Purgatorio – Canto XI / Undicesimo Canto / Canto 11°
Temi e versi: 1-24 La Preghiera dei superbi • 25-45 Le preghiere dei vivi • 46-72 Omberto Aldobrandeschi • 73-108 Oderisi da Gubbio • 109-142 Provenzano Salvani
Purgatorio
CANTO XI
«O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch’ai primi effetti di là sù tu hai, [3]
laudato sia ‘l tuo nome e ‘l tuo valore
da ogni creatura, com’è degno
di render grazie al tuo dolce vapore. [6]
Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s’ella non vien, con tutto nostro ingegno. [9]
Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de’ suoi. [12]
Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s’affanna. [15]
E come noi lo mal ch’avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto. [18]
Nostra virtù che di legger s’adona,
non spermentar con l’antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona. [21]
Quest’ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro». [24]
quell’ombre orando, andavan sotto ‘l pondo,
simile a quel che tal volta si sogna, [27]
disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo. [30]
Se di là sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei ch’hanno al voler buona radice? [33]
Ben si de’ loro atar lavar le note
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote. [36]
«Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
tosto, sì che possiate muover l’ala,
che secondo il disio vostro vi lievi, [39]
mostrate da qual mano inver’ la scala
si va più corto; e se c’è più d’un varco,
quel ne ‘nsegnate che men erto cala; [42]
ché questi che vien meco, per lo ‘ncarco
de la carne d’Adamo onde si veste,
al montar sù, contra sua voglia, è parco». [45]
Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu’ io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste; [48]
ma fu detto: «A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva. [51]
E s’io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso, [54]
cotesti, ch’ancor vive e non si noma,
guardere’ io, per veder s’i’ ‘l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma. [57]
Io fui latino e nato d’un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se ‘l nome suo già mai fu vosco. [60]
L’antico sangue e l’opere leggiadre
d’i miei maggior mi fer sì arrogante,
che, non pensando a la comune madre, [63]
ogn’uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno
e sallo in Campagnatico ogne fante. [66]
Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, ché tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno. [69]
E qui convien ch’io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch’io nol fe’ tra ‘ vivi, qui tra ‘ morti». [72]
Ascoltando chinai in giù la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li ‘mpaccia, [75]
e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava. [78]
«Oh!», diss’io lui, «non se’ tu Oderisi,
l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
ch’alluminar chiamata è in Parisi?». [81]
«Frate», diss’elli, «più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l’onore è tutto or suo, e mio in parte. [84]
Ben non sare’ io stato sì cortese
mentre ch’io vissi, per lo gran disio
de l’eccellenza ove mio core intese. [87]
Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio. [90]
Oh vana gloria de l’umane posse!
com’poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l’etati grosse! [93]
Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura: [96]
così ha tolto l’uno a l’altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l’uno e l’altro caccerà del nido. [99]
Non è il mondan romore altro ch’un fiato
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato. [102]
Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il ‘pappo’ e ‘l ‘dindi’, [105]
pria che passin mill’anni? ch’è più corto
spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto. [108]
Colui che del cammin sì poco piglia
dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia, [111]
ond’era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo sì com’ora è putta. [114]
La vostra nominanza è color d’erba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba». [117]
E io a lui: «Tuo vero dir m’incora
bona umiltà, e gran tumor m’appiani;
ma chi è quei di cui tu parlavi ora?». [120]
«Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani;
ed è qui perché fu presuntuoso
a recar Siena tutta a le sue mani. [123]
Ito è così e va, sanza riposo,
poi che morì; cotal moneta rende
a sodisfar chi è di là troppo oso». [126]
E io: «Se quello spirito ch’attende,
pria che si penta, l’orlo de la vita,
qua giù dimora e qua sù non ascende, [129]
se buona orazion lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita?». [132]
«Quando vivea più glorioso», disse,
«liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, s’affisse; [135]
e lì, per trar l’amico suo di pena
ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena. [138]
Più non dirò, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andrà, che ‘ tuoi vicini
faranno sì che tu potrai chiosarlo. [141]
Quest’opera li tolse quei confini».