Inferno – Canto IV / Quarto Canto / Canto 4°
Temi e versi: 1-63 Il Limbo • 64-105I grandi poeti antichi • 106-151 Il castello degli spiriti magni
Inferno
CANTO IV
Ruppemi l’alto sonno ne la testa
un greve truono, sì ch’io mi riscossi
come persona ch’è per forza desta; [3]
e l’occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov’io fossi. [6]
Vero è che ‘n su la proda mi trovai
de la valle d’abisso dolorosa
che ‘ntrono accoglie d’infiniti guai. [9]
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa. [12]
«Or discendiam qua giù nel cieco mondo»,
cominciò il poeta tutto smorto.
«Io sarò primo, e tu sarai secondo». [15]
E io, che del color mi fui accorto,
dissi: «Come verrò, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto?». [18]
Ed elli a me: «L’angoscia de le genti
che son qua giù, nel viso mi dipigne
quella pietà che tu per tema senti. [21]
Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
Così si mise e così mi fé intrare
nel primo cerchio che l’abisso cigne. [24]
Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri,
che l’aura etterna facevan tremare; [27]
ciò avvenia di duol sanza martìri
ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,
d’infanti e di femmine e di viri. [30]
Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, [33]
ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
ch’è porta de la fede che tu credi; [36]
e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo. [39]
Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi,
che sanza speme vivemo in disio». [42]
Gran duol mi prese al cor quando lo ‘ntesi,
però che gente di molto valore
conobbi che ‘n quel limbo eran sospesi. [45]
«Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
comincia’ io per voler esser certo
di quella fede che vince ogne errore: [48]
«uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?».
E quei che ‘ntese il mio parlar coverto, [51]
rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato. [54]
Trasseci l’ombra del primo parente,
d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moisè legista e ubidente; [57]
Abraàm patriarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co’ suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fé; [60]
e altri molti, e feceli beati.
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
spiriti umani non eran salvati». [63]
Non lasciavam l’andar perch’ei dicessi,
ma passavam la selva tuttavia,
la selva, dico, di spiriti spessi. [66]
Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno, quand’io vidi un foco
ch’emisperio di tenebre vincia. [69]
Di lungi n’eravamo ancora un poco,
ma non sì ch’io non discernessi in parte
ch’orrevol gente possedea quel loco. [72]
«O tu ch’onori scienzia e arte,
questi chi son c’hanno cotanta onranza,
che dal modo de li altri li diparte?». [75]
E quelli a me: «L’onrata nominanza
che di lor suona sù ne la tua vita,
grazia acquista in ciel che sì li avanza». [78]
Intanto voce fu per me udita:
«Onorate l’altissimo poeta:
l’ombra sua torna, ch’era dipartita». [81]
Poi che la voce fu restata e queta,
vidi quattro grand’ombre a noi venire:
sembianz’avevan né trista né lieta. [84]
Lo buon maestro cominciò a dire:
«Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire: [87]
quelli è Omero poeta sovrano;
l’altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio è ‘l terzo, e l’ultimo Lucano. [90]
Però che ciascun meco si convene
nel nome che sonò la voce sola,
fannomi onore, e di ciò fanno bene». [93]
Così vid’i’ adunar la bella scola
di quel segnor de l’altissimo canto
che sovra li altri com’aquila vola. [96]
Da ch’ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a me con salutevol cenno,
e ‘l mio maestro sorrise di tanto; [99]
e più d’onore ancora assai mi fenno,
ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera,
sì ch’io fui sesto tra cotanto senno. [102]
Così andammo infino a la lumera,
parlando cose che ‘l tacere è bello,
sì com’era ‘l parlar colà dov’era. [105]
Venimmo al piè d’un nobile castello,
sette volte cerchiato d’alte mura,
difeso intorno d’un bel fiumicello. [108]
Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi:
giugnemmo in prato di fresca verdura. [111]
Genti v’eran con occhi tardi e gravi,
di grande autorità ne’ lor sembianti:
parlavan rado, con voci soavi. [114]
Traemmoci così da l’un de’ canti,
in loco aperto, luminoso e alto,
sì che veder si potien tutti quanti. [117]
Colà diritto, sovra ‘l verde smalto,
mi fuor mostrati li spiriti magni,
che del vedere in me stesso m’essalto. [120]
I’ vidi Eletra con molti compagni,
tra ‘ quai conobbi Ettòr ed Enea,
Cesare armato con li occhi grifagni. [123]
Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l’altra parte, vidi ‘l re Latino
che con Lavina sua figlia sedea. [126]
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;
e solo, in parte, vidi ‘l Saladino. [129]
Poi ch’innalzai un poco più le ciglia,
vidi ‘l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia. [132]
Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
quivi vid’io Socrate e Platone,
che ‘nnanzi a li altri più presso li stanno; [135]
Democrito, che ‘l mondo a caso pone,
Diogenés, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone; [138]
e vidi il buono accoglitor del quale,
Diascoride dico; e vidi Orfeo,
Tulio e Lino e Seneca morale; [141]
Euclide geomètra e Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e Galieno,
Averoìs, che ‘l gran comento feo. [144]
Io non posso ritrar di tutti a pieno,
però che sì mi caccia il lungo tema,
che molte volte al fatto il dir vien meno. [147]
La sesta compagnia in due si scema:
per altra via mi mena il savio duca,
fuor de la queta, ne l’aura che trema. [150]
E vegno in parte ove non è che luca.