Purgatorio – Canto IV / Quarto Canto / Canto 4°
Temi e versi: 1-54 Il primo balzo dell’Antipurgatorio • 55-84 Spiegazioni dottrinali di Virgilio: il corso del sole… • 85-96 …e la natura del monte del Purgatorio • 97-139 Belacqua
Purgatorio
CANTO IV
Quando per dilettanze o ver per doglie,
che alcuna virtù nostra comprenda
l’anima bene ad essa si raccoglie, [3]
par ch’a nulla potenza più intenda;
e questo è contra quello error che crede
ch’un’anima sovr’altra in noi s’accenda. [6]
E però, quando s’ode cosa o vede
che tegna forte a sé l’anima volta,
vassene ‘l tempo e l’uom non se n’avvede; [9]
ch’altra potenza è quella che l’ascolta,
e altra è quella c’ha l’anima intera:
questa è quasi legata, e quella è sciolta. [12]
Di ciò ebb’io esperienza vera,
udendo quello spirto e ammirando;
ché ben cinquanta gradi salito era [15]
lo sole, e io non m’era accorto, quando
venimmo ove quell’anime ad una
gridaro a noi: «Qui è vostro dimando». [18]
Maggiore aperta molte volte impruna
con una forcatella di sue spine
l’uom de la villa quando l’uva imbruna, [21]
che non era la calla onde saline
lo duca mio, e io appresso, soli,
come da noi la schiera si partìne. [24]
Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova ‘n Cacume
con esso i piè; ma qui convien ch’om voli; [27]
dico con l’ale snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto
che speranza mi dava e facea lume. [30]
Noi salavam per entro ‘l sasso rotto,
e d’ogne lato ne stringea lo stremo,
e piedi e man volea il suol di sotto. [33]
Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo
de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,
«Maestro mio», diss’io, «che via faremo?». [36]
Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;
pur su al monte dietro a me acquista,
fin che n’appaia alcuna scorta saggia». [39]
Lo sommo er’alto che vincea la vista,
e la costa superba più assai
che da mezzo quadrante a centro lista. [42]
Io era lasso, quando cominciai:
«O dolce padre, volgiti, e rimira
com’io rimango sol, se non restai». [45]
«Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira»,
additandomi un balzo poco in sùe
che da quel lato il poggio tutto gira. [48]
Sì mi spronaron le parole sue,
ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui,
tanto che ‘l cinghio sotto i piè mi fue. [51]
A seder ci ponemmo ivi ambedui
vòlti a levante ond’eravam saliti,
che suole a riguardar giovare altrui. [54]
Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
poscia li alzai al sole, e ammirava
che da sinistra n’eravam feriti. [57]
Ben s’avvide il poeta ch’io stava
stupido tutto al carro de la luce,
ove tra noi e Aquilone intrava. [60]
Ond’elli a me: «Se Castore e Poluce
fossero in compagnia di quello specchio
che sù e giù del suo lume conduce, [63]
tu vedresti il Zodiaco rubecchio
ancora a l’Orse più stretto rotare,
se non uscisse fuor del cammin vecchio. [66]
Come ciò sia, se ‘l vuoi poter pensare,
dentro raccolto, imagina Siòn
con questo monte in su la terra stare [69]
sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn
e diversi emisperi; onde la strada
che mal non seppe carreggiar Fetòn, [72]
vedrai come a costui convien che vada
da l’un, quando a colui da l’altro fianco,
se lo ‘ntelletto tuo ben chiaro bada». [75]
«Certo, maestro mio,», diss’io, «unquanco
non vid’io chiaro sì com’io discerno
là dove mio ingegno parea manco, [78]
che ‘l mezzo cerchio del moto superno,
che si chiama Equatore in alcun’arte,
e che sempre riman tra ‘l sole e ‘l verno, [81]
per la ragion che di’ , quinci si parte
verso settentrion, quanto li Ebrei
vedevan lui verso la calda parte. [84]
Ma se a te piace, volontier saprei
quanto avemo ad andar; ché ‘l poggio sale
più che salir non posson li occhi miei». [87]
Ed elli a me: «Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant’om più va sù, e men fa male. [90]
Però, quand’ella ti parrà soave
tanto, che sù andar ti fia leggero
com’a seconda giù andar per nave, [93]
allor sarai al fin d’esto sentiero;
quivi di riposar l’affanno aspetta.
Più non rispondo, e questo so per vero». [96]
E com’elli ebbe sua parola detta,
una voce di presso sonò: «Forse
che di sedere in pria avrai distretta!». [99]
Al suon di lei ciascun di noi si torse,
e vedemmo a mancina un gran petrone,
del qual né io né ei prima s’accorse. [102]
Là ci traemmo; e ivi eran persone
che si stavano a l’ombra dietro al sasso
come l’uom per negghienza a star si pone. [105]
E un di lor, che mi sembiava lasso,
sedeva e abbracciava le ginocchia,
tenendo ‘l viso giù tra esse basso. [108]
«O dolce segnor mio», diss’io, «adocchia
colui che mostra sé più negligente
che se pigrizia fosse sua serocchia». [111]
Allor si volse a noi e puose mente,
movendo ‘l viso pur su per la coscia,
e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!». [114]
Conobbi allor chi era, e quella angoscia
che m’avacciava un poco ancor la lena,
non m’impedì l’andare a lui; e poscia [117]
ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena,
dicendo: «Hai ben veduto come ‘l sole
da l’omero sinistro il carro mena?». [120]
Li atti suoi pigri e le corte parole
mosser le labbra mie un poco a riso;
poi cominciai: «Belacqua, a me non dole [123]
di te omai; ma dimmi: perché assiso
quiritto se’? attendi tu iscorta,
o pur lo modo usato t’ha’ ripriso?». [126]
Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
ché non mi lascerebbe ire a’ martìri
l’angel di Dio che siede in su la porta. [129]
Prima convien che tanto il ciel m’aggiri
di fuor da essa, quanto fece in vita,
perch’io ‘ndugiai al fine i buon sospiri, [132]
se orazione in prima non m’aita
che surga sù di cuor che in grazia viva;
l’altra che val, che ‘n ciel non è udita?». [135]
E già il poeta innanzi mi saliva,
e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco
meridian dal sole e a la riva [138]
cuopre la notte già col piè Morrocco».