Paradiso – Canto XV

Paradiso – Canto XV / Quindicesimo Canto / Canto 15°

Temi e canti: 1-12 Silenzio dei beati • 13-69 Cacciaguida • 70-87 Ringraziamento e preghiera di Dante • 88-148 Elogio della Firenze antica

Paradiso

CANTO XV

Benigna volontade in che si liqua

sempre l’amor che drittamente spira,

come cupidità fa ne la iniqua,   [3]

silenzio puose a quella dolce lira,

e fece quietar le sante corde

che la destra del cielo allenta e tira.   [6]

Come saranno a’ giusti preghi sorde

quelle sustanze che, per darmi voglia

ch’io le pregassi, a tacer fur concorde?   [9]

Bene è che sanza termine si doglia

chi, per amor di cosa che non duri,

etternalmente quello amor si spoglia.   [12]

Quale per li seren tranquilli e puri

discorre ad ora ad or sùbito foco,

movendo li occhi che stavan sicuri,   [15]

e pare stella che tramuti loco,

se non che da la parte ond’e’ s’accende

nulla sen perde, ed esso dura poco:   [18]

tale dal corno che ‘n destro si stende

a piè di quella croce corse un astro

de la costellazion che lì resplende;   [21]

né si partì la gemma dal suo nastro,

ma per la lista radial trascorse,

che parve foco dietro ad alabastro.   [24]

Sì pia l’ombra d’Anchise si porse,

se fede merta nostra maggior musa,

quando in Eliso del figlio s’accorse.   [27]

«O sanguis meus, o superinfusa

gratia Dei, sicut tibi cui

bis unquam celi ianua reclusa?».   [30]

Così quel lume: ond’io m’attesi a lui;

poscia rivolsi a la mia donna il viso,

e quinci e quindi stupefatto fui;   [33]

ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso

tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo

de la mia gloria e del mio paradiso.   [36]

Indi, a udire e a veder giocondo,

giunse lo spirto al suo principio cose,

ch’io non lo ‘ntesi, sì parlò profondo;   [39]

né per elezion mi si nascose,

ma per necessità, ché ‘l suo concetto

al segno d’i mortal si soprapuose.   [42]

E quando l’arco de l’ardente affetto

fu sì sfogato, che ‘l parlar discese

inver’ lo segno del nostro intelletto,   [45]

la prima cosa che per me s’intese,

«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,

che nel mio seme se’ tanto cortese!».   [48]

E seguì: «Grato e lontano digiuno,

tratto leggendo del magno volume

du’ non si muta mai bianco né bruno,   [51]

solvuto hai, figlio, dentro a questo lume

in ch’io ti parlo, mercè di colei

ch’a l’alto volo ti vestì le piume.   [54]

Tu credi che a me tuo pensier mei

da quel ch’è primo, così come raia

da l’un, se si conosce, il cinque e ‘l sei;   [57]

e però ch’io mi sia e perch’io paia

più gaudioso a te, non mi domandi,

che alcun altro in questa turba gaia.   [60]

Tu credi ‘l vero; ché i minori e ‘ grandi

di questa vita miran ne lo speglio

in che, prima che pensi, il pensier pandi;   [63]

ma perché ‘l sacro amore in che io veglio

con perpetua vista e che m’asseta

di dolce disiar, s’adempia meglio,   [66]

la voce tua sicura, balda e lieta

suoni la volontà, suoni ‘l disio,

a che la mia risposta è già decreta!».   [69]

Io mi volsi a Beatrice, e quella udio

pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno

che fece crescer l’ali al voler mio.   [72]

Poi cominciai così: «L’affetto e ‘l senno,

come la prima equalità v’apparse,

d’un peso per ciascun di voi si fenno,   [75]

però che ‘l sol che v’allumò e arse,

col caldo e con la luce è sì iguali,

che tutte simiglianze sono scarse.   [78]

Ma voglia e argomento ne’ mortali,

per la cagion ch’a voi è manifesta,

diversamente son pennuti in ali;   [81]

ond’io, che son mortal, mi sento in questa

disagguaglianza, e però non ringrazio

se non col core a la paterna festa.   [84]

Ben supplico io a te, vivo topazio

che questa gioia preziosa ingemmi,

perché mi facci del tuo nome sazio».   [87]

«O fronda mia in che io compiacemmi

pur aspettando, io fui la tua radice»:

cotal principio, rispondendo, femmi.   [90]

Poscia mi disse: «Quel da cui si dice

tua cognazione e che cent’anni e piùe

girato ha ‘l monte in la prima cornice,   [93]

mio figlio fu e tuo bisavol fue:

ben si convien che la lunga fatica

tu li raccorci con l’opere tue.   [96]

Fiorenza dentro da la cerchia antica,

ond’ella toglie ancora e terza e nona,

si stava in pace, sobria e pudica.   [99]

Non avea catenella, non corona,

non gonne contigiate, non cintura

che fosse a veder più che la persona.   [102]

Non faceva, nascendo, ancor paura

la figlia al padre, che ‘l tempo e la dote

non fuggien quinci e quindi la misura.   [105]

Non avea case di famiglia vòte;

non v’era giunto ancor Sardanapalo

a mostrar ciò che ‘n camera si puote.   [108]

Non era vinto ancora Montemalo

dal vostro Uccellatoio, che, com’è vinto

nel montar sù, così sarà nel calo.   [111]

Bellincion Berti vid’io andar cinto

di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio

la donna sua sanza ‘l viso dipinto;   [114]

e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio

esser contenti a la pelle scoperta,

e le sue donne al fuso e al pennecchio.   [117]

Oh fortunate! ciascuna era certa

de la sua sepultura, e ancor nulla

era per Francia nel letto diserta.   [120]

L’una vegghiava a studio de la culla,

e, consolando, usava l’idioma

che prima i padri e le madri trastulla;   [123]

l’altra, traendo a la rocca la chioma,

favoleggiava con la sua famiglia

d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.   [126]

Saria tenuta allor tal maraviglia

una Cianghella, un Lapo Salterello,

qual or saria Cincinnato e Corniglia.   [129]

A così riposato, a così bello

viver di cittadini, a così fida

cittadinanza, a così dolce ostello,   [132]

Maria mi diè, chiamata in alte grida;

e ne l’antico vostro Batisteo

insieme fui cristiano e Cacciaguida.   [135]

Moronto fu mio frate ed Eliseo;

mia donna venne a me di val di Pado,

e quindi il sopranome tuo si feo.   [138]

Poi seguitai lo ‘mperador Currado;

ed el mi cinse de la sua milizia,

tanto per bene ovrar li venni in grado.   [141]

Dietro li andai incontro a la nequizia

di quella legge il cui popolo usurpa,

per colpa d’i pastor, vostra giustizia.   [144]

Quivi fu’ io da quella gente turpa

disviluppato dal mondo fallace,

lo cui amor molt’anime deturpa;   [147]

e venni dal martiro a questa pace».