Purgatorio – Canto VII / Settimo Canto / Canto 7°
Temi e versi: 1-63 Virgilio e Sordello • 64-90 La valletta dei principi • 91-136 Rassegna dei principi negligenti
Purgatorio
CANTO VII
Poscia che l’accoglienze oneste e liete
furo iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?». [3]
«Anzi che a questo monte fosser volte
l’anime degne di salire a Dio,
fur l’ossa mie per Ottavian sepolte. [6]
Io son Virgilio; e per null’altro rio
lo ciel perdei che per non aver fé».
Così rispuose allora il duca mio. [9]
Qual è colui che cosa innanzi sé
sùbita vede ond’e’ si maraviglia,
che crede e non, dicendo «Ella è… non è…», [12]
tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
e umilmente ritornò ver’ lui,
e abbracciòl là ‘ve ‘l minor s’appiglia. [15]
«O gloria di Latin», disse, «per cui
mostrò ciò che potea la lingua nostra,
o pregio etterno del loco ond’io fui, [18]
qual merito o qual grazia mi ti mostra?
S’io son d’udir le tue parole degno,
dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra». [21]
«Per tutt’i cerchi del dolente regno»,
rispuose lui, «son io di qua venuto;
virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno. [24]
Non per far, ma per non fare ho perduto
a veder l’alto Sol che tu disiri
e che fu tardi per me conosciuto. [27]
Luogo è là giù non tristo di martìri,
ma di tenebre solo, ove i lamenti
non suonan come guai, ma son sospiri. [30]
Quivi sto io coi pargoli innocenti
dai denti morsi de la morte avante
che fosser da l’umana colpa essenti; [33]
quivi sto io con quei che le tre sante
virtù non si vestiro, e sanza vizio
conobber l’altre e seguir tutte quante. [36]
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
dà noi per che venir possiam più tosto
là dove purgatorio ha dritto inizio». [39]
Rispuose: «Loco certo non c’è posto;
licito m’è andar suso e intorno;
per quanto ir posso, a guida mi t’accosto. [42]
Ma vedi già come dichina il giorno,
e andar sù di notte non si puote;
però è buon pensar di bel soggiorno. [45]
Anime sono a destra qua remote:
se mi consenti, io ti merrò ad esse,
e non sanza diletto ti fier note». [48]
«Com’è ciò?», fu risposto. «Chi volesse
salir di notte, fora elli impedito
d’altrui, o non sarria ché non potesse?». [51]
E ‘l buon Sordello in terra fregò ‘l dito,
dicendo: «Vedi? sola questa riga
non varcheresti dopo ‘l sol partito: [54]
non però ch’altra cosa desse briga,
che la notturna tenebra, ad ir suso;
quella col nonpoder la voglia intriga. [57]
Ben si poria con lei tornare in giuso
e passeggiar la costa intorno errando,
mentre che l’orizzonte il dì tien chiuso». [60]
Allora il mio segnor, quasi ammirando,
«Menane», disse, «dunque là ‘ve dici
ch’aver si può diletto dimorando». [63]
Poco allungati c’eravam di lici,
quand’io m’accorsi che ‘l monte era scemo,
a guisa che i vallon li sceman quici. [66]
«Colà», disse quell’ombra, «n’anderemo
dove la costa face di sé grembo;
e là il novo giorno attenderemo». [69]
Tra erto e piano era un sentiero schembo,
che ne condusse in fianco de la lacca,
là dove più ch’a mezzo muore il lembo. [72]
Oro e argento fine, cocco e biacca,
indaco, legno lucido e sereno,
fresco smeraldo in l’ora che si fiacca, [75]
da l’erba e da li fior, dentr’a quel seno
posti, ciascun saria di color vinto,
come dal suo maggiore è vinto il meno. [78]
Non avea pur natura ivi dipinto,
ma di soavità di mille odori
vi facea uno incognito e indistinto. [81]
‘Salve, Regina’ in sul verde e ‘n su’ fiori
quindi seder cantando anime vidi,
che per la valle non parean di fuori. [84]
«Prima che ‘l poco sole omai s’annidi»,
cominciò ‘l Mantoan che ci avea vòlti,
«tra color non vogliate ch’io vi guidi. [87]
Di questo balzo meglio li atti e ‘ volti
conoscerete voi di tutti quanti,
che ne la lama giù tra essi accolti. [90]
Colui che più siede alto e fa sembianti
d’aver negletto ciò che far dovea,
e che non move bocca a li altrui canti, [93]
Rodolfo imperador fu, che potea
sanar le piaghe c’hanno Italia morta,
sì che tardi per altri si ricrea. [96]
L’altro che ne la vista lui conforta,
resse la terra dove l’acqua nasce
che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta: [99]
Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
fu meglio assai che Vincislao suo figlio
barbuto, cui lussuria e ozio pasce. [102]
E quel nasetto che stretto a consiglio
par con colui c’ha sì benigno aspetto,
morì fuggendo e disfiorando il giglio: [105]
guardate là come si batte il petto!
L’altro vedete c’ha fatto a la guancia
de la sua palma, sospirando, letto. [108]
Padre e suocero son del mal di Francia:
sanno la vita sua viziata e lorda,
e quindi viene il duol che sì li lancia. [111]
Quel che par sì membruto e che s’accorda,
cantando, con colui dal maschio naso,
d’ogne valor portò cinta la corda; [114]
e se re dopo lui fosse rimaso
lo giovanetto che retro a lui siede,
ben andava il valor di vaso in vaso, [117]
che non si puote dir de l’altre rede;
Iacomo e Federigo hanno i reami;
del retaggio miglior nessun possiede. [120]
Rade volte risurge per li rami
l’umana probitate; e questo vole
quei che la dà, perché da lui si chiami. [123]
Anche al nasuto vanno mie parole
non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta,
onde Puglia e Proenza già si dole. [126]
Tant’è del seme suo minor la pianta,
quanto più che Beatrice e Margherita,
Costanza di marito ancor si vanta. [129]
Vedete il re de la semplice vita
seder là solo, Arrigo d’Inghilterra:
questi ha ne’ rami suoi migliore uscita. [132]
Quel che più basso tra costor s’atterra,
guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
per cui e Alessandria e la sua guerra [135]
fa pianger Monferrato e Canavese».