 16-90 Ordinamento e distribuzione dei dannati nell’inferno • 91-115 Considerazioni sull’usura
Inferno
CANTO XI
In su l’estremità d’un’alta ripa
che facevan gran pietre rotte in cerchio
venimmo sopra più crudele stipa; [3]
e quivi, per l’orribile soperchio
del puzzo che ‘l profondo abisso gitta,
ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio [6]
d’un grand’avello, ov’io vidi una scritta
che dicea: «Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin de la via dritta». [9]
«Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s’ausi un poco in prima il senso
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo». [12]
Così ‘l maestro; e io «Alcun compenso»,
dissi lui, «trova che ‘l tempo non passi
perduto». Ed elli: «Vedi ch’a ciò penso». [15]
«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
di grado in grado, come que’ che lassi. [18]
Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti. [21]
D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista,
ingiuria è ‘l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista. [24]
Ma perché frode è de l’uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale. [27]
Di violenti il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone,
in tre gironi è distinto e costrutto. [30]
A Dio, a sé, al prossimo si pòne
far forza, dico in loro e in lor cose,
come udirai con aperta ragione. [33]
Morte per forza e ferute dogliose
nel prossimo si danno, e nel suo avere
ruine, incendi e tollette dannose; [36]
onde omicide e ciascun che mal fiere,
guastatori e predon, tutti tormenta
lo giron primo per diverse schiere. [39]
Puote omo avere in sé man violenta
e ne’ suoi beni; e però nel secondo
giron convien che sanza pro si penta [42]
qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
e piange là dov’esser de’ giocondo. [45]
Puossi far forza nella deitade,
col cor negando e bestemmiando quella,
e spregiando natura e sua bontade; [48]
e però lo minor giron suggella
del segno suo e Soddoma e Caorsa
e chi, spregiando Dio col cor, favella. [51]
La frode, ond’ogne coscienza è morsa,
può l’omo usare in colui che ‘n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa. [54]
Questo modo di retro par ch’incida
pur lo vinco d’amor che fa natura;
onde nel cerchio secondo s’annida [57]
ipocresia, lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura. [60]
Per l’altro modo quell’amor s’oblia
che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
di che la fede spezial si cria; [63]
onde nel cerchio minore, ov’è ‘l punto
de l’universo in su che Dite siede,
qualunque trade in etterno è consunto». [66]
E io: «Maestro, assai chiara procede
la tua ragione, e assai ben distingue
questo baràtro e ‘l popol ch’e’ possiede. [69]
Ma dimmi: quei de la palude pingue,
che mena il vento, e che batte la pioggia,
e che s’incontran con sì aspre lingue, [72]
perché non dentro da la città roggia
sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
e se non li ha, perché sono a tal foggia?». [75]
Ed elli a me «Perché tanto delira»,
disse «lo ‘ngegno tuo da quel che sòle?
o ver la mente dove altrove mira? [78]
Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che ‘l ciel non vole, [81]
incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta? [84]
Se tu riguardi ben questa sentenza,
e rechiti a la mente chi son quelli
che sù di fuor sostegnon penitenza, [87]
tu vedrai ben perché da questi felli
sien dipartiti, e perché men crucciata
la divina vendetta li martelli». [90]
«O sol che sani ogni vista turbata,
tu mi contenti sì quando tu solvi,
che, non men che saver, dubbiar m’aggrata. [93]
Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,
diss’io, «là dove di’ ch’usura offende
la divina bontade, e ‘l groppo solvi». [96]
«Filosofia», mi disse, «a chi la ‘ntende,
nota, non pure in una sola parte,
come natura lo suo corso prende [99]
dal divino ‘ntelletto e da sua arte;
e se tu ben la tua Fisica note,
tu troverai, non dopo molte carte, [102]
che l’arte vostra quella, quanto pote,
segue, come ‘l maestro fa ‘l discente;
sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote. [105]
Da queste due, se tu ti rechi a mente
lo Genesì dal principio, convene
prender sua vita e avanzar la gente; [108]
e perché l’usuriere altra via tene,
per sé natura e per la sua seguace
dispregia, poi ch’in altro pon la spene. [111]
Ma seguimi oramai, che ‘l gir mi piace;
ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
e ‘l Carro tutto sovra ‘l Coro giace, [114]
e ‘l balzo via là oltra si dismonta».