Purgatorio – Canto XIX / Diciannovesimo Canto / Canto 19°
Temi e canti: 1-33 Sogno di Dante: la femmina balba • 34-51 L’angelo della sollecitudine • 52-69 Spiegazione del sogno • 70-87 Gli avari • 88-145 Adriano V
Purgatorio
CANTO XIX
Ne l’ora che non può ‘l calor diurno
intepidar più ‘l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno [3]
– quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in orïente, innanzi a l’alba,
surger per via che poco le sta bruna –, [6]
mi venne in sogno una femmina balba,
ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
con le man monche, e di colore scialba. [9]
Io la mirava; e come ‘l sol conforta
le fredde membra che la notte aggrava,
così lo sguardo mio le facea scorta [12]
la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco d’ora, e lo smarrito volto,
com’ amor vuol, così le colorava. [15]
Poi ch’ell’ avea ‘l parlar così disciolto,
cominciava a cantar sì, che con pena
da lei avrei mio intento rivolto. [18]
«Io son», cantava, «io son dolce serena,
che’ marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena! [21]
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco s’ausa,
rado sen parte; sì tutto l’appago!». [24]
Ancor non era sua bocca richiusa,
quand’ una donna apparve santa e presta
lunghesso me per far colei confusa. [27]
«O Virgilio, Virgilio, chi è questa?»,
fieramente dicea; ed el venìa
con li occhi fitti pur in quella onesta. [30]
L’altra prendea, e dinanzi l’apria
fendendo i drappi, e mostravami ‘l ventre;
quel mi svegliò col puzzo che n’uscia. [33]
Io mossi li occhi, e ‘l buon maestro: «Almen tre
voci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni;
troviam l’aperta per la qual tu entre». [36]
Sù mi levai, e tutti eran già pieni
de l’alto dì i giron del sacro monte,
e andavam col sol novo a le reni. [39]
Seguendo lui, portava la mia fronte
come colui che l’ha di pensier carca,
che fa di sé un mezzo arco di ponte; [41]
quand’ io udi’ «Venite; qui si varca»
parlare in modo soave e benigno,
qual non si sente in questa mortal marca. [44]
Con l’ali aperte, che parean di cigno,
volseci in sù colui che sì parlonne
tra due pareti del duro macigno. [47]
Mosse le penne poi e ventilonne,
‘Qui lugent’ affermando esser beati,
ch’avran di consolar l’anime donne. [50]
«Che hai che pur inver’ la terra guati?»,
la guida mia incominciò a dirmi,
poco amendue da l’angel sormontati. [53]
E io: «Con tanta sospeccion fa irmi
novella visïon ch’a sé mi piega,
sì ch’io non posso dal pensar partirmi». [56]
«Vedesti», disse, «quell’antica strega
che sola sovr’ a noi omai si piagne;
vedesti come l’uom da lei si slega. [59]
Bastiti, e batti a terra le calcagne;
li occhi rivolgi al logoro che gira
lo rege etterno con le rote magne». [62]
Quale ‘l falcon, che prima a’ pié si mira,
indi si volge al grido e si protende
per lo disio del pasto che là il tira, [65]
tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
n’andai infin dove ‘l cerchiar si prende. [68]
Com’io nel quinto giro fui dischiuso,
vidi gente per esso che piangea,
giacendo a terra tutta volta in giuso. [72]
‘Adhaesit pavimento anima mea’
sentia dir lor con sì alti sospiri,
che la parola a pena s’intendea. [75]
«O eletti di Dio, li cui soffriri
e giustizia e speranza fa men duri,
drizzate noi verso li alti saliri». [78]
«Se voi venite dal giacer sicuri,
e volete trovar la via più tosto,
le vostre destre sien sempre di fori». [81]
Così pregò ‘l poeta, e sì risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io
nel parlare avvisai l’altro nascosto, [84]
e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
ond’ elli m’assentì con lieto cenno
ciò che chiedea la vista del disio. [87]
Poi ch’io potei di me fare a mio senno,
trassimi sovra quella creatura
le cui parole pria notar mi fenno, [90]
dicendo: «Spirto in cui pianger matura
quel sanza ‘l quale a Dio tornar non pòssi,
sosta un poco per me tua maggior cura. [93]
Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri
cosa di là ond’ io vivendo mossi». [96]
Ed elli a me: «Perché i nostri diretri
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
scias quod ego fui successor Petri. [99]
Intra Sïestri e Chiaveri s’adima
una fiumana bella, e del suo nome
lo titol del mio sangue fa sua cima. [102]
Un mese è poco più prova’ io come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
che piuma sembran tutte l’altre some. [105]
La mia conversïone, omè!, fu tarda;
ma, come fatto fui roman pastore,
così scopersi la vita bugiarda. [108]
Vidi che lì non s’acquetava il core,
né più salir potiesi in quella vita;
er che di questa in me s’accese amore. [111]
Fino a quel punto misera e partita
da Dio anima fui, del tutto avara;
or, come vedi, qui ne son punita. [114]
Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara
in purgazion de l’anime converse;
e nulla pena il monte ha più amara. [117]
Sì come l’occhio nostro non s’aderse
in alto, fisso a le cose terrene,
così giustizia qui a terra il merse. [120]
Come avarizia spense a ciascun bene
lo nostro amore, onde operar perdési,
così giustizia qui stretti ne tene, [123]
ne’ piedi e ne le man legati e presi;
e quanto fia piacer del giusto Sire,
tanto staremo immobili e distesi». [126]
Io m’era inginocchiato e volea dire;
ma com’ io cominciai ed el s’accorse,
solo ascoltando, del mio reverire, [129]
«Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?».
E io a lui: «Per vostra dignitate
mia coscïenza dritto mi rimorse». [132]
«Drizza le gambe, lèvati sù, frate!»,
rispuose; «non errar: conservo sono
teco e con li altri ad una podestate. [135]
Se mai quel santo evangelico suono
che dice ‘Neque nubent’ intendesti,
ben puoi veder perch’io così ragiono. [138]
Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;
ché la tua stanza mio pianger disagia,
col qual maturo ciò che tu dicesti. [141]
Nepote ho io di là c’ha nome Alagia,
buona da sé, pur che la nostra casa
non faccia lei per essempro malvagia; [144]
e questa sola di là m’è rimasa».