Inferno – Canto II / Secondo Canto / Canto 2°
Temi e versi: 1-42 Perplessità e timori di Dante • 43-126 Conforto di Virgilio e soccorso delle tre donne • 127-142 Ritrovata sicurezza di Dante
Inferno
CANTO II
Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno [3]
m’apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra. [6]
O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate. [9]
Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s’ell’è possente,
prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. [12]
Tu dici che di Silvio il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente. [15]
Però, se l’avversario d’ogne male
cortese i fu, pensando l’alto effetto
ch’uscir dovea di lui e ‘l chi e ‘l quale, [18]
non pare indegno ad omo d’intelletto;
ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
ne l’empireo ciel per padre eletto: [21]
la quale e ‘l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u’ siede il successor del maggior Piero. [24]
Per quest’andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto. [27]
Andovvi poi lo Vas d’elezione,
per recarne conforto a quella fede
ch’è principio a la via di salvazione. [30]
Ma io perché venirvi? o chi ‘l concede?
Io non Enea, io non Paulo sono:
me degno a ciò né io né altri ‘l crede. [33]
Per che, se del venire io m’abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono». [36]
E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle, [39]
tal mi fec’io ‘n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la ‘mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta. [42]
«S’i’ ho ben la parola tua intesa»,
rispuose del magnanimo quell’ombra;
«l’anima tua è da viltade offesa; [45]
la qual molte fiate l’omo ingombra
sì che d’onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand’ombra. [48]
Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch’io venni e quel ch’io ‘ntesi
nel primo punto che di te mi dolve. [51]
Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi. [54]
Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella: [57]
“O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto ‘l mondo lontana, [60]
l’amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che volt’è per paura; [63]
e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito. [66]
Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c’ha mestieri al suo campare
l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata. [69]
I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare. [72]
Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui”.
Tacette allora, e poi comincia’ io: [75]
“O donna di virtù, sola per cui
l’umana spezie eccede ogne contento
di quel ciel c’ha minor li cerchi sui, [78]
tanto m’aggrada il tuo comandamento,
che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;
più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento. [81]
Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro
de l’ampio loco ove tornar tu ardi”. [84]
“Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente”, mi rispuose,
“perch’io non temo di venir qua entro. [87]
Temer si dee di sole quelle cose
c’hanno potenza di fare altrui male;
de l’altre no, ché non son paurose. [90]
I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d’esto incendio non m’assale. [93]
Donna è gentil nel ciel che si compiange
di questo ‘mpedimento ov’io ti mando,
sì che duro giudicio là sù frange. [96]
Questa chiese Lucia in suo dimando
e disse: – Or ha bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo raccomando –. [99]
Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov’i’ era,
che mi sedea con l’antica Rachele. [102]
Disse: – Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t’amò tanto,
ch’uscì per te de la volgare schiera? [105]
non odi tu la pieta del suo pianto?
non vedi tu la morte che ‘l combatte
su la fiumana ove ‘l mar non ha vanto? – [108]
Al mondo non fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
com’io, dopo cotai parole fatte, [111]
venni qua giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
ch’onora te e quei ch’udito l’hanno”. [114]
Poscia che m’ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse;
per che mi fece del venir più presto; [117]
e venni a te così com’ella volse;
d’inanzi a quella fiera ti levai
che del bel monte il corto andar ti tolse. [120]
Dunque: che è? perché, perché restai?
perché tanta viltà nel core allette?
perché ardire e franchezza non hai? [123]
poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
e ‘l mio parlar tanto ben ti promette?». [126]
Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che ‘l sol li ‘mbianca
si drizzan tutti aperti in loro stelo, [129]
tal mi fec’io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
ch’i’ cominciai come persona franca: [132]
«Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch’ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse! [135]
Tu m’hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
ch’i’ son tornato nel primo proposto. [138]
Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:
tu duca, tu segnore, e tu maestro».
Così li dissi; e poi che mosso fue, [141]
intrai per lo cammino alto e silvestro.