Purgatorio – Canto V / Quinto Canto / Canto 5°
Temi e versi: 1-21 Rimprovero di Virgilio • 22-63 I negligenti morti di morte violenta • 64-84 Jacopo del Cassero • 85-129 Bonconte da Montefeltro • 130-136 Pia de’ Tolomei
Purgatorio
CANTO V
Io era già da quell’ombre partito,
e seguitava l’orme del mio duca,
quando di retro a me, drizzando ‘l dito, [3]
una gridò: «Ve’ che non par che luca
lo raggio da sinistra a quel di sotto,
e come vivo par che si conduca!». [6]
Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
e vidile guardar per maraviglia
pur me, pur me, e ‘l lume ch’era rotto. [9]
«Perché l’animo tuo tanto s’impiglia»,
disse ‘l maestro, «che l’andare allenti?
che ti fa ciò che quivi si pispiglia? [12]
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti; [15]
ché sempre l’omo in cui pensier rampolla
sovra pensier, da sé dilunga il segno,
perché la foga l’un de l’altro insolla. [18]
Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
Dissilo, alquanto del color consperso
che fa l’uom di perdon talvolta degno. [21]
E ‘ntanto per la costa di traverso
venivan genti innanzi a noi un poco,
cantando ‘Miserere’ a verso a verso. [24]
Quando s’accorser ch’i’ non dava loco
per lo mio corpo al trapassar d’i raggi,
mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco; [27]
e due di loro, in forma di messaggi,
corsero incontr’a noi e dimandarne:
«Di vostra condizion fatene saggi». [30]
E ‘l mio maestro: «Voi potete andarne
e ritrarre a color che vi mandaro
che ‘l corpo di costui è vera carne. [33]
Se per veder la sua ombra restaro,
com’io avviso, assai è lor risposto:
fàccianli onore, ed essere può lor caro». [36]
Vapori accesi non vid’io sì tosto
di prima notte mai fender sereno,
né, sol calando, nuvole d’agosto, [39]
che color non tornasser suso in meno;
e, giunti là, con li altri a noi dier volta
come schiera che scorre sanza freno. [42]
«Questa gente che preme a noi è molta,
e vegnonti a pregar», disse ‘l poeta:
«però pur va, e in andando ascolta». [45]
«O anima che vai per esser lieta
con quelle membra con le quai nascesti»,
venian gridando, «un poco il passo queta. [48]
Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,
sì che di lui di là novella porti:
deh, perché vai? deh, perché non t’arresti? [51]
Noi fummo tutti già per forza morti,
e peccatori infino a l’ultima ora;
quivi lume del ciel ne fece accorti, [54]
sì che, pentendo e perdonando, fora
di vita uscimmo a Dio pacificati,
che del disio di sé veder n’accora». [57]
E io: «Perché ne’ vostri visi guati,
non riconosco alcun; ma s’a voi piace
cosa ch’io possa, spiriti ben nati, [60]
voi dite, e io farò per quella pace
che, dietro a’ piedi di sì fatta guida
di mondo in mondo cercar mi si face». [63]
E uno incominciò: «Ciascun si fida
del beneficio tuo sanza giurarlo,
pur che ‘l voler nonpossa non ricida. [66]
Ond’io, che solo innanzi a li altri parlo,
ti priego, se mai vedi quel paese
che siede tra Romagna e quel di Carlo, [69]
che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
in Fano, sì che ben per me s’adori
pur ch’i’ possa purgar le gravi offese. [72]
Quindi fu’ io; ma li profondi fóri
ond’uscì ‘l sangue in sul quale io sedea,
fatti mi fuoro in grembo a li Antenori, [75]
là dov’io più sicuro esser credea:
quel da Esti il fé far, che m’avea in ira
assai più là che dritto non volea. [78]
Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira,
quando fu’ sovragiunto ad Oriaco,
ancor sarei di là dove si spira. [81]
Corsi al palude, e le cannucce e ‘l braco
m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io
de le mie vene farsi in terra laco». [84]
Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a l’alto monte,
con buona pietate aiuta il mio! [87]
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
per ch’io vo tra costor con bassa fronte». [90]
E io a lui: «Qual forza o qual ventura
ti traviò sì fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura?». [93]
«Oh!», rispuos’elli, «a piè del Casentino
traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,
che sovra l’Ermo nasce in Apennino. [96]
Là ‘ve ‘l vocabol suo diventa vano,
arriva’ io forato ne la gola,
fuggendo a piede e sanguinando il piano. [99]
Quivi perdei la vista e la parola
nel nome di Maria fini’, e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola. [102]
Io dirò vero e tu ‘l ridì tra ‘ vivi:
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
gridava: “O tu del ciel, perché mi privi? [105]
Tu te ne porti di costui l’etterno
per una lagrimetta che ‘l mi toglie;
ma io farò de l’altro altro governo!”. [108]
Ben sai come ne l’aere si raccoglie
quell’umido vapor che in acqua riede,
tosto che sale dove ‘l freddo il coglie. [111]
Giunse quel mal voler che pur mal chiede
con lo ‘ntelletto, e mosse il fummo e ‘l vento
per la virtù che sua natura diede. [114]
Indi la valle, come ‘l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento, [117]
sì che ‘l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde e a’ fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse; [120]
e come ai rivi grandi si convenne,
ver’ lo fiume real tanto veloce
si ruinò, che nulla la ritenne. [123]
Lo corpo mio gelato in su la foce
trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce [127]
ch’i’ fe’ di me quando ‘l dolor mi vinse;
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
poi di sua preda mi coperse e cinse». [130]
«Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via»,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo, [133]
«ricorditi di me, che son la Pia:
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ‘nnanellata pria [136]
disposando m’avea con la sua gemma».