Paradiso – Canto XXIX / Ventinovesimo Canto / Canto 29°
Temi e canti: 1-135 La creazione delle intelligenze separate • 136-145 La grandezza di Dio rispecchiata nelle intelligenze create
Paradiso
CANTO XXIX
Quando ambedue li figli di Latona,
coperti del Montone e de la Libra,
fanno de l’orizzonte insieme zona, [3]
quant’è dal punto che ‘l cenìt inlibra
infin che l’uno e l’altro da quel cinto,
cambiando l’emisperio, si dilibra, [6]
tanto, col volto di riso dipinto,
si tacque Beatrice, riguardando
fiso nel punto che m’avea vinto. [9]
Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,
quel che tu vuoli udir, perch’io l’ho visto
là ‘ve s’appunta ogne ubi e ogne quando.12
Non per aver a sé di bene acquisto,
ch’esser non può, ma perché suo splendore
potesse, risplendendo, dir “Subsisto”, [15]
in sua etternità di tempo fore,
fuor d’ogne altro comprender, come i piacque,
s’aperse in nuovi amor l’etterno amore. [18]
Né prima quasi torpente si giacque;
ché né prima né poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest’acque. [21]
Forma e materia, congiunte e purette,
usciro ad esser che non avia fallo,
come d’arco tricordo tre saette. [24]
E come in vetro, in ambra o in cristallo
raggio resplende sì, che dal venire
a l’esser tutto non è intervallo, [27]
così ‘l triforme effetto del suo sire
ne l’esser suo raggiò insieme tutto
sanza distinzione in essordire. [30]
Concreato fu ordine e costrutto
a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto; [33]
pura potenza tenne la parte ima;
nel mezzo strinse potenza con atto
tal vime, che già mai non si divima. [36]
Ieronimo vi scrisse lungo tratto
di secoli de li angeli creati
anzi che l’altro mondo fosse fatto; [39]
ma questo vero è scritto in molti lati
da li scrittor de lo Spirito Santo,
e tu te n’avvedrai se bene agguati; [42]
e anche la ragione il vede alquanto,
che non concederebbe che ‘ motori
sanza sua perfezion fosser cotanto. [45]
Or sai tu dove e quando questi amori
furon creati e come: sì che spenti
nel tuo disio già son tre ardori. [48]
Né giugneriesi, numerando, al venti
sì tosto, come de li angeli parte
turbò il suggetto d’i vostri alementi. [51]
L’altra rimase, e cominciò quest’arte
che tu discerni, con tanto diletto,
che mai da circuir non si diparte. [54]
Principio del cader fu il maladetto
superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto. [57]
Quelli che vedi qui furon modesti
a riconoscer sé da la bontate
che li avea fatti a tanto intender presti: [60]
per che le viste lor furo essaltate
con grazia illuminante e con lor merto,
si c’hanno ferma e piena volontate; [63]
e non voglio che dubbi, ma sia certo,
che ricever la grazia è meritorio
secondo che l’affetto l’è aperto. [66]
Omai dintorno a questo consistorio
puoi contemplare assai, se le parole
mie son ricolte, sanz’altro aiutorio. [69]
Ma perché ‘n terra per le vostre scole
si legge che l’angelica natura
è tal, che ‘ntende e si ricorda e vole, [72]
ancor dirò, perché tu veggi pura
la verità che là giù si confonde,
equivocando in sì fatta lettura. [75]
Queste sustanze, poi che fur gioconde
de la faccia di Dio, non volser viso
da essa, da cui nulla si nasconde: [78]
però non hanno vedere interciso
da novo obietto, e però non bisogna
rememorar per concetto diviso; [81]
sì che là giù, non dormendo, si sogna,
credendo e non credendo dicer vero;
ma ne l’uno è più colpa e più vergogna. [84]
Voi non andate giù per un sentiero
filosofando: tanto vi trasporta
l’amor de l’apparenza e ‘l suo pensiero! [87]
E ancor questo qua sù si comporta
con men disdegno che quando è posposta
la divina Scrittura o quando è torta. [90]
Non vi si pensa quanto sangue costa
seminarla nel mondo e quanto piace
chi umilmente con essa s’accosta. [93]
Per apparer ciascun s’ingegna e face
sue invenzioni; e quelle son trascorse
da’ predicanti e ‘l Vangelio si tace. [96]
Un dice che la luna si ritorse
ne la passion di Cristo e s’interpuose,
per che ‘l lume del sol giù non si porse; [99]
e mente, ché la luce si nascose
da sé: però a li Spani e a l’Indi
come a’ Giudei tale eclissi rispuose. [102]
Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
quante sì fatte favole per anno
in pergamo si gridan quinci e quindi; [105]
sì che le pecorelle, che non sanno,
tornan del pasco pasciute di vento,
e non le scusa non veder lo danno. [108]
Non disse Cristo al suo primo convento:
‘Andate, e predicate al mondo ciance’;
ma diede lor verace fondamento; [111]
e quel tanto sonò ne le sue guance,
sì ch’a pugnar per accender la fede
de l’Evangelio fero scudo e lance. [114]
Ora si va con motti e con iscede
a predicare, e pur che ben si rida,
gonfia il cappuccio e più non si richiede. [117]
Ma tale uccel nel becchetto s’annida,
che se ‘l vulgo il vedesse, vederebbe
la perdonanza di ch’el si confida; [120]
per cui tanta stoltezza in terra crebbe,
che, sanza prova d’alcun testimonio,
ad ogne promession si correrebbe. [123]
Di questo ingrassa il porco sant’Antonio,
e altri assai che sono ancor più porci,
pagando di moneta sanza conio. [126]
Ma perché siam digressi assai, ritorci
li occhi oramai verso la dritta strada,
sì che la via col tempo si raccorci. [129]
Questa natura sì oltre s’ingrada
in numero, che mai non fu loquela
né concetto mortal che tanto vada; [132]
e se tu guardi quel che si revela
per Daniel, vedrai che ‘n sue migliaia
determinato numero si cela. [135]
La prima luce, che tutta la raia,
per tanti modi in essa si recepe,
quanti son li splendori a chi s’appaia. [138]
Onde, però che a l’atto che concepe
segue l’affetto, d’amar la dolcezza
diversamente in essa ferve e tepe. [141]
Vedi l’eccelso omai e la larghezza
de l’etterno valor, poscia che tanti
speculi fatti s’ha in che si spezza, [144]
uno manendo in sé come davanti».