Purgatorio – Canto XIV / Quattordicesimo Canto / Canto 14°
Temi e canti: 1-27 Guido del Duca; Rinieri da Calboli • 28-54 La valle dell’Arno • 55-72 Profezia su Fulcieri da Calboli • 73-126 Compianto sulla Romagna • 127-151 Esempi di invidia punita
Purgatorio
CANTO XIV
«Chi è costui che ‘l nostro monte cerchia
prima che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?». [3]
«Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo:
domandal tu che più li t’avvicini,
e dolcemente, sì che parli, acco’lo». [6]
Così due spirti, l’uno a l’altro chini,
ragionavan di me ivi a man dritta;
poi fer li visi, per dirmi, supini; [9]
e disse l’uno: «O anima che fitta
nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai,
per carità ne consola e ne ditta [12]
onde vieni e chi se’; ché tu ne fai
tanto maravigliar de la tua grazia,
quanto vuol cosa che non fu più mai». [15]
E io: «Per mezza Toscana si spazia
un fiumicel che nasce in Falterona,
e cento miglia di corso nol sazia. [18]
Di sovr’esso rech’io questa persona:
dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno,
ché ‘l nome mio ancor molto non suona». [21]
«Se ben lo ‘ntendimento tuo accarno
con lo ‘ntelletto», allora mi rispuose
quei che diceva pria, «tu parli d’Arno». [24]
E l’altro disse lui: «Perché nascose
questi il vocabol di quella riviera,
pur com’om fa de l’orribili cose?». [27]
E l’ombra che di ciò domandata era,
si sdebitò così: «Non so; ma degno
ben è che ‘l nome di tal valle pèra; [30]
ché dal principio suo, ov’è sì pregno
l’alpestro monte ond’è tronco Peloro,
che ‘n pochi luoghi passa oltra quel segno, [33]
infin là ‘ve si rende per ristoro
di quel che ‘l ciel de la marina asciuga,
ond’hanno i fiumi ciò che va con loro, [36]
vertù così per nimica si fuga
da tutti come biscia, o per sventura
del luogo, o per mal uso che li fruga: [39]
ond’hanno sì mutata lor natura
li abitator de la misera valle,
che par che Circe li avesse in pastura. [42]
Tra brutti porci, più degni di galle
che d’altro cibo fatto in uman uso,
dirizza prima il suo povero calle. [45]
Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi più che non chiede lor possa,
e da lor disdegnosa torce il muso. [48]
Vassi caggendo; e quant’ella più ‘ngrossa,
tanto più trova di can farsi lupi
la maladetta e sventurata fossa. [51]
Discesa poi per più pelaghi cupi,
trova le volpi sì piene di froda,
che non temono ingegno che le occùpi. [54]
Né lascerò di dir perch’altri m’oda;
e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta
di ciò che vero spirto mi disnoda. [57]
Io veggio tuo nepote che diventa
cacciator di quei lupi in su la riva
del fiero fiume, e tutti li sgomenta. [60]
Vende la carne loro essendo viva;
poscia li ancide come antica belva;
molti di vita e sé di pregio priva. [63]
Sanguinoso esce de la trista selva;
lasciala tal, che di qui a mille anni
ne lo stato primaio non si rinselva». [66]
Com’a l’annunzio di dogliosi danni
si turba il viso di colui ch’ascolta,
da qual che parte il periglio l’assanni, [69]
così vid’io l’altr’anima, che volta
stava a udir, turbarsi e farsi trista,
poi ch’ebbe la parola a sé raccolta. [72]
Lo dir de l’una e de l’altra la vista
mi fer voglioso di saper lor nomi,
e dimanda ne fei con prieghi mista; [75]
per che lo spirto che di pria parlòmi
ricominciò: «Tu vuo’ ch’io mi deduca
nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi. [78]
Ma da che Dio in te vuol che traluca
tanto sua grazia, non ti sarò scarso;
però sappi ch’io fui Guido del Duca. [81]
Fu il sangue mio d’invidia sì riarso,
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m’avresti di livore sparso. [84]
Di mia semente cotal paglia mieto;
o gente umana, perché poni ‘l core
là ‘v’è mestier di consorte divieto? [87]
Questi è Rinier; questi è ‘l pregio e l’onore
de la casa da Calboli, ove nullo
fatto s’è reda poi del suo valore. [90]
E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
tra ‘l Po e ‘l monte e la marina e ‘l Reno,
del ben richesto al vero e al trastullo; [93]
ché dentro a questi termini è ripieno
di venenosi sterpi, sì che tardi
per coltivare omai verrebber meno. [96]
Ov’è ‘l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
Oh Romagnuoli tornati in bastardi! [99]
Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
verga gentil di picciola gramigna? [102]
Non ti maravigliar s’io piango, Tosco,
quando rimembro con Guido da Prata,
Ugolin d’Azzo che vivette nosco, [105]
Federigo Tignoso e sua brigata,
la casa Traversara e li Anastagi
(e l’una gente e l’altra è diretata), [108]
le donne e ‘ cavalier, li affanni e li agi
che ne ‘nvogliava amore e cortesia
là dove i cuor son fatti sì malvagi. [111]
O Bretinoro, ché non fuggi via,
poi che gita se n’è la tua famiglia
e molta gente per non esser ria? [114]
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
che di figliar tai conti più s’impiglia. [117]
Ben faranno i Pagan, da che ‘l demonio
lor sen girà; ma non però che puro
già mai rimagna d’essi testimonio. [120]
O Ugolin de’ Fantolin, sicuro
è il nome tuo, da che più non s’aspetta
chi far lo possa, tralignando, scuro. [123]
Ma va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta
troppo di pianger più che di parlare,
sì m’ha nostra ragion la mente stretta». [126]
Noi sapavam che quell’anime care
ci sentivano andar; però, tacendo,
facean noi del cammin confidare. [129]
Poi fummo fatti soli procedendo,
folgore parve quando l’aere fende,
voce che giunse di contra dicendo: [132]
‘Anciderammi qualunque m’apprende’;
e fuggì come tuon che si dilegua,
se sùbito la nuvola scoscende. [135]
Come da lei l’udir nostro ebbe triegua,
ed ecco l’altra con sì gran fracasso,
che somigliò tonar che tosto segua: [138]
«Io sono Aglauro che divenni sasso»;
e allor, per ristrignermi al poeta,
in destro feci e non innanzi il passo. [141]
Già era l’aura d’ogne parte queta;
ed el mi disse: «Quel fu ‘l duro camo
che dovria l’uom tener dentro a sua meta. [144]
Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo
de l’antico avversaro a sé vi tira;
e però poco val freno o richiamo. [147]
Chiamavi ‘l cielo e ‘ntorno vi si gira,
mostrandovi le sue bellezze etterne,
e l’occhio vostro pur a terra mira; [150]
onde vi batte chi tutto discerne».