Purgatorio – Canto XVI / Sedicesimo Canto / Canto 16°
Temi e canti: 1-24 Il girone degli iracondi • 25-51 Marco Lombardo • 52-81 Il libero arbitrio • 82-114 Causa della corruzione umana • 115-145 Chiarimento di Gherardo da Camino
Purgatorio
CANTO XVI
Buio d’inferno e di notte privata
d’ogne pianeto, sotto pover cielo,
quant’esser può di nuvol tenebrata, [3]
non fece al viso mio sì grosso velo
come quel fummo ch’ivi ci coperse,
né a sentir di così aspro pelo, [6]
che l’occhio stare aperto non sofferse;
onde la scorta mia saputa e fida
mi s’accostò e l’omero m’offerse. [9]
Sì come cieco va dietro a sua guida
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
in cosa che ‘l molesti, o forse ancida, [12]
m’andava io per l’aere amaro e sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva
pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo». [15]
Io sentia voci, e ciascuna pareva
pregar per pace e per misericordia
l’Agnel di Dio che le peccata leva. [18]
Pur ‘Agnus Dei’ eran le loro essordia;
una parola in tutte era e un modo,
sì che parea tra esse ogne concordia. [21]
«Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?»,
diss’io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi,
e d’iracundia van solvendo il nodo». [24]
«Or tu chi se’ che ‘l nostro fummo fendi,
e di noi parli pur come se tue
partissi ancor lo tempo per calendi?». [27]
Così per una voce detto fue;
onde ‘l maestro mio disse: «Rispondi,
e domanda se quinci si va sùe». [30]
E io: «O creatura che ti mondi
per tornar bella a colui che ti fece,
maraviglia udirai, se mi secondi». [33]
«Io ti seguiterò quanto mi lece»,
rispuose; «e se veder fummo non lascia,
l’udir ci terrà giunti in quella vece». [36]
Allora incominciai: «Con quella fascia
che la morte dissolve men vo suso,
e venni qui per l’infernale ambascia. [39]
E se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso,
tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte
per modo tutto fuor del moderno uso, [42]
non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco;
e tue parole fier le nostre scorte». [45]
«Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco;
del mondo seppi, e quel valore amai
al quale ha or ciascun disteso l’arco. [48]
Per montar sù dirittamente vai».
Così rispuose, e soggiunse: «I’ ti prego
che per me prieghi quando sù sarai». [51]
E io a lui: «Per fede mi ti lego
di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego. [54]
Prima era scempio, e ora è fatto doppio
ne la sentenza tua, che mi fa certo
qui, e altrove, quello ov’io l’accoppio. [57]
Lo mondo è ben così tutto diserto
d’ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto; [60]
ma priego che m’addite la cagione,
sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone». [63]
Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,
mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,
lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui. [66]
Voi che vivete ogne cagion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate. [69]
Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto. [72]
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto ch’i’ ‘l dica,
lume v’è dato a bene e a malizia, [75]
e libero voler; che, se fatica
ne le prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica. [78]
A maggior forza e a miglior natura
liberi soggiacete; e quella cria
la mente in voi, che ‘l ciel non ha in sua cura. [81]
Però, se ‘l mondo presente disvia,
in voi è la cagione, in voi si cheggia;
e io te ne sarò or vera spia. [84]
Esce di mano a lui che la vagheggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
che piangendo e ridendo pargoleggia, [87]
l’anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a ciò che la trastulla. [90]
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore. [93]
Onde convenne legge per fren porre;
convenne rege aver che discernesse
de la vera cittade almen la torre. [96]
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo, però che ‘l pastor che procede,
rugumar può, ma non ha l’unghie fesse; [99]
per che la gente, che sua guida vede
pur a quel ben fedire ond’ella è ghiotta,
di quel si pasce, e più oltre non chiede. [102]
Ben puoi veder che la mala condotta
è la cagion che ‘l mondo ha fatto reo,
e non natura che ‘n voi sia corrotta. [105]
Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo,
due soli aver, che l’una e l’altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo. [108]
L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l’un con l’altro insieme
per viva forza mal convien che vada; [111]
però che, giunti, l’un l’altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch’ogn’erba si conosce per lo seme. [114]
In sul paese ch’Adice e Po riga,
solea valore e cortesia trovarsi,
prima che Federigo avesse briga; [117]
or può sicuramente indi passarsi
per qualunque lasciasse, per vergogna
di ragionar coi buoni o d’appressarsi. [120]
Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna
l’antica età la nova, e par lor tardo
che Dio a miglior vita li ripogna: [123]
Currado da Palazzo e ‘l buon Gherardo
e Guido da Castel, che mei si noma
francescamente, il semplice Lombardo. [126]
Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
per confondere in sé due reggimenti,
cade nel fango e sé brutta e la soma». [129]
«O Marco mio», diss’io, «bene argomenti;
e or discerno perché dal retaggio
li figli di Levì furono essenti. [132]
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
di’ ch’è rimaso de la gente spenta,
in rimprovèro del secol selvaggio?». [135]
«O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta»,
rispuose a me; «ché, parlandomi tosco,
par che del buon Gherardo nulla senta. [138]
Per altro sopranome io nol conosco,
s’io nol togliessi da sua figlia Gaia.
Dio sia con voi, ché più non vegno vosco. [141]
Vedi l’albor che per lo fummo raia
già biancheggiare, e me convien partirmi
(l’angelo è ivi) prima ch’io li paia». [144]
Così tornò, e più non volle udirmi.